La
scorsa settimana si è ricordato, e per alcuni celebrato,
l'anniversario dei quarant'anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini,
uno dei più grandi intellettuali italiani del XXI secolo. Molte le
commemorazioni: documentari, mostre e riproduzioni di suoi film. Tra
questi, nella mia città, hanno proiettato la pellicola italiana più
scandalosa che sia mai stata realizzata: "Salò o le 120
Giornate di Sodoma" (1975), il primo e unico capitolo della "Trilogia
della Morte", seguito della celebre "Trilogia della Vita".
Ne avevo visto solo qualche spezzone, ho letto il libro di De
Sade, da cui è tratto, qualche anno fa e mi sono recato al cinema conscio di quello a
cui sarei andato incontro ma curioso di ciò che ne avrei poi pensato: come può un ragazzo di poco più di vent'anni reagire a questa pellicola nel 2015?
Ebbene:
"Salò o le 120 Giornate di Sodoma" è un film bellissimo
che tutti dovrebbero vedere! Sono serissimo quando affermo che, date
le aspettative per la fama che si porta dietro e letto il libro, pensavo fosse pure
peggio. Pasolini opera un ottimo adattamento del libro Sadiano che
non poteva che essere così. Ma procediamo con ordine.
Per
comprendere il film bisogna sapere che cos'è la "Trilogia della
Vita" e cosa sarebbe dovuta essere la "Trilogia della
Morte". La prima è composta dal "Decameron", "Le
Mille e una Notte" e "Canterbury Tales", tre raccolte
di racconti dei secoli passati che avevano come centro tematico la
visione della sessualità come giocosa partecipazione popolare in
contrasto con la severità del potere ufficiale. Una presa di possesso
del proprio corpo proletaria e sub-proletaria, come piaceva a
Pasolini, ambientata in un'epoca d'oro, quasi mitica, e prettamente
favolistica. In contrasto la "Trilogia della
Morte" avrebbe dovuto mostrare le brutture della modernità, le sue violenze tremendamente silenziose e i soprusi ingiustificati. Il potere ufficiale diventa, così, completamente anarchico nel senso che perde qualunque forma di controllo e si permette di decidere della vita e della morte dei suoi sottoposti. La manipolazione tramite bisogni borghesi imposti, il controllo dei media e la banalità del male sono tutti mezzi con cui siamo abituati alla negatività e al sopruso di potere. Pasolini, come De Sade, riassume il tutto in un'opera enciclopedia del male, un vero sguardo verso l'abisso nero dell'umanità. E il fascismo, come i nobili di fine 1700, incarnano in pieno questa negatività del presente.
Morte" avrebbe dovuto mostrare le brutture della modernità, le sue violenze tremendamente silenziose e i soprusi ingiustificati. Il potere ufficiale diventa, così, completamente anarchico nel senso che perde qualunque forma di controllo e si permette di decidere della vita e della morte dei suoi sottoposti. La manipolazione tramite bisogni borghesi imposti, il controllo dei media e la banalità del male sono tutti mezzi con cui siamo abituati alla negatività e al sopruso di potere. Pasolini, come De Sade, riassume il tutto in un'opera enciclopedia del male, un vero sguardo verso l'abisso nero dell'umanità. E il fascismo, come i nobili di fine 1700, incarnano in pieno questa negatività del presente.
Appare
limpida e cristallina la totale e assoluta condanna di Pasolini, come
anche di De Sade, a questo mondo di violenze indiscriminate: troppo
spesso lo si ricorda associato a queste rappresentazioni, più che in
contrasto. Egli, come anche il divin marchese, era ed è tutt'oggi
una figura incredibilmente scomoda, di cui è meglio parlar bene per
non sembrare troppo in contrasto con il libero pensiero ma che, sotto
sotto, si disprezza, allontana e censura in modo a dir poco imbarazzante.
Ricordiamoci solo della fine che fece Pasolini in seguito a quelle
scomode indagini sui giri di soldi legati al petrolio... La verità
non è che lo si fraintende, ma che lo si vuole fraintendere e
affossare, sebbene il film sia inattaccabile per il valore che voleva
avere e che, tutt'oggi, ha. Una polemica forte, certo, ma doverosa
("severa ma giusta" direbbe qualcuno) e, anzi, più vicina
alle vittime rispetto a De Sade: qua i malcapitati, almeno alcuni,
hanno una seppur minima tridimensionalità che nell'autore francese di
fine 1700 non è concessa: c'è spazio solo per i carnefici e per le
loro barbarie.
Tiriamo
dunque le conclusioni: "Salò o le 120 Giornate di Sodoma"
è un magnifico film di Pasolini che, però, si è destinati ad
odiare se non si conoscono le giuste premesse. Giusto essere
impressionati, non è un film per tutti, ma secondo me ci sono cose
che Vanno affrontate, prima o poi, nella vita. E questo film ne è un
esempio. Inaccettabile la cattiva fama della pellicola che, in parole
povere, non poteva essere diversa da quel che è. Notevoli i
riferimenti all'opera originale di De Sade, molto
spesso ripresa paro paro. Il senso di disgusto del regista e
dell'autore sono evidenti come la loro totale condanna degli eventi.
E poi, seriamente, in quanti altri film avete visto, nei titoli
iniziali, una bibliografia di
documentazione del regista? Su, dai, siamo seri...
Ma questo è solo il parere di un ventenne che va al cinema nel 2015.
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