Se
domani mattina vi svegliaste in un'epoca lontana, in mezzo agli
antichi Romani, per dire, come vi sentireste? Mark Twain, una delle
menti più vivaci del XIX secolo Americano, ha provato a immaginarlo in "Un Americano alla Corte di Re Artù" (1889), uno
dei suoi molti romanzi scritti per un pubblico adulto e che, in
seguito, vennero indirizzati per un target più giovane. Ovviamente
non stiamo a controllare se il libro è pieno di stragi o di frasi
complesse del tipo:
"Lei
ha sentito parlare della trasmigrazione delle anime, ma che cosa sa
della trasposizione di epoche e di corpi?"
Massì,
cosa vuoi che capiscano i bambini tanto, no? E sì che questo libro è
edito, in Italia, dalla Ed.It per una raccolta indirizzata a un
pubblico giovanissimo, target condiviso anche da altre edizioni. Ma
polemiche a parte, andiamo a vedere brevemente di che parla "Un
Americano alla Corte di Re Artù"!
Il
nostro protagonista si chiama Hank Morgan ed è uno yankee,
come ci dice il titolo originale
dell'opera, quindi non un
semplice Americano ma qualcuno fortemente convinto delle sue
origini: un nazionalista diremmo oggi, convinto ciecamente del sogno
americano e compagnia bella. Vive la
sua vita spensierata lavorando in
una fabbrica di armi dove, un giorno, fa a pugni con un dipendente:
messo a tappeto, si risveglia, appunto, nella Bretagna dei poemi
cavallereschi Medievali. E qui inizia una serie di avventure che lo
vedono coinvolto al fianco di Re Artù, Mago Merlino, Ginevra e
compagni. Tuttavia il nostro yankee,
che ha fortissimi istinti nazionalisti e imperialisti, non se ne sta
con le mani in mano ma va a modificare, piano piano, la realtà che
lo circonda. Finisce, così, per aprire fabbriche, istituire i
giornali, mandare cavalieri a vendere il sapone porta a porta e altre
amenità. Tuttavia, a un certo punto, la situazione degenererà e
andrà a finire tutto in tragedia! Come? Non sarò certo io a
rovinarvi il finale, ma questa cosa non ci impedirà certo di
approfondire un po' meglio quel che succede...
Hank
è profondamente convinto che la sua cultura sia superiore alle
altre: non ha un minimo momento di esitazione, non crede che quello
che lo circonda sia frutto del suo tempo ed è, in ogni caso,
destinato a mutare. No, lui vuole, deve quasi, accelerare il
processo in nome di una ragione superiore non ben specificata e che
si concretizza, di fatto, in un desiderio di supremazia sull'altro.
La sua follia, totalmente egocentrica e narcisista, lo porta non solo a voler
esser visto come un mago onnipotente dallo stesso Artù ma, addirittura, a voler
regnare sull'intera Bretagna e da lì marciare su tutto il mondo.
A renderlo diverso non è la conoscenza della storia o della cultura
ma la mera forza bruta, la possibilità di usare esplosivi e
l'energia elettrica. Certo,
prima si è impegnato, come accennato, in attività culturali che,
però, nel momento dell'azione si sono rivelate assolutamente inutili
e, anzi, hanno rischiato di ritorcerglisi contro a volte.
In fondo, c'è da chiedersi, questo personaggio è, effettivamente,
positivo? Oppure, al contrario, incarna un modello negativo che, in
fondo, l'autore ha voluto prendere in giro?
I
tratti essenziali, ve ne sarete accorti, sono quelli di un
colonizzatore. L'occidente, per secoli, ha operato questa strategia:
troviamo un posto nuovo, vediamo che è inferiore, facciamo finta di
volerlo aiutare e in realtà lo sopprimiamo controllandolo. La
facciata è positiva e, c'è da starne certi, alcuni intellettuali
hanno veramente creduto di poter dare una mano alla
popolazione locale! Tuttavia
i governi non la pensavano così e, da quelle zone, raramente è
uscito qualcosa di veramente soddisfacente o che, a un certo punto,
non si sia ribellato. Questo
è il caso, appunto, degli Stati Uniti che hanno sviluppato, in
seguito, un fortissimo senso di indipendenza e uno spirito
nazionalista che, oggi come oggi, risulta a tratti addirittura
grottesco. E quindi, nel cercare di capire gli intenti di Twain,
appare molto buffo notare come il colonizzato sia tornato indietro
per sottomettere gli antichi padroni. Senso di rivalsa o ironica
presa in giro?
Sinceramente
faccio fatica a capirlo. Da una parte, conoscendo l'autore, mi pare
impossibile che un romanzo del genere sia, in realtà, una grande
metafora a favore della colonizzazione. Dall'altra, però, non
possiamo ignorare l'atmosfera del tempo e le idee che circolavano e
che, ricordo, hanno portato a due guerre mondiali e conflitti
sanguinosi per le varie indipendenze. Rimane il fatto che abbiamo tra
le mani un romanzo mediocre e abbastanza divertente il quale, però,
ammetto avermi inquietato soprattutto sul finale, con quello che
succede. È
come se i fatti che si susseguono fossero così tragicamente comuni
da sembrare banali nella loro tragicità. E voi, avete avuto modo di
leggere questo libro? Che ne pensate? Leggereste mai un romanzo del
genere a vostro figlio? Fatemi sapere qui sotto nei commenti o in pagina! Intanto vi do appuntamento alla prossima settimana!
Articolo molto interessante. Secondo me quello che ha voluto mettere in luce l'autore é proprio questo atteggiamento da colonizzatore del protagonista il quale dispone di mezzi e conoscenze decisamente superiori a quelle del popolo nel quale si trova, un pò come un bianco ammalia gli indigeni con la sua tecnologia (mi viene in mente a proposito Robinson Crusoe). Tutto questo soprattutto in chiave negativa poiché il popolo inglese, che in quel periodo si poteva definire tra i "padroni" del mondo, o almeno una sua piccola sezione, viene sottomessa così semplicemente da un singolo uomo. Il tutto mi sembra troppo un'effettiva presa in giro.
RispondiEliminaAnche a me, se devo essere onesto, sembra tutto molto enfatizzato e ridicolizzato apposta ma il sospetto, di fondo, rimane e mi fa rabbrividire!
EliminaPremetto che non ho letto il romanzo di Twain, ma l'impressione é che l'autore abbia voluto comunicarci una semplice verità: la pretesa superiorità di una civiltà sull'altra é puramente illusoria, transitoria, contestuale, al punto che nemmeno una vasta acquisizione di conoscenze scientifiche e strumenti tecnologici sono in grado di sancire in modo certo e definitivo, tale superiorità. Il giudizio di valore di una data civiltà, alla prova dei fatti,rimane puramente soggettivo ed arbitrario, intrinsecamente legato ad una modalità di osservazione e di analisi che resta etnocentrico e personale, nel senso più ampio del termine. Siamo nell'indefinito e sfuggente mare magnum del tutto é relativo; il quale nel suo incessante turbinio,corrode e deteriora ogni convinzione ed opinione che abbia una velleità di assolutezza. Ogni verità che non sia sostenuta dai solidi pilastri di una fede cieca é destinata a vacillare di fronte al grande enigma della vita.
RispondiEliminaConfrontandomi con altra gente e scrivendo l'articolo mi sono convinto pure io al 90%. Certo però che il beneficio del dubbio rimane comunque...
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