martedì 30 giugno 2015

L'Anima della Riscoperta (2): la "Justine" di De Sade


Salve, e bentornati tutti quanti all' "Anima dell Riscoperta", la serie in cui riscrivo, in versione più accurata, i vecchi articoli. Oggi è il turno della "Justine" di De Sade (1740-1814) cercando, se possibile, di essere meno volgare della volta scorsa (che, appositamente, non vi linko) !
Per essere raffigurato circondato da diavoli il "divin" marchese
era visto proprio bene dai suoi contemporanei!
La trama, in realtà, è molto semplice: Justine e Juliette, giovanissime, si ritrovano improvvisamente orfane e senza soldi. Mentre la prima cerca di rimanere casta e pura, l'altra si prostituisce e concede ad ogni tipo di corruzione, dall'infanticidio alla frode: così facendo diventa ricca e felice, in barba a bigotti e perbenisti! La sorella che, invece, cerca di mantenersi virtuosissima incappa in ogni tipo di disavventura: accusata di crimini che non ha commesso, stuprata e torturata ripetutamente, finisce in balia dei più
grandi pervertiti della Francia del 1700, ovviamente tutti nobili o ecclesiastici. Le sue disavventure sono un susseguirsi di catastrofi e disperazione, sofferenze e avversità, finché non si imbatte di nuovo in Juliette. Questa ha pietà della povera ragazza e la ospita trattandola al meglio delle proprie possibilità, dandole tutto quello di cui la vita l'ha privata. Ma per Justine la pacchia dura poco (e qua son costretto a dirvi il finale ma, credetemi, è molto importante e, se non volete rovinarvelo, chiudete immediatamente la recensione) : infatti, durante un temporale, Dio (o la Natura) lancia un fulmine che la centra in pieno: la nostra protagonista morirà carbonizzata all'istante, lei che non aveva mia fatto male nemmeno al più spietato dei suoi boia.
Il messaggio di fondo mi sembra chiaro: la morale è relativa ma, a volersi mantenere sempre e comunque casti, puri e ingenui, si finisce male; soprattutto quando si ha a che fare con una società corrotta dove, come diceva il filosofo inglese Hobbes (1588 d.C-1679 d.C), “Homo homini lupus” ossia “ogni uomo è per l’altro uomo come un lupoe non ci si può fidare di nessuno. La sorella Juliette, invece, priva di ogni scrupolo morale e ben educata all’ arte del piacere, vive tranquillamente e felicemente, ricca e desiderata. Come è meglio atteggiarsi, dunque? Santa ma martire o peccatrice e felice? La risposta non è così semplice: De Sade ha voluto fornirci un modello di vita da seguire o, piuttosto, un anti-modello?

Il volume si apre con una dedica fatta dall’ autore a una sua cara amica, in cui dice di aver voluto sottolineare che, se condite da disavventure e mali, le virtù hanno un valore molto più elevato:
-Oh, come mi rendono più fiera di amare la Virtù questi episodi del Crimine! Come essa è sublime tra le lacrime! Come la abbelliscono le sventure!- Oh Constance! Se pronuncerai queste parole le mie fatiche saranno coronate!.
Ora, dobbiamo veramente credere al nostro sadico romanziere? D’altra
parte, nelle ultimissime righe, egli esclama rivolto ai lettori:
Possiate convincervi, al pari di lei, che la vera felicità si trova solo in seno alla virtù e che se Dio, secondo piani che non sta a noi sondare, permette che essa sia perseguitata sulla terra, è solo per risarcirla in cielo con più dolci ricompense!
Sebbene questa frase parli chiaro, non è così esplicita la sua vera morale. Quasi tutte le sue opere, volutamente generalizzando, sono raccolte di perversioni sessuali senza un messaggio di fondo "positivo": possibile che abbia voluto concentrare tutta la questione in così poche righe? Oppure sono da leggere in senso ironico? Oppure è da leggere in senso ironico tutta la sua produzione letteraria? Oppure l'introduzione è stata scritta per pararsi da possibili attacchi? Eppure, alla fine, fu condannato e incarcerato comunque e non per le sue opere... Riscrivendo l'articolo, dopo più di un anno, non sono riuscito a trovare una risposta: aiutatemi voi con un commento qua sotto e venendomi a trovare sulla mia pagina Facebook!
La “Justine”, come qualunque opera di De Sade, è consigliabile solo a un pubblico strettamente adulto, che abbia lo stomaco forte e non si scandalizzi di fronte a certi temi Le scene di sesso sono più che abbondanti ma, data la crudezza dei fatti descritti e la loro inverosimiglianza, non provocano un eccessivo eccitamento. L’edizione BUR è venduta a 8,00 mentre quella della Garzanti €13,00, entrambe facilmente reperibili!

venerdì 26 giugno 2015

Recensione Lampo (09): "Aspettando Godot" di Samuel Beckett.


"Aspettando Godot" di Samuel Beckett è molto difficile da recensire. Anzi, a tratti è così assurdo che risulta quasi complicato parlarne. Quest'opera teatrale del 1952 è ascrivibile al genere del teatro dell'assurdo: quindi trama volutamente nonsense, dialoghi a volte incomprensibili e nessi logici vacillanti. Lo so, se non avete presente il genere sembra il trip di chi ha fatto uso di l'LSD, ma vi posso assicurare che, nel complesso, un senso lo si trova. A fatica, ma lo si trova.

Samuel Beckett vi osserva... e vi giudica...
Ed è questa la differenza, secondo me, tra il Vero nonsense e il Finto nonsense. Il primo è interpretabile e leggibile in più modi, magari anche volutamente in nessun modo, ma ha un proprio motivo di esistere e un pensiero di fondo che sottende il tutto, altrimenti sarebbe solamente un prodotto senza ragione d'esistere. Il Finto nonsense è rappresentato dal puro mettere cose a caso in ordine sparso su un foglio giustificandosi e convincendo il lettore che la cosa sia divertente perché non ha senso. Non voglio entrare nel dettaglio, per carità, ma tra "Alice nel Paese delle Meraviglie" di Carrol e una vignetta di Sio vi è tanta differenza quanta tra il mar Caspio e il lago di Como. Eh!


Ma "Aspettando Godot" è unico nella sua rappresentazione del non-sense: i personaggi si muovono liberi, sciolti da un qualunque legame con l'autore che sembra, invece, costantemente nascosto dietro le quinte a ridersela di fronte alle facce perplesse del pubblico che, atterrito, non capisce. Non vi voglio spoilerare NULLA della trama (o forse sarebbe meglio dire della "non-trama"?) perché vi rovinerebbe incredibilmente un'esperienza che merita di essere vissuta da zero, ma vi basti sapere che, a grandi linee, tutto ruota attorno a due protagonisti che, appunto, aspettano Godot. Potete dare qualunque interpretazioen vorrete ai vari personaggi (religiosa, politica, meta teatrale ecc.) ma sarà sempre sbagliata (secondo la concezione dell'autore) e giusta (secondo il vostro punto di vista) allo stesso tempo. Ma una cosa è certa: rimarrete sconvolti. Magari delusi, annoiati o straniti ma, di sicuro, sconvolti.



Non aspettatevi nemmeno una trama allegra ma, al contrario, un sacco di humour dolce amaro, dal sapore decisamente agrodolce. Del resto nelle altre opere di Beckett tutti i personaggi erano ridotti a delle larve prive di forza di volontà, che trascorrevano la loro esistenza nel grigiume della quotidianità. Ma, in quei casi, i protagonisti erano totalmente succubi della visione dell'autore mentre qui, come già detto, respirano un'aria totalmente diversa, per quanto influenzata (inevitabilmente) dal loro creatore.
Tuttavia non so se consigliarvi di leggerlo o meno: se sapete, anche solo un minimo, qualcosina della trama più di quanto non vi abbia detto vi direi di sì ma se non avete altre informazioni guardatevelo (penso si trovi su Youtube tranquillamente) per essere sicuri di godervelo al massimo. Sono dell'idea che, comunque, la sua lunghezza sia ben calibrata: non avrei sopportato di leggere altre 10 pagine, Beckett non ha sbrodolato (e poteva farlo per altre 1200 volendo) e ha compreso quando era il caso di concludere.


Con le sue sole 111 pagine, la bellissima introduzione di Carlo Fruttero e il costo ridotto, l'edizione Einaudi si dimostra assolutamente di prima qualità! Questo consiglio magari non sarà apprezzato da tutti, per carità, l'opera non ha la fama di essere "limpidissima" (e non lo è volutamente), ma penso che possa piacere, soprattutto a dei lettori coscienziosi come so che voi siete. 

L'articolo di oggi finisce qui! L'appuntamento è per martedì con il prossimo articolo e per stasera su Youtube per la live musicale della settimana: per rimanere aggiornati sull'evento di stasera e altro venite a trovarmi sulla pagina Facebook

mercoledì 24 giugno 2015

Recensione Lampo (08): "Tutta un'Altra Storia." di Giovanni Dall'Orto.

Si possono raccontare tanti tipi di "storie": biografie, autobiografie, storie di guerre, storie di battaglie, storie di popoli, storie della musica, storie di politica, storie dell'economia, storie della letteratura e potrei andare avanti all'infinito. Giovanni Dall'Orto, però, in "Tutta un'Altra Storia:

l'omosessualità dall'antichità al secondo dopoguerra", ha deciso di illustrare una storia un po' particolare: non la definirei la storia di un "gusto" né di una "passione" o di una "tendenza". La definirei, piuttosto, come "storia di persone". É la storia degli omosessuali dall'antichità fino al secondo dopoguerra. E sì, ho ripetuto "storia" in ogni frase.

Ed è questa una delle cose che mi è saltata all'occhio dopo essermi letto le oltre 500 pagine (senza contare le 200 e passa di note...) del saggio: sebbene si facciano anche tanti discorsi teorici su cosa sia o non sia l'omosessualità, non riesco a non vedere protagonisti gli uomini come appaiono dai testi letterari, da documenti giuridici e dalle testimonianze dei loro contemporanei. Persone spesso perseguitate, non comprese e poco volute ma a volte fiere, orgogliose e incredibilmente simili a noi per emozioni e idee. L'uomo cambia nel tempo e nello spazio ma la matrice, gira e rigira, rimane sempre la stessa.

Il libro, trattando 3000 anni di storia, non può permettersi di spiegare alcuni concetti e nozioni di fondo: è un libro per chi sa muoversi nello spazio e nel tempo senza rimanere stranito di fronte a certi modi di pensare o evoluzioni politiche. Non sono richieste profonde conoscenze di base, per carità, ma non aspettatevi di capire cosa sia il Congresso di Vienna, per dire! Questo è un limite del libro (è per molti, non per tutti) ma anche un suo pregio (può essere così molto più diretto e perdersi meno in chiacchiere). Altra caratteristica che è bene che sappiate: si parla di Storia, non di storia della letteratura. Numerosi i riferimenti letterari, certo, ma mancano "biografie" di Leonardo da Vinci, Oscar Wilde e Virginia Woolf: a questi personaggi è dedicato molto, moltissimo spazio già da altri autori. Lo scopo di Giovanni è quello di mostrare, invece, la visione della società e il punto di vista di autori sicuramente meno noti (voglio vedere chi di voi conosce Pacifico Massimo e il suo "Ecatelegium"!) ma non per questo meno interessanti. Quindi riferimenti limitati alla zona Europea e niente analisi troppo approfondita dei brani letterari. D'altra parte, però, già così il libro è diventato veramente voluminoso: come si poteva aggiungere altro? Semplice, affiancando un sito internet che mette a disposizione approfondimenti di qualunque tipo, da schede di autori non affrontati a numerosissimi testi letterari: il sito di

Giovanni Dall'Orto lo trovate qui e merita ben più di una visita. Come se non bastasse il libro è pieno di spunti su possibili ricerche da compiere in futuro: culture diverse, archivi inesplorati e testi letterari da analizzare giacciono ancora da studiare (in Italia, almeno). Altra cosa da notare: questo è il primo saggio del genere edito da noi. Lavori come questo sono realizzati da anni, ormai, nei paesi anglofoni (e non solo) mentre da noi, per via di pruderie democristiane che, a quanto pare, ancora non ci siamo levati del tutto,
 abbiamo dovuto aspettare il 2015!

Tranne forse in un paio di punti, non ho trovato il saggio "di parte": la storia è storia e in quanto tale dovrebbe essere conosciuta da tutti, dalle "Sentinelle in Piedi" al "gay della strada". Posso capire, comunque, che leggerlo tutto di fila possa essere stancante e faticoso col rischio di finire con l'odiare quello che dovrebbe essere, se non un passatempo, quantomeno qualcosa di gradevole.



Per chiudere, ecco qualche informazione per voi: Il libro è edito dal "Saggiatore" e lo trovate a 27€ (a mio parere assolutamente ben spesi) facilmente reperibile anche su ordinazione. Se invece, nel leggerlo, aveste qualche dubbio/curiosità potete contattare direttamente Giovanni sulla sua pagina Facebook che risponderà, sempre gentilissimo: se vi capita, ditegli che vi ho mandato io, mi raccomando! Inoltre vorrei sapere da voi se siete interessati o meno ad approfondire la questione, nell'ipotesi di realizzare, in futuro, qualche articolo al riguardo: ditemelo lasciando un commento qua sotto (sono aperti a tutti) o venendomi a trovare sulla mia pagina Facebook! Nel lasciarvi, dandovi appuntamento a venerdì, vi metto qua sotto la mia intervista-dibattito a Giovanni: spero proprio vi piaccia ed appassioni! 


lunedì 22 giugno 2015

Piccolo Viaggio nella Storia della Letteratura (3): la Nascita del Volgare Italiano.

Parlare della storia della lingua italiana in un articolo ha lo stesso senso di chiedere, a un esame, "Mi parli della storia del diritto in Cina": a me è successo, ma questa è un'altra storia. Ovviamente quello che leggerete, come per tutta questa serie di articoli, altro non è che un breve, pallido e scarno riassunto di come è nata (e non sviluppata) la nostra lingua. Nulla che di solito non si faccia al liceo, eh, ma perché non farci una ripassatina tutti assieme (me compreso)? Le indicazioni sono le stesse che sono valse per gli articoli precedenti (se andate qua all'ultimo, così capite anche dove siamo arrivati, trovate tutti i link che vi servono): prendetele, leggetele e mettetevele in tasca che si ricomincia!



I primi documenti in lingua italiana volgare che possediamo sono, in massima parte, brevi brani letterari dopo documenti giuridici. Ai tempi tutti i testi ufficiali erano redatti in latino: magari non proprio quello dell'antica Roma, ma di sicuro non in italiano (che da adesso chiamiamo "volgare",
"Cantico delle Creature" o "Cantico di Frate Sole"
ovvero del popolo, per comodità). Da qui l'incredibile importanza di questi ritrovamenti che attestano che nel parlato di tutti i giorni si usava un'altra lingua, diversa da quella ufficiale. Questo lo sapeva bene s. Francesco (1181-1226) che compose molte sue preghiere (tra cui il celeberrimo "Cantico di Frate Sole") in volgare, così che fossero comprensibili e capibili da molte persone. Questa cosa non faceva di certo impazzire la chiesa che voleva, invece, mantenere il latino anche per i testi sacri: in questo modo la gente non capiva quello che sentiva e non poteva farsi un'idea propria. Scelta lungimirante, devo dire, ma così è stato fino a cinquant'anni fa più o meno!

Ma se la novità di s. Francesco è straordinaria, il volgare come lingua usata in opere letterarie non era una rivoluzione così forte. Tra le varie attestazioni va segnalato il filone della letteratura popolare, messa per iscritto di racconti che provenivano da una tradizione orale millenaria di portata anche extra-europea. Questo è il caso del celebre "Novellino" di fine 1200, un testo che raccoglieva 50 brevi racconti, pieni di saggezza popolare, in un italiano acerbo rispetto a quello che abbiamo noi... ma pur sempre volgare! In realtà il testo è veramente interessantissimo e andrebbe assolutamente letto: a tal proposito ne esiste una buona versione curata dalla BUR che potete trovare molto facilmente per pochi euro. Tuttavia la lingua è Molto distante da quella di un Boccaccio. Ovviamente ho preso ad esempio solo un testo di prosa ma, volendone citare anche altri, vi è il "Milione" del buon Marco Polo di cui parlai un annetto fa in questo articolo, se avete voglia di darci un'occhiata.

Ma per avere dei testi letterari "alti" bisogna ricollegarci a dove eravamo arrivati l'ultima volta parlando di Medioevo. Infatti la crociata contro gli Albigesi e i Catari nel sud della Francia (1209-1229) portò, oltre a uno dei più grandi massacri della storia, anche alla fuga di poeti verso l'Italia. E se Sordello da Goito (1200-1269), col suo "Compianto in Morte di ser Blacatz" (in cui invita gli ospiti del funerale a nutrirsi del cuore del defunto, alla faccia dell'allegria), è l'unico che si sposta a nel nord Italia, a Mantova, tutti gli altri invece trovano rifugio presso la corte di Federico II in Sicilia. Ed è qui che, sotto l'ala di questo sovrano illuminato dagli orizzonti molto vasti, si sviluppò la scuola dei poeti siciliani che conta, tra i vari nomi, Cielo d'Alcamo, Giacomo da Lentini (1210-1260), Stefano Protonotaro e Pier della Vigna (1190-1249). Inutile dirlo, tutti scrissero in un volgare italiano particolarmente elevato e mirabile, nettamente superiore ai loro predecessori!
La scuola siciliana e Federico II: per carità, svilupparono la poesia
ma la pittura...
Questo movimento piacque così tanto che si trasferì in area Toscana dando origine prima ai Siculo-Toscani (Guittone d'Arezzo e Buonagiunta Orbicciani) e poi ai Toscani veri e propri, guidati dal grande Guido Cavalcanti (1258-1300). Questa scuola, per il suo stile particolarmente sonoro (tutte le composizioni, ricordiamolo, erano accompagnate da musica) e i temi d'amore che riprendevano lo stile cortese medievale, viene chiamata del "Dolce Stil Novo". Tra i vari esponenti troviamo anche un nome a noi leggermente noto: sto parlando, ovviamente, del fiorentino
Dante Alighieri (1265-1321). Ma attenzione, non ci interessa ora vedere tutto quello che scrisse quest'uomo ma solo un paio di opere in particolare (se no finiamo domani con l'articolo). Al signor Alighieri il volgare piaceva tanto, ma così tanto, che decise di scriverci su un trattato, il "L'Eloquenza in Lingua Volgare" ("De Vulgari Eloquentia"): qui egli illustra, in latino, agli altri dotti che non volevano accettare il volgare come lingua per i loro studi alti, che in realtà questo idioma era altrettanto bellissimo e nobilissimo e poteva essere usato per qualunque tipo di opera. Infatti Dante lo nobilitò come mai nessuno prima (e dopo) nell'ambito dei poemi (che son diversi dalla poesia) con la Divina Commedia, di cui mi sembra ridicolo parlarvi ora.



Ma poesia e prosa ancora non avevano trovato una loro perfezione formale: a dargliela furono solo, rispettivamente, il "Canzoniere" di Francesco Petrarca (1304-1374) e il "Decameron" di Giovanni Boccaccio (1313-1375), due opere che, insieme alla Commedia, fondano le tre colonne portanti della nostra lingua. E quindi, se adesso siamo qua io a a scrivere su un blog e voi a comprendere quello che vedete... non pensate che dovremmo ringraziare qualcuno?


La prossima volta (che non ho idea di quando sarà al momento) vediamo insieme Umanesimo e Rinascimento mentre già dopodomani, se riesco (al limite venerdì), uscirà la nuova recensione dell'ultimo libro che ho letto: non vedo l'ora di parlarvene! Come sempre per rimanere costantemente aggiornati sulle ultime novità il canale principale è la pagina Facebook: fateci un salto se vi va, no?

venerdì 19 giugno 2015

Speciale: un anno di pagina Facebook!

Quello di oggi non è un articolo in senso stretto. Lunedì si torna regolari, ma prima un mio video per festeggiare un anno di pagina facebook. In questo video do un volto a questo blogger che scrive qui da un anno e mezzo e che fin'ora è sempre rimasto nell'anonimato. Perché lo faccio? Per avere un rapporto più diretto con voi e farvi capire qual'è il grado di fiducia che vi do. Ma non mi dilungherò ancora, spero apprezzerete il gesto e... "ci si vede" lunedì con un nuovo articolo. 

GRAZIE A TUTTI DI TUTTO IN QUESTO TEMPO!



martedì 9 giugno 2015

Piccolo Viaggio nella Storia della Letteratura (2): il Medioevo

Ciao a tutti! Oggi, dopo tanto tempo, riprendiamo in mano questo piccolo percorso nella storia della letteratura con il periodo Medievale. Le premesse sono le stesse per i due articoli precedenti sulla Grecia e Roma: queste non sono guide complete, non voglio dire tutto ma dire abbastanza così che chi non ha avuto modo di studiare la storia della letteratura possa avere, quantomeno, un punto di riferimento generale da consultare anche per articoli futuri. Ma non perdiamo altro tempo e iniziamo da dove siamo arrivati...



Siamo tra il 400 e il 500 d.C., periodo in cui l'Impero Romano è in forte crisi. In questo periodo si va ad affermare la divisione tra Impero Romano d'Occidente, con capitale a Roma, e Impero Romano d'Oriente, con capitale Costantinopoli (poi Bisanzio e infine Istanbul). Di quest'ultimo non mi occuperò: va solo segnalato, come autore, Procopio di Cesarea che, nella "Storia Segreta", dà un ritratto molto crudo e scandaloso della corte imperiale di Giustiniano e Teodora, personaggi a detta sua dal dubbio gusto e dalla dubbissima morale: ve lo consiglio, può essere una lettura molto gradevole e divertente! In ogni caso questa parte di impero crollerà solo nel 1453: una data molto importante di cui riparleremo approfonditamente! Ma torniamo ora allo sfortunatissimo Impero Romano d'Occidente che, invece, cede nel 476 d.C., schiacciato dal peso delle incursioni barbare. In questo
"Oh Madonna, ci risiamo..."
periodo vive il secondo autore cristiano più importante: Sant'Agostino di Ippona (354 - 430) che tra le "Confessioni" e la "Città di Dio" fonda quello che sarà il pensiero ufficiale cristiano per molti secoli a venire. In questo periodo gli scrittori cristiani sono sulla cresta dell'onda e la religione si diffonde piano piano anche tra i barbari. Gli altri scrittori cristiani di grandissima importanza sono Isidoro di Siviglia (560 - 635) che scrive le "Etimologie", un librone in cui cerca di spiegare l'origine delle parole (sbagliando 5 volte su 6) e San Tommaso d'Aquino (1225 - 1274) che merita un piccolissimo discorso a parte.

San Tommaso d'Aquino, in tutto il suo splendore
Si può dire, a tutti gli effetti, che Tommaso abbia fondato il cattolicesimo come noi lo conosciamo: dogmi, prese di posizione e morale sono fissate e catalogate nella sua "Summa Teologica", il libro veramente più importante per i cristiani, forse anche più dei Vangeli stessi. Egli fonde la dottrina cristiana alla filosofia di Aristotele che conosce e studia grazie alle traduzioni dall'arabo che riescono ad arrivare nel mondo cristiano. Egli fonda e cataloga tutto quell'oceano di conoscenze confuse in un modello di catechismo ordinato tutt'ora in vigore: chapeau!

I religiosi, che copiano sostanzialmente i testi che a loro fa più piacere, non sono però gli unici autori che troviamo. Una grande testimonianza di cosa fosse il regno dei Longobardi ci viene da Paolo Diacono (720 - 799) che scrive, appunto, la "Storia dei Longobardi" e che merita decisamente di essere ricordato. Gli influssi di questi popoli si fecero sentire parecchio, tanto da modificare interi sistemi di valori in molti ambiti, da quelli alimentari a quelli giuridici per non parlare della quasi unificazione dell'Italia: anche qui, chapeau!

E vi sembrerà strano ma per l'Alto Medioevo, che va fino all'anno 1000 circa, non ci sono altri autori. Ma il fatto che non ci sia un'opera scritta da una persona specifica non vuol dire che non circolino componimenti di altro tipo. Infatti, alle corti dei regnanti, vanno molto di moda i poemi cavallereschi, che venivano cantati da cantastorie e buffoni di corte. Sostanzialmente queste opere parlano di 3 cose: o di Re Artù e Lancillotto (ne ho parlato pure io QUI, ricordate?), o di Carlo Magno (la "Canzone di Orlando" la conosciamo praticamente tutti, penso) o di ciò che avveniva nell'antica Roma. Tutte queste narrazioni erano idealizzate: non per forza si ispiravano a personaggi realmente vissuti e i protagonisti si spostano in una cornice senza tempo e spazio reale. Così Giulio Cesare poteva, in un giorno, cavalcare da Roma a Camelot e incontrare Re Artù (cosa che, tra l'altro, succede sul serio). Alcune opere vengono messe per iscritto ma la maggior parte rimangono orali arrivando tranquille fino al 1200 quando vennero messe per iscritto da vari autori e, in particolare, da un certo Chrétien de Troyes (1135 - 1190) che però reinterpreta tutto sotto la chiave dell' "Amor Cortese".

"Ammazzamenti 2D": gli Avengers prima degli Avengers!




Spero tanto tanto per Arnaut che fosse un po' pi bello di così...


Questa moda viene fondata da un poema, il "Romanzo della Rosa" (rosa che sta a significare, tra l'altro, l'organo genitale della donna), che si diffonde in tutta Europa a una velocità incredibile: uno dei primi best seller della storia! In particolare vengono colpiti da quest'idea di amore i poeti trobadori ("trovatori" in Italia) della Francia del sud. Gente come Guglielmo d'Aquitania (1071 - 1126), Arnaut Daniel (1159 - 1210), inventore tra l'altro della sestina, e Bertran de Born (1140 - 1215) pongono su un piano superiore di esistenza la donna e la venerano ed adorano in modo quasi maniacale: loro fine il portarle amore e piacere in ogni modo così da averne, a loro volta, indietro. Questo modello d'amore arriverà presto anche in Italia...

mM per oggi direi che siamo a posto così! Settimana prossima continuiamo con una nuova tappa: la nascita della lingua italiana dalla scuola siciliana fino a Boccaccio! Non mancate!

giovedì 4 giugno 2015

Medea la Folle: l'Odio e la Vendetta

Una piccola premessa per chi si fosse perso la puntata precedente. In questa piccola serie di tre articoli voglio ricostruire le vicende di Medea ponendovi di fronte a un quesito finale: vi sareste comportati come lei se foste stati nei suoi panni? Ovviamente il gioco è di immedesimarsi con l'eroina nel suo tempo e nella sua epoca. Quindi sono molto più che benvenuti i vostri commenti qui sotto, aperti a tutti anche senza account Google Plus, oppure sulla pagina facebook!

Medea è un personaggio molto controverso. L'altra volta aveva fatto letteralmente a pezzi il fratello per fuggire con l'amante Giasone abbandonando il padre, il re Eeta, e la sua patria, la Colchide, una terra completamente diversa dalla Grecia dove si sta dirigendo e di cui non conosce nulla. Se vi ricordate Giasone e i suoi 50 erano stati costretti dal re Pelia, zio di Giasone, a prendere il vello d'oro per poter allontanare il più possibile il nipote, nella speranza che morisse tra atroci sofferenze in quanto legittimo erede al trono che aveva conquistato con l'inganno. Tuttavia, appunto, l'eroe torna sano e salvo ma il tiranno non gli vuole cedere il potere. Allora Medea escogita un trucco: convince le figlie di Pelia a farlo a pezzi (una cosa che alla nostra eroina piaceva molto, a quanto pare) e a bollire le sue carni dopo avergli fatto bere un intruglio: ne sarebbe rinato ringiovanito. Ovviamente così non fu e i due sposini si trovano a fuggire precipitosamente da Iolco (#Yolco) per rifugiarsi a Corinto. Ed è da qui che il tragediografo Euripide inizia la sua tragedia (la "Medea", appunto) e da qui che riprendiamo la nostra eroina...

Le figlie di Pelia si accingono a "ringiovanirlo"


Ritroviamo i nostri personaggi con qualche anno in più e due figli sul groppone, due bellissimi maschietti. Mentre Giasone è ben visto dalla comunità (rimane comunque un eroe con origini divine), Medea, da brava donna nell'antica Grecia proveniente da un paese straniero, non solo se ne sta chiusa in casa come tutte ma viene anche mal vista, tanto da risultare una presenza decisamente scomoda nella città: in fondo diciamo che ha, al momento, giusto qualche morto sulla coscienza, un po' di diffidenza è pure comprensibile. La situazione diventa sempre più tesa finché il re di Corinto, Creonte, offre in sposa la figlia Glauce a Giasone, nonostante egli sia già impegnato con Medea. E lui? Che fa? Accetta, ovvio no? E Medea? Ha fino all'alba del giorno dopo le nozze per lasciare la città!

Incomparabile l'espressione di pura follia di Medea
Ora, come potete ben immaginare, Medea ci rimane, giustamente, un po' di merda: sola, in un paese sconosciuto, è abbandonata dall'uomo che le ha fatto tradire la sua patria (dove tutti la odiano comunque) per amore e che le ha dato due figli. In più se ci aggiungiamo il fatto che è una giovane donna sui vent'anni in una Grecia al 100% maschilista... bhe, diciamo che ci sono state situazioni migliori! Che fare allora? Perché non escogitare una tremenda Vendetta? Si finge disposta ad accettare il fatto che dovrà abbandonare marito, figli e terra e invia in dono alla sposa un mantello e un diadema per la festa. Ovvimente non stiamo parlando di una donna qualunque ma di una maga accecata dalla follia omicida: infatti si tratta di doni avvelenati e appena vengono indossate da Glauce questa prende fuoco come una fiaccola. Il padre Creonte si slancia sulla figlia per salvarla ma anch'egli "s'accende" e non di passione: muoiono così in preda ad atroci dolori sotto gli occhi della corte e di Giasone. Questi non fa in tempo a capire che dietro a tutto questo c'è Medea e a raggiungerla che scopre che ormai è accaduto il peggio...


Medea infatti HA FATTO A PEZZI I FIGLI e sta fuggendo su un carro trainato da draghi volanti. Allora, fa letteralmente a pezzi i figli di fronte agli occhi del suo, ormai ex, amato. Decisamente una soluzione... estrema! Ma voi, sinceramente, cosa avreste fatto? Sì, il gesto è estremo e lei accecata dall'ira ma teniamo conto anche della sua posizione in quel momento e di cosa ha dovuto passare prima. Il gesto di Giasone è imperdonabile ma... addirittura uccidere i figli innocenti? Vero anche che se fosse stata lei a morire, suicidandosi, non avrebbe inferto un colpo così duro al marito. L'idea di voler sterminare ogni legame di sangue è molto arcaica e riflette un ordine non solo umano ma anche divino. Che abbia fatto bene a punire Giasone perché si è rivoltato contro la morale comune? Che questo gesto sia stato "infuso" in lei dalle divinità? Più che Medea condivisibile qui la domanda è... Medea è perdonabile? A voi la risposta...