Ogni
anno dedico una piccola rubrica autoconclusiva in tre articoli su un
personaggio legato al mondo della letteratura: l'anno scorso è
toccato a Mary Shelley, l'anno prossimo a qualcuno il cui nome inizia per "F" (vediamo chi ci arriva) e quest'anno a Medea, la più famosa eroina
tragica (se volete recuperarli basta cliccare sul pulsante "medea" in fondo all'articolo)! Maga potentissima, traditrice del suo popolo, assassina del
fratello, è stata
abbandonata dal promesso sposo Giasone in una
terra lontana e ostile per cui, in un impeto di follia, ha deciso di
vendicarsi di tutto e di tutti trucidando i suoi stessi figli e fuggendo, poi, a cavallo di due draghi volanti. Oggi del mito di Medea
rimangono numerosi adattamenti teatrali e cinematografici, oltre a una grandissima serie di riferimenti più o meno velati. Ad esempio, se osservate bene, nella prima
parte di "Nymphomaniac" di Lars von Trier vi è una scena
che la riprende quasi passo passo interpretata da una meravigliosa
Uma Thurman. Oppure, altro esempio, qualche anno fa ho assistito a
un'ottima interpretazione in salsa Torri Gemelle in cui
l'accento è stato posto sulla diversità di culture e la difficoltà
a comunicare nella società moderna. Ma quella di cui vi parlo oggi è
la magistrale versione di Pasolini, semi-sconosciuta ai più, che vi dedicò un film con la
Callas nel ruolo di Medea.
So
benissimo che non tutti, anzi pochissimi, hanno visto questo film o
sono arrivati fino alla fine. In effetti, come per molti film di
Pasolini, si tratta di un'opera particolare e non di facile impatto.
Per questo mi occuperò di parlarne in modo che possiate capir tutti
quel che dico anche senza averlo visto per forza! La cosa che più
può colpire del film è la stravaganza dei costumi, molto ricercati ed eccentrici, la location un po' astratta e l'alternarsi di lunghe scene senza dialogo ad altre dense di significato che calcano
la tragedia. Ma andiamo con ordine.
I
vestiti ricalcano quelli di popoli antichi e selvaggi e presentano
moltissimi riferimenti a riti mistici e arcaici che Pasolini ama
citare prendendo lo spettatore alla sprovvista: seriamente, avreste
mai pensato a un sovrano Greco con un copricapo d'oro massiccio del
Sud America? Orpelli d'oro, maschere di cartapesta, vesti variopinte
svolazzanti e ninnoli vari abbelliscono la scena creando un'atmosfera
bizzarra. Questa, come detto, è influenzata anche dal paesaggio. I Greci
sembrano vivere inizialmente in una sorta di deserto, arrivano in
Colchide, patria di Medea, e si ritrovano in un paesaggio simil-lunare con grosse montagne e abitazioni scavate nella roccia
(tipiche, in realtà, dei monasteri Georgiani che, effettivamente,
videro il popolo dei Colchi abitare sulle loro pendici) per poi
finire il film... a Campo dei Miracoli a Pisa! Lo spettatore viene
sballottato da destra a sinistra in un continuo vortice di culture,
paesaggi e abbigliamenti che lo confondono e affascinano allo stesso
tempo, definendo così il genio (o la
follia) di un Pasolini molto
preso da questi rimandi culturali molto precisi e solo apparentemente
casuali. In realtà un ordine vi è, bisogna stare molto attenti alle
culture prese in considerazione, al loro contesto e, soprattutto,
bisogna operare dei confronti e parallelismi nella storia (ad esempio l'arrivo degli Europei in America). Praticamente metà del
film, fino al rapimento di Medea, è muto e solo dopo si infittisce
di dialoghi sempre più accesi. Si arriva, addirittura, alla scena
precedente all'uccisione dei figli in cui la Callas recita una parte
di tragedia accompagnata da un vero e proprio coro arcaico composto
di donne, muovendosi come doveva essere al tempo delle prime
rappresentazioni, almeno stando a quanto ci è stato tramandato: si
tratta di un preziosismo assolutamente non trascurabile e che porta
l'intera opera su un piano superiore di spessore! Molto importanti e
particolari i riferimenti alla magia del sole di Medea che, si vede,
sono tratti direttamente da fonti antiche.
Pasolini
opera, però, come suo solito, un abbassamento del mito al piano
della quotidianità, una sua materializzazione e concretizzazione. Il
racconto perde ogni aspetto magico e fantastico per essere adattato,
invece, al duro realismo. Così la nave Argo, mitica imbarcazione
parlante, altro non è che una zattera raffazzonata o la cetra del
celebre Orfeo un rozzissimo strumento musicale. Ogni
situazione è cruda e non richiede ulteriori astrazioni. Questo
processo, che ha origini fin dagli stessi Greci, risulta originale
usato su pellicola: non si cerca lo stupore dello spettatore ma il
suo rispecchiarsi nella quotidianità.
Nel concludere questa serie su Medea, cosa potremmo dire? Non so voi ma io sono dell'idea che sia l'eroina tragica per eccellenza, forse il personaggio che meglio incarna la follia e l'amore. Un personaggio molto femminile e femminista, isolata dalla società che la circonda. Sostanzialmente, per quanto non sia "pulita", rimane sicuramente una vittima e non un carnefice. E voi, cosa ne pensate?
Nessun commento:
Posta un commento