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<<Un carissimo saluto a tutti quanti! Oggi vi parlerò di uno delle opere più particolari dell’età imperiale romana e che, spesso, non viene affrontata nelle scuole perché troppo particolare o per mancanza di tempo. Ma non perdiamoci in chiacchere inutili e iniziamo subito!
Roma, 41 d.C.
.Con la morte dell’imperatore Caligola (12 d.C.-41 d.C.), famoso per la sua
folle crudeltà (dopo aver fatto erigere un gigantesco ponte che collegava due
tratti di costa fece annegare tutti i civili che facevano parte del pubblico
dell’inaugurazione. Perché? Così, perché gli andava, tanto lui era l’imperatore)
e per questo ucciso prontamente con una congiura che ponesse fine a un governo
fondato sul terrore, ecco salire al potere suo zio Claudio (10 a.C.-54 d.C.). Seppur
non giovanissimo per l’epoca, decise di tenere le redini di un impero ormai
vastissimo e molto eterogeneo varcando le porte del palazzo imperiale, pieno di
tranelli e trabocchetti orditi da un folto stuolo di adulatori, spie, concubine
e altre figure dalla dubbia morale. E Claudio era proprio l’uomo che faceva per
loro. Egli era molto ingenuo e anche, almeno così pare, leggermente ritardato,
per cui tutti si approfittavano di lui. L’esempio più famoso? Possibile che
abbiate già sentito parlare della sua prima moglie, Messalina, famosa per la
sua insaziabile ninfomania (voglia di cazzo): sono in molti a descrivercela
come una predatrice affamata, ma il più famoso è sicuramente Giovenale (60
d.C.-127 d.C. circa) nella celebre satira sesta contro le donne: qui Messalina
la notte, camuffatasi grazie a una parrucca ,si reca in un bordello a Roma
tutte le sere e fa una gara con le colleghe: avrebbe vinto chi sarebbe riuscita
a far venire più uomini nella stessa sera. Un’esagerazione dell’autore?
Sicuramente, ma gli aneddoti non si fermano certo qua. Pare infatti che
l’imperatore Claudio, completamente assoggettato ai capricci della consorte, le
abbia procurato un giovane schiavo ballerino (ma non sarà stata questa la dote
da lei notata con molta probabilità) affinché ne potesse disporre come voleva. Ma
tutto ha un limite, e Claudio iniziò a intuire di essere utilizzato (meglio
tardi che mai). Così nel 48 d.C., quando gli comunicarono a cena che la moglie
era morta avvelenata, ovviamente per ordine suo anche se non palese, non se ne
curò più di tanto e continuò ad assaporare il suo vino come se nulla fosse: e
come dargli torto, con una moglie così troia? Però questo fu solo uno dei
numerosissimi omicidi politici e delle nefandezze che commise nell’ambito della
corte sfruttando il suo potere illimitato. Tanti i motivi per odiarlo,
numerosissime le persone che ce l’avevano a morte con lui e tra questi vi era
una figura che negli anni a venire sarebbe stata potentissima all’interno della
corte. Un uomo non solo considerato puro e integerrimo, sempre leale alla sua
dottrina filosofica, lo stoicismo, ma anche un abilissimo retore e autore di numerosi
trattati: era Seneca, l’imperturbabile.
Ma quando
Claudio salì al potere non si trovava a Roma. Dal 39 d.C. infatti era stato
esiliato da Caligola (e gli è andata pure bene che, se per lui non avesse
interceduto una “amica” dell’imperatore, sarebbe stato condannato a morte senza
troppi giri di parole). Il capo d’accusa? Aveva difeso in modo fin troppo
brillante una causa in tribunale e pertanto era da ritenersi un uomo
pericoloso. E poi insomma, era completamente fuori di testa quell’imperatore,
ci si poteva aspettare di tutto da lui! In seguito con la morte del suo
persecutore nel 41 sperava finalmente di poter tornare in patria. Ma Claudio,
invece, rimase insensibile ad ogni supplica del filosofo. Molte le lettere che
Seneca aveva cercato di fargli arrivare ma nulla si muoveva. E come sarebbe
potuto cambiare qualcosa finché Polibio, un liberto agli ordini
dell’imperatore, incaricato di vagliare la posta diretta al regnante, le
bloccava tutte? Ma Seneca era veramente disperato e fece qualcosa di
inaspettato e poco coerente con la sua figura: arrivò addirittura a comporre
una “consolazione”, ovvero un testo consolatorio per un lutto, a Polibio per la
morte del fratello come pretesto per supplicarlo con leccaculate varie, senza
un briciolo di dignità, di far arrivare le sue lettere all’imperatore. Uno dei
capisaldi infatti della dottrina stoica era la così detta “atarassia”, ovvero
l’imperturbabilità di fronte a ogni turbamento dell’anima o gioia terrena.
Diciamo pure che, sotto questo punto di vista, Seneca predicava bene ma
razzolava male, molto male: scrive a favore dell’abolizione della schiavitù al
fratello ma non per questo si priva degli schiavetti personali che lo aiutino
in OGNI faccenda della casa (che questo fosse o meno il caso del filosofo,
resta il fatto che secondo il diritto chi era sottomesso al padrone doveva
servirlo anche dal punto di vista sessuale e i giovinetti, in quel periodo,
erano di gran voga. Seneca birbone…), ci dice che non bisogna farsi tentare da
beni materiali di alcun tipo ma aveva molte ville a cui teneva molto e, infine,
ci vuol far credere che la morte sia da affrontare con serenità ma, quando fu
ucciso Afranio Burro, collega precettore di Nerone, capendo l’andazzo delle
cose, si ritirò prontamente a vita privata: anche lui ci teneva alla pelle in
un modo o nell’altro, insomma! Alla fine riuscì finalmente a tornare in patria
solo nel 50 d.C. per intercessione di Agrippina, seconda moglie di Claudio
nonché madre di Nerone, il futuro imperatore. In ogni caso a Seneca decisamente
non era andato giù il comportamento del regnante e, quando quattro anni dopo il
vecchio Claudio morì, poté finalmente sfogare tutto il suo odio, condiviso da
molti, con un’opera sconvolgente per quei tempi e che nessuno si aspetterebbe
dal saggio e imperturbabile Seneca: l’
”Apokolokyntosis”, ovvero la “Zucchificazione del Divo Claudio”. Ma perché
“zucchificazione”? Il motivo non è a
dire il vero ancora chiarissimo e la parola che viene dal greco è molto poco
usata ma i critici hanno pensato ci si potesse riferire al fatto che Claudio
fosse considerato un vero e proprio zuccone (no, non sto scherzando)!
LA TRAMA IN BREVE
BREVISSIMO
Riassumo il
tutto in poche, pochissime parole, per non spoilerarvi tutte le bellissime
battute e scenette divertenti che abbondano tra le pagine.
Claudio muore “emettendo” l’anima al cesso (la
diarrea l’ha sempre accompagnato fedele per tutta la sua vita ma potrebbe anche
essere stato avvelenato) e questa ascende all’Olimpo come tutti gli spiriti
degli ex imperatori con l’intento di diventare una divinità. Lì fanno pure
fatica a capire chi sia perché, oltre ad essere brutto gobbo e zoppicante, non
sa nemmeno parlare bene e continua balbettare. Sarà il divino Augusto a
riconoscerlo e, con disprezzo, a mandarlo nell’Ade (il nostro inferno) dove è
condannato a giocare a dadi con un bussolotto bucato per l’eternità perché
nessuno gli vuole stare vicino.
FINE DELLA BREVE BREVISSIMA
TRAMA
Sì, la
trama non è molto complessa, e nemmeno aspettatevi un finale particolare con
sorprendenti colpi di scena ma, vi posso assicurare, le molte battute
all’interno, raccontate con l’umorismo mordace e caustico di Seneca, fanno
veramente spanciare dal ridere. Salta subito all’occhio però la forza con cui
il nostro filosofo si scaglia contro la figura dell’imperatore da poco deceduto
prendendo in giro qualunque sua abitudine o difetto. Si tratta infatti di un
genere molto particolare: la satira menippea.
La satira, come
ci dice Quintiliano (35 d.C.-90 d.C.) nella sua “Formazione dell’Oratore”, è “un
genere tutto latino” che affonda le sue radici in Lucilio (180 a.C.-102 a.C.),
maestro di uno dei più arguti scrittori del mondo latino: Orazio (65 a.C.-8
a.C.). L’origine della parola satira è per noi ancora un mistero: c’è chi dice
che derivi dal satiro, una figura mitologica classica famosa per i suoi scherzi
e l’aspetto buffo, oppure che venga da “satura lanx”, ovvero il vassoio pieno
di primizie, come simbolo dei diversi temi trattati all’interno della stessa
composizione. Ma in ogni caso abbiamo delle caratteristiche sempre ricorrenti:
brani di prosa e poesia mischiati, la diversità dei temi trattati e il
carattere comico e spietato delle sue composizioni. Però quella di Seneca è
particolarmente violenta, molto più di quelle dei predecessori, e si dirige
contro una figura importantissima: infatti merita solo per sé l’appellativo di
“menippea”.
Questa prende
il nome da Menippo di Gadara (310 a.C-250 a.C.), un filosofo appartenente alla
scuola cinica che insultava e prendeva in giro tutti in maniera molto violenta
e caustica, sostanzialmente fottendosene di quello che gli altri potessero
pensare di lui (“solo dio mi può
giudicare, cioè…”). Addirittura
il fondatore di questa scuola cinica, Diogene di Sinope (412 a.C.- 323 a.C.),detto
il “Socrate pazzo”, viveva nudo in una botte che si portava sempre in giro e
pare arrivasse addirittura a masturbarsi in pubblico per dimostrare il suo
menefreghismo e la sua libertà di fronte a tutti. Il personaggio è stato in
seguito utilizzato da diversi autori come protagonista di opere satiriche e, in
particolare, da Luciano di Samosata (120 d.C.-180 d.C.),autore di cui vi
parlerò davvero tantissimo, che tra i suoi capolavori annovera per l’appunto il
“Menippo” e il “Dialogo dei Morti” che lo vedono protagonista di numerose scene
comiche.
Seneca ha di
sicuro preso spunto anche dalle “fabulae milesiae”, una serie di racconti di
origini popolari di cui però ormai è troppo tardi per occuparsene qui ma che di
sicuro riprenderò tra qualche numero per parlarvi di un altro argomento.
E quindi, anche
per oggi abbiamo finito! <<Ma come?
Di già? Perché così poco? Cioè, non hai detto quasi nulla!>>
Effettivamente mi rendo conto che questo pezzo è un po’ più snello degli altri
ma è anche vero che come genere è molto molto immediato e va letto per essere
apprezzato appieno. Poi i temi sì, sono diversi e vari, ma tutti legati alla
figura di Claudio, nulla di filosofico o complesso come le altre volte. Anche
di Seneca, non è che riguardo a questo
argomento ci sia da dire molto altro, e la vita del personaggio richiederebbe
molto più tempo e cura.
Quindi, vi
consiglio caldamente di leggervi questo meraviglioso libro perché risulterà
essere un acquisto particolarmente valido. Vi posso rimandare al momento solo all’edizione
Mondadori perché è l’unica che onestamente conosco ma non sono sicuro che ce ne
siano altre facilmente reperibili come questa. In ogni caso questa presenta
un’ottima traduzione, moltissime note esplicative e una ricca introduzione che
per motivi di tempo io non ho avuto modo di leggere ma che sicuramente chiarirà
le idee anche ai meno pratici di voi. Il prezzo dovrebbe essere più che
accessibile e non superare i 12 euro trattandosi della collana “Oscar” ma con
sicurezza non vi so dire trattandosi di un regalo.
Poi
ovviamente non posso non ringraziarvi tutti quanti per le visualizzazioni che,
come potete notare, hanno superato il bordo del 500 in meno di un mese! È vero,
non contano nulla di per sé, ma per me questo è già un grandissimo risultato
che non mi sarei mai aspettato sinceramente. Mi raccomando: commentate,
condividete e soprattutto leggete! Dedico questo pezzo alla mia professoressa
di greco e latino che, vedendo questo volumetto appoggiato sul banco, mi chiese
chi me lo facesse fare di leggermi certe cose.
Il prossimo
pezzo non sarà incentrato su un autore o su un opera ma su un tema che,
possiamo dire, attraversa le epoche. Un indizio? È un animale!>>
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