Un saluto a
tutti quanti e benvenuti a questo secondo merdalavoro! Però, prima di iniziare,
ci tenevo a dirvi due cose: innanzitutto GRAZIE, ma davvero tanto! <<Ma come, ma basta dire grazie, già l’altra
volta sembrava ti avessimo donato il fegato!>> Sì, questo lo so, ma
stavolta abbiamo superato le 1000 visualizzazioni in un mese, che altro posso
aggiungere? Inoltre ci tengo a ricordarvi che, in questa collana, più che nelle
altre, sto esprimendo il mio personale gusto e opinione sulla bellezza e gradevolezza
in sé dell’opera (e sul suo senso logico spesso e volentieri) ma non sul suo
valore artistico e letterario: infatti, se il libro mi ha fatto schifo da una
parte, dall’altra apprezzo e riconosco il significato dell’opera in quanto
tale. <<Sì, ma se non ci dici di
che vuoi parlare noi come facciamo a capire? E dì sto titolo, su forza, ogni
volta mille giri di parole prima di rivelarlo…>> Bene, questa volta
vi voglio parlare del primo romanzo gotico della storia della letteratura,
ovvero del “Castello di Otranto”(1764) di Horace Walpole (1717 d.C.-1797 d.C.)!
Ma iniziamo,
come al solito, con qualche breve cenno alla vita del nostro autore. A scuola,
magari, avrete sentito parlare del famoso politico e “economista” (perché non
si può certo dire che fosse un genio nella materia) Robert Walpole (1676
d.C-1745 d.C.) famoso per aver compiuto un’operazione finanziaria a dir poco
rovinosa che portò l’Inghilterra sull’orlo del disastro economico (una specie
di misto tra Andreotti, Craxi, Berlusconi e Monti insomma). Per riassumervi
molto velocemente un suo ipotetico discorso fatto agli inglesi, possiamo
ipotizzare che avrebbe più o meno detto:
<<Salve a tutti, ricchi investitori inglesi!
Ho due notizie per voi, una buona e una cattiva. Quella buona è che ho
convertito tutti i vostri titoli di stato in azioni per la “Compagnia delle
Indie” che rischiava il tracollo finanziario! In pratica tutti i vostri soldi
sono stati investiti in questa compagnia che commercia con le nostre care e
prolifiche colonie. Ma passiamo alla notizia brutta: la Compagnia delle Indie è
fallita e i vostri soldi sono andati persi!>>
Ovviamente
le cose sono state molto più complesse
di così e il nostro fine economista cercò di correre ai ripari, ma non siamo
qui oggi a parlare di lui. Infatti, come qualche panciuta professoressa di
inglese potrebbe far notare, <<Eccheccentra
Robert Walpole con l’autore del “Castello di Otranto”?>>. Horace Walpole
non era che suo figlio (cresciuto nei peggiori bar di Caracas proprio)! Il
nostro scrittore, a dir la verità, non ebbe una vita poi troppo affascinante:
fece un grande viaggio per l’Europa da giovane, come era di moda tra i nobili
del tempo, con il suo amico Thomas Gray (1716-1771), un noto poeta
preromantico, che lo influenzò tantissimo. Tornato in patria diventò politico
per poco tempo grazie ai giri del padre (sì, gli inciucci erano parecchio
efficaci per trovare lavoro anche all’epoca). Per il resto, a parte un grande
epistolario di oltre 3000 lettere (sicuramente tutte interessantissime, eh, per
carità…) e il “Castello di Otranto” non compose nulla di speciale.
Ma passiamo
al romanzo. Purtroppo. L’opera è ambientata a Otranto (ma dai? Non l’avrei mai
detto!) nel 1300 circa, non troppo tempo dopo le crociate. L’intreccio è
volutamente molto molto confuso e, per una visione dei contenuti più
approfondita, vi rimando alla fonte somma del sapere universale (Wikipedia) che vi aiuterà a comprendere il perché non voglia troppo addentrarmi
nel dettaglio. Per i meno curiosi di voi ecco delle linee generali per comprendere quanto
segue, ma prima…
SSSSSPOOOILEEER!
(così, tanto
per essere sicuri che nessun figamolle ingenuone ci caschi in pieno e
poi si lamenti)
Il
protagonista/antagonista è Manfred (tipico nome medievale del sud Italia),
proprietario del maniero di Otranto, dove vive con la moglie e i due figli, un maschio
e una femmina. Il ragazzo si deve sposare con una ricca feudataria ma, proprio
il giorno delle nozze, viene schiacciato da un elmo gigante, grosso più o meno
come una casa, nel cortile del castello. Sì, avete capito bene, ma ve lo ripeto
per sicurezza. Viene schiacciato da
un enorme elmo medievale di qualche tonnellata caduto dal cielo senza un perché. Ma non è questo
l’unico fatto straordinario. La servitù, a volte, aprendo la sera le stanze del
castello, vede degli arti giganteschi muoversi e, a un certo punto, un ritratto
si stacca dalla tela e inizia ad aggirarsi per i corridoi del maniero. Ma chi è
questo misterioso e titanico cavaliere che si aggira indisturbato per la
reggia? Un giovane contadino, quando viene rinvenuto ciò che rimane del corpo
del figlio di Manfred, dice che l’elmo gigante è uguale identico a quello di un
antenato del protagonista che combatté nelle crociate. Inoltre afferma che
dalla statua dell’eroe, conservata nella chiesa, è venuto a mancare proprio il
copricapo da battaglia. Ovviamente, seguendo una logica di stampo medievale a
dir poco impeccabile, il popolo pensa che il povero contadino sia il colpevole
del tutto e, tanto per non perdere tempo, si appresta a farlo fuori sul posto
senza troppi complimenti quando interviene il parroco del paese che lo salva affermando
che quello in realtà è… suo figlio (musica drammatica)! Questo è il primo dei tanti
colpi di scena completamente a cazzo del romanzo, ma non temete, ci tornerò
sopra più avanti. Intanto Manfred è disperato non tanto per la perdita del
figlio (non ci avrebbe messo tanto a sfornarne uno nuovo) quanto per il fatto
che non può acquistare nuove terre tramite il matrimonio e consolidare il suo
potere. E allora che fa? Gli viene in mente un’idea geniale e assolutamente
improbabile per l’epoca in cui è ambientata la vicenda: vuole divorziare dalla
moglie per sposarsi lui con la ex-promessa sposa del figlio cercando di
convincerla ad accettarlo come sostituto. E qual è il modo più sicuro e
romantico con cui cercare di convincere una giovane ragazza a sposare te,
vecchio e brutto feudatario? Ma che domande, ovviamente CERCANDO DI STUPRARLA
(oltretutto fallendo miseramente)! Il giorno dopo arriva Federico, il padre
della fanciulla, il quale, oltre a volerla riportare a casa, dice di essere il
vero erede del principato di Otranto. Comincia così una serie di inseguimenti
di coppiette innamorate e uccisioni casuali (del tipo: <<Oh, eri tu? Scusa, non mi ero accorto di
star combattendo contro mia figlia, che sbadato>>) che portano a un
finale assurdo: il castello crolla e appare la gigantesca figura dell’antenato
crociato tra le rovine mentre San Nicola, dall’alto dei cieli, nomina vero
erede il figlio del parroco (San Nicola recentemente paparazzato). Chi si doveva sposare si sposa, i cattivoni
vivono male, gli altri no e finisce così. Su dai, diciamolo tutti insieme:
QUESTA TRAMA È
UNAMMERDA
Cioè, è
veramente difficile trovare un senso a questo pattume. Mi dispiace dirlo,
perché si tratta di un’opera talmente importante da aver dato il via a un
intero genere letterario, quello del romanzo gotico, ma questo è veramente
troppo! Torniamo a parlare dei punti dolenti del libro che ci attendono
dolorosi e numerosi.
FINE SPOILER!
La trama del
libro diciamo che non si basa su un concatenarsi logico di eventi ma su colpi
di scena a raffica buttati dentro a forza solo per tenere alta la curiosità nel
lettore, altrimenti si sarebbe decisamente annoiato (è come puntare solo sugli
effetti speciali per un film, perché la sceneggiatura fa schifo, senza saperli fare). La cosa, infatti, volendo
semplificare (ma nemmeno troppo) si può riassumere con:
<< Aspettate tutti, io non sono tua madre ma
sono… TUO PADRE! (musica molto drammatica)>>, << E io non sono tuo figlio ma… TUA ZIA!(musica drammaticissima)>>,
<< Eh no, non così in fretta!
Infatti io non sono il cane ma… LO SCERIFFO DELLA CITTÀ e ti dichiaro in
arresto! (una musica così drammatica che più drammatica non si può)>>.
E così per pagine e pagine (una sorta di
episodio di Scooby Doo in loop). Ma qualcuno potrebbe dire:<< Sì, ok, ci sono tantissimi colpi di scena,
ma in un romanzo abbastanza corposo non ci stanno poi tanto male, ravvivano
l’azione.>>. Sì, gentile lettore, questo è vero, però peccato che il
libro non superi le 100 pagine.
Inoltre ogni colpo di scena è seguito da
intere paginate di dialoghi del tipo:
<<Oh,
mi è successo qualcosa di terribile che nemmeno immagini!>> <<Ommioddio che cosa ti ha turbato così tanto?
Parlamene, ti prego!>> <<No,
non posso, è qualcosa di veramente tragico!>> <<Ma ti prego, sono in ansia, comunicamelo
subito!>>
<<No, sul serio, rimarresti
sconvolta…>> << Su
dai, siamo amiche, a me puoi dirlo, sfogati!>> <<E va bene, se proprio vuoi… sappi… sappi…
sappi che… è finito il latte! (il dramma proprio)>>.
Questo misero espediente narrativo per far
crescere l’ansia (e il nervoso) del lettore sono lunghi anche pagine e pagine
in cui non succede veramente NULLA DI NULLA!
Passiamo poi
ai prodigi prodigiosi e ai misteri misteriosi. Una sola domanda: PERCHÉ? Sì,
perché è caduto un elmo gigantesco scomparso da una statua? Perché appaiono
arti a caso nelle stanze del castello? Perché i dipinti si staccano dalle tele?
Perché compare San Nicola? Perché? Come? Non lo sappiamo. Probabilmente il
tutto ha a che fare con i Maya e gli alieni (con i templari di sicuro
stavolta!), ma non possediamo abbastanza prove. Molti di questi miracoli sono
oltretutto fini a sé stessi. Quando, ad esempio, Manfred sa di ste gambe e
braccia per il castello, pensate si preoccupi, che cambi le sue azioni in
qualche modo, che si redima? Certo che no, nulla di tutto ciò, continua a
vivere tranquillo come se non fosse successo nulla. E allora perché inserire un
episodio del genere?
Ma ancora,
questo romanzo è completamente sconnesso dal punto di vista storico. Non
dimentichiamoci che siamo nel 1300. Quando mai, in quell’epoca, le persone si
separavano o potevano anche solo pensare lontanamente di fare una cosa del
genere? Solo nel 1500 Enrico VIII (1491 d.C.-1547 d.C.) ci ha provato e per
farlo ha dovuto fondare una religione tutta sua, figuratevi come il principe di
Otranto, duecento anni prima, sarebbe mai potuto arrivare a un passo del genere!
Poi, una parte che mi ha fatto morire dal ridere è quella del quadro con il
dipinto che si stacca dalla tela. E voi vi chiederete: <<Maccheccè di così divertente in una cosa del
genere?>>. Vi devo proprio ricordare come erano fatti i disegni in
quell’epoca? (gente disegnata molto bene) Cioè, immaginatevi questo personaggio deforme in 2 dimensioni,
con gli occhioni tutti d fuori, che cammina per le stanza del castello come i
fantasmini di Pac-Man sullo schermo!
Inoltre i
personaggi sono stilizzati in una maniera atroce: Manfred, il cattivo, è
veramente cattivone cattivone e malvagio, la giovane fanciulla casta e
purissima e i servi, per dire, sono tutti dei tontoloni balbuzienti ma la lista
potrebbe essere molto lunga.
Tirando le
somme, questo libro fa proprio schifo sia come intreccio sia per la tecnica
narrativa. Però la sua influenza è stata grandissima (basti pensare che il
“Manfred” è un famoso poema di Byron e Matilda, la figlia del protagonista,
sarà il nome dell’eroina del romanzo omonimo di Mary Shelley di cui parlerò) ma
adesso non è il tempo di parlare dei tratti generali del romanzo gotico e di
quanto sia effettivamente molto bello. Rinvio infatti il tutto a un pezzo che
farò tra non troppissimo su un VERO capolavoro del genere, il “Monaco” di
Lewis.
Il libro,
che mi è stato regalato per cui non so dirvi il prezzo, l’ho letto in
un’edizione molto dubbia della “Costa&Nolan” (sembra il nome di una coppia
di musicisti di quelli che suonano la fisarmonica nelle balere) di cui non so
nulla anche se ce ne sono molte altre edizioni e non avrete troppa difficoltà a
trovare questo merdalavoro. Ovviamente, personalmente, vi sconsiglio l’acquisto
dell’opera, ma potrebbe piacere ai più masochisti di voi.
Vi ringrazio
ancora tantissimo per tutte le visualizzazioni e il vostro supporto! Ovviamente
mipiacciate, condividete ma soprattutto COMMENTATE! Ditemi le vostre esperienze
con questo libro se ne avete avute, oppure ditemi cosa ne pensate dell’articolo
o insultatemi, come vi pare! Dedico questo brano alla mia professoressa di
italiano che, l’ultimo giorno della quinta liceo, vedendomi arrivare tutti
baldanzoso con il libro sottomano per chiederle una piccola dedica, dopo aver
fatto una sofferentissima espressione di dolore, mi scrisse sulla prima pagina
“Lo sai, non condivido con te certe scelte culturali, oltranzistiche… Ma ammiro
e apprezzo la tua passione…”
La prossima
volta invece torniamo nel passato a parlare di due autori abbastanza misteriosi
ma pieni di fascino: Luciano ed Apuleio!
Pagina Google Plus:Goggle Plus
Pagina Twitter:Twitter
Sei completamente fuori di melone... Forse proprio per questo è così divertente leggerti!
RispondiEliminaAhahahha guarda che lo prendo come un complimento, eh! E comunque si fa quel che si può per cercare di rendere la lettura gradevole e interessante, l'importante è che voi vi divertiate a leggere e seguirmi tanto quanto io a scrivere e documentarmi! Comunque appunto grazie per il complimento!
RispondiEliminaEra un complimento infatti... Quasi stento a credere che esistano lavori così citati e così...merdalavori. E stenterei anche a credere che tu l'abbia letto tutto se non ti conoscessi... Quindi, per gli scettici: LUI LI LEGGE DAVVERO, NON SONO BALLE!!!
RispondiEliminaLa più interessante recensione letteraria che abbia mai letto da dieci....secondi a questa parte
RispondiEliminaContento di aver reso almeno questi dieci secondi più gradevoli. Quella letta prima immagino fosse sempre da questo blog :)
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