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Salve a
tutti ed eccoci all’appuntamento tanto (???) atteso! Vi siete spaccati il
cranio contro la parete per capire quale potesse essere l’animale di cui vi
parlerò in questo episodio? No, eh? Leggendo gli indizi alcuni di voi magari
hanno pensato che oggi vi volessi parlare del cane, infaticabile amico
dell’uomo nelle varie epoche e che, quando eravamo ancora dei cavernicoli
nomadi, ci ha servito come compagno di caccia sotto forma dei suoi antenati
sciacallo e lupo per poi diventare nostro aiutante quotidiano nelle faccende
domestiche (anche se ciò non toglie che io ne abbia comunque una certa paura).
E invece no! L’animale più utile alla gente sul piano del lavoro umano non è
stato il cavallo viaggiatore (come un mio amico ha ipotizzato), non il bue
aratore ma l’asino, infaticabile lavoratore. Ma questo sgraziato animale,
brutto a vedersi e dal verso così terribile, è solo un sostitutivo del più
pratico e agevole schiavo (oh, quanto sono comodi, sono DANNATAMENTE comodi,
non trovate?)? La verità è che dietro alla figura apparentemente semplice di
questo mammifero dalle lunghe orecchie si celano simboli arcani ormai
dimenticati.
Come avrete
capito dall’introduzione, non andrò qui a trattare di nessuna opera letteraria
nello specifico, il mio sarà un discorso molto molto più generale che vuole
focalizzarsi su una concezione del mondo molto particolare. Il filone da me
considerato è quello della cultura popolare da piazza che si oppone al ramo del
sapere ufficiale che, in poche parole, è quello che si affronta maggiormente a
scuola. Questa corrente “bassa”, se così si può dire, attraversa i millenni
portandosi dietro caratteri fissi e tendenzialmente immutati nel corso del
tempo e comuni a culture diversissime tra di loro, dall’antica Grecia al
Giappone feudale. Il discorso, complesso e non di immediata comprensione, ve lo
spiego in termini molto semplici così che tutti possiate comprenderlo con
facilità nonostante le sue dimensioni e la complessità: vi dico soltanto che,
sebbene lo stia approfondendo da più di un anno e l’abbia sviluppato per la
tesina, sto continuando a studiarlo imparando cose sempre nuove come quella di
cui vi parlo oggi. Comunque, appunto, voi non preoccupatevi e scusate, anzi, se
ripeto gli stessi concetti più e più volte.
Ciò che vi
racconto è tratto dal doppio volume “Sesso e Mito” (1962) di Francesco Saba
Sardi (1922-2012) e soprattutto dall’opera monumentale di Michail Bachtin
(1895-1975) “L’Opera di Rabelais e la Cultura Popolare” (1965) attualmente in
fase di lettura. A ciò va aggiunta qualche considerazione personale ma non
perdiamo altro tempo e passiamo ad analizzare il tutto!
Come già
accennato la cultura popolare ha origini millenarie e coinvolge temi quali, ad
esempio, la fertilità, la vita e la morte intesa come rinascita. Tutti questi
concetti vengono portati alla luce tramite una serie di immagini apparentemente
molto semplici (ai limiti della banalità per noi abituati a ragionamenti molto
più complessi) ma che nascondono grandi messaggi. Per capirli dobbiamo però abbandonare
la mentalità da persone del 2014 e, con qualche vestito in meno e pelo in più,
immedesimarci nell’uomo primitivo, privo di televisione, computer e di quasi
qualunque utensile. L’uomo antico non sa nulla, può solo intuire, non ha
conoscenze scientifiche di alcun tipo (in questo ci assomigliamo, non è vero
matematica?). Ad esempio intuisce che, mettendo quella cosa strana e lunga in
un buco che ha quell’altro essere a lui simile, si fanno dei bambini che poi
diventeranno adulti. Spremendosi le meningi riesce a concepire quindi che a dar
origine a tutto ciò è lo sperma (per il riconoscere il ruolo della donna ci
vorrà tempo, nemmeno Aristotele c’era arrivato), il seme, che uscendo dal pene
entra nel ventre della donna e qui viene “sepolto”. Quindi la pancia, sotto
questo aspetto, assomiglia alla terra, al suolo, che accoglie il seme per
generare la pianta. Tutte queste immagini come i genitali, il ventre piuttosto
che il suolo si trovano in basso: in basso nel nostro corpo, in basso sulla
terra. E, come è facilmente intuibile, dalla parte opposta troveremo l’alto.
Ripeto, è un modo di pensare molto molto ma MOLTO semplice, cercate di seguirlo
senza farvi troppi problemi e i vostri neuroni rimarranno illesi, ancora
impacchettati nel cellophane (sì si scrive così, io pensavo che si scrivesse
celophan, non so voi!) come li avete trovati alla nascita.
<<E in alto cosa c’è, voi che avete la vista
buona e il cervello fino?>> Nel corpo la testa, nel mondo il cielo,
la casa degli dei e… il paradiso (no vi giuro lo vedo da qua… no, nessun ufo o
scia chimica, mi spiace…)! E quindi “di sotto” troveremo l’inferno e dunque la
morte (e Andreotti che ci aspetta). Quindi, ricapitolando: vita su, morte giù;
paradiso su, inferno giù; testa su, ventre e genitali giù. Quindi dovete pensare
ora che tutti gli elementi alti sono legati tra di loro così come quelli bassi.
Però appunto la vita (della pianta, del bambino) viene da un posto in cui
invece si trova la morte (il terreno che ospita i cadaveri, il ventre), come
mai? Questo perché la morte, in questo sistema di immagini, non è mai fine a sé
stessa ma è indissolubilmente legata al concetto di rinascita, di rinnovamento.
<< Eh, vabbè Riccardo,
maccheccentra con l’asino?>>. Seguitemi nel ragionamento e presto vi
sarà chiaro come questo animale sia un vero, grande simbolo di
“morte-rinascita”.
Qual’ è una delle grandi doti dell’animale?
Non tanto la dentatura perfetta o il verso armonioso quanto un grande,
grandissimo pene (non vedevate l’ora di rileggere questa parola, dite la
verità!). E non vi devo certo stare a spiegare come questo simboleggi fertilità.
E qual’ è un’ altra grande caratteristica dell’animale? Se lo guardiamo nemmeno
troppo attentamente noteremo un ventre abbastanza prominente
(pancia=terreno=morte=rinascita) in cui Bear Grylls dormirebbe senza problemi
con tutta la famiglia. E di cosa va riempita questa pancia se non di giovani e
tenere pianticelle pronte a sacrificarsi tra le fauci della bestia (vegani insensibili,
anche le piante hanno dei sentimenti, non ve ne frega nulla di loro!)? Quindi è
la vita che si estingue ma… in che cosa si tramuta? Semplice, ESCREMENTI (ah,
la poesia…)! <<Ma che schifo- direte
voi -non sai che parlare di ste cose
terribili! Ma non ti vergogni?>> Invece pensate, bambini, cosa ci fanno
i contadini col letame? Ci coltivano i campi per far maturare i semi generando
nuova vita dall’ apparente morte del terreno e delle feci (<<Wiiiii!!!>>)! E, con tutto il cibo
che l’asino ingurgita, ma avete idea di quanta merda produca? Una vera manna
dal cielo per l’uomo dell’era dei contadini che, suo malgrado, non aveva ancora
inventato i fertilizzanti e altre sostanze chimiche per poterci avvelenare
(Gomblotto! Gomblotto!). Inoltre l’animale è un infaticabile lavoratore,
bastava riempirlo di botte: dice il più simpatico dei proverbi medievali
“Cos’hanno in comune l’asino, l’albero di noce e il contadino? Bisogna
picchiarli perché diano qualche frutto”. Così l’asino è allo stesso tempo
martire degli animalisti e fonte di guadagno e sostentamento quando ancora non
esistevano tutte le comodità di oggi ma anche simbolo di tutto ciò che è
abbassante: genitali, ventre e
escrementi in gran quantità. E così si entra in un gioco di immagini e rimandi
che si fa strada lungo la storia dell’uomo nei secoli. Ad esempio, nel medioevo,
il tamburo, fatto con la pelle d’asino conciata e tirata, veniva suonato ai
matrimoni con la mazza, chiaro simbolo fallico ben evidente nel nome in
francese, come rito di fertilità e allo stesso modo il tamburello, dal suono
così allegro, era simbolo dell’amante cornificatore.
Nell’antica Grecia Dioniso (Bacco per i
romani) era il dio dell’ebbrezza, del vino e dell’incontrollabilità delle
passioni: le menadi, sue sacerdotesse, si dedicavano a culti orgiastici, detti
misteri, in suo onore in cui come pazze perdevano completamente il controllo di
sé (come ci racconta bene Euripide (485 a.C.-406 a.C.) nelle sue “Baccanti”
(405 a.C.)). Ma tra le schiere del dio che l’accompagnavano festose, oltre a
satiri danzanti e menadi festeggianti, si trovava anche una figura molto
particolare: Sileno. Vecchio, grasso e effeminato (si vestiva di giallo come le
donne), simbolo del passato che si rinnova in futuro, è un satiro raffigurato
sul dorso di un mulo. E così ci viene mostrato da Piero di Cosimo (1461
d.C.-1522 d.C.) nel suo “Le disavventure di Sileno” (1505) e pure Lorenzo De’
Medici (1449 d.C.-1492 d.C.), nella celebre “Canzone di Bacco” (1490), ne dà
una descrizione simile (Quant’e bella
giovinezza/che si fugge tuttavia!/Chi vuol esser lieto, sia: del doman non c’è
certezza su, dai che la conoscete anche voi!). Inoltre anticamente le
processioni festose di vita in onore di Bacco presentavano oggetti utilizzati
anche nei riti funebri in cui, come noi ormai sappiamo, la morte è sinonimo di
rinascita.
Gli asini
sono anche i veri protagonisti di due grandi romanzi antichi: del greco
“L’Asino d’Oro” di Luciano di Samosata (120 d.C.-190 d.C.) e del latino “Le
Metamorfosi” di Apuleio (125 d.C-170 d.C.). Le due opere hanno un rapporto
molto particolare tra di loro: infatti lo scritto di Luciano ha lo stesso
contenuto riassunto di quello di Apuleio ma in lingua greca. Però adesso non ci
interessa parlare dei due romanzi in sé quanto del protagonista, Lucio, che si
trasforma in un asino e, per tutta l’avventura, ne passa di cotte e di crude
nel tentativo di tornare ad essere umano. Qua l’asino non è solo un semplice
componente della trama: è un elemento comico che gode di vita propria, carico
di tutti i significati visti e che di certo i due autori avevano a mente.
Tornerò su questo argomento in futuro comunque.
L’asino come
essere buffo, sgraziato e poco sveglio emerge anche in altre occasioni. Si pensava,
ad esempio, che uno dei fondatori della scuola stoica (non chiedetemi chi
fosse, ogni volta che leggo quest’episodio il tipo ha un nome diverso,
illuminatemi voi!), vedendo l’animale mangiare dei fichi e bere vino, sia
letteralmente morto dal ridere (ancora non c’era la televisione, cerchiamo di
capirlo…).
Anche tra gli uomini colti del medioevo
correva una celebre storiella: quella dell’asino di Buridano. Questa povera
bestia, posta tra due mangiatoie piene, non sapendo a quale attingere per prima,
morì di fame corrosa dal dubbio.
Ma la figura
di questa buffa bestia affiora spesso anche nella letteratura successiva:
Sancho Panza, coprotagonista del “Don Quishotte” di Cervantes (1547 d.C.-1616
d.C.), vera e propria personificazione della cultura popolare, ha praticamente
come unico bene durante il viaggio quest’ animale. Anche in questo caso parlerò
di questo lavoro, uno dei più complessi nella letteratura mondiale, un’altra
volta.
Ma
l’importanza di questo animale era nota non solo agli uomini di lettere ma
anche al popolo che l’ha celebrato con riti vari che si sono succeduti e
trasformati nei secoli. Nel medioevo venivano messe in atto nei periodi di
festa le così dette “messe dell’asino”: veniva celebrata dal vescovo o dal
prete un’intera liturgia in cui le parole erano sostituite col verso
dell’animale imitato da tutti i presenti, chierici compresi!
Quindi,
ricapitolando, l’asino è un animale che da noi viene spesso sottostimato perché
non riusciamo a coglierne l’importanza che aveva invece un tempo, così abituati
alle nostre comodità. Esso racchiudeva le speranze delle persone che
sopravvivevano grazie al suo lavoro ed era così fondamentale per loro da
incarnare una serie di significati così complessi e arcaici da venir tramandati
per secoli e secoli.
E dunque
eccoci arrivati alla fine. Non sono entrato troppo nello specifico ma ho
cercato di darvi un quadro molto molto generale. Tutti i temi lasciati da me in
sospeso saranno comunque sicuramente ripresi e trattati a parte in seguito! Vi
voglio ringraziare tanto tantissimo per tutte le visualizzazioni che tra poco
arriveranno addirittura a 800! Se c’è qualcosa che non capite, di cui non siete
sicuri o che magri vi è sfuggito ma anche un vostro parere o qualunque cosa vi
venga in mente non avete che da scriverla qui! Inoltre da poco il blog è anche
social con la sua pagina su Google plus e twitter! Dedico infine questo brano
all’asino di Buridano che mi fa molta tenerezza!
E voi che
fate ancora lì? Cominciate a fare le valigie che col prossimo articolo
Letterarte vi porta in viaggio!
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