Parlare
della storia della lingua italiana in un articolo ha lo stesso senso
di chiedere, a un esame, "Mi parli della storia del diritto in
Cina": a me è successo, ma questa è un'altra storia.
Ovviamente quello che leggerete, come per tutta questa serie di
articoli, altro non è che un breve, pallido e scarno riassunto di
come è nata (e non sviluppata) la nostra lingua. Nulla che di solito
non si faccia al liceo, eh, ma perché non farci una ripassatina
tutti assieme (me compreso)? Le indicazioni sono le stesse che sono
valse per gli articoli precedenti (se andate qua all'ultimo, così
capite anche dove siamo arrivati, trovate tutti i link che vi
servono): prendetele, leggetele e mettetevele in tasca che si
ricomincia!
I
primi documenti in lingua italiana volgare che possediamo sono, in
massima parte, brevi brani letterari dopo documenti giuridici. Ai
tempi tutti i testi ufficiali erano redatti in latino: magari non
proprio quello dell'antica Roma, ma di sicuro non in italiano (che da
adesso chiamiamo "volgare",
ovvero del popolo, per
comodità). Da qui l'incredibile importanza di questi ritrovamenti
che attestano che nel parlato di tutti i giorni si usava un'altra
lingua, diversa da quella ufficiale. Questo lo sapeva bene s.
Francesco (1181-1226) che compose molte sue preghiere (tra cui il
celeberrimo "Cantico di Frate Sole") in volgare, così che
fossero comprensibili e capibili da molte persone. Questa cosa non
faceva di certo impazzire la chiesa che voleva, invece, mantenere il
latino anche per i testi sacri: in questo modo la gente non capiva
quello che sentiva e non poteva farsi un'idea propria. Scelta
lungimirante, devo dire, ma così è stato fino a cinquant'anni fa
più o meno!
"Cantico delle Creature" o "Cantico di Frate Sole" |
Ma
se la novità di s. Francesco è straordinaria, il volgare come
lingua usata in opere letterarie non era una rivoluzione così forte.
Tra le varie attestazioni va segnalato il filone della
letteratura popolare, messa per iscritto di racconti che provenivano
da una tradizione orale millenaria di portata anche extra-europea.
Questo è il caso del celebre "Novellino" di fine
1200, un testo che raccoglieva 50 brevi racconti, pieni di saggezza
popolare, in un italiano acerbo rispetto a quello che abbiamo noi...
ma pur sempre volgare! In realtà il testo è veramente
interessantissimo e andrebbe assolutamente letto: a tal proposito ne
esiste una buona versione curata dalla BUR che potete trovare molto
facilmente per pochi euro. Tuttavia la lingua è Molto distante da
quella di un Boccaccio. Ovviamente ho preso ad esempio solo un testo
di prosa ma, volendone citare anche altri, vi è il "Milione"
del buon Marco Polo di cui parlai un annetto fa in questo articolo,
se avete voglia di darci un'occhiata.
Ma
per avere dei testi letterari "alti" bisogna ricollegarci a
dove eravamo arrivati l'ultima volta parlando di Medioevo. Infatti la
crociata contro gli Albigesi e i Catari nel sud della Francia
(1209-1229) portò, oltre a uno dei più grandi massacri della
storia, anche alla fuga di poeti verso l'Italia. E se Sordello da
Goito (1200-1269), col suo "Compianto in Morte di ser
Blacatz" (in cui invita gli ospiti del funerale a nutrirsi
del cuore del defunto, alla faccia dell'allegria), è l'unico che si
sposta a nel nord Italia, a Mantova, tutti gli altri invece trovano
rifugio presso la corte di Federico II in Sicilia. Ed è qui che,
sotto l'ala di questo sovrano illuminato dagli orizzonti molto vasti,
si sviluppò la scuola dei poeti siciliani che conta, tra i vari
nomi, Cielo d'Alcamo, Giacomo da Lentini (1210-1260), Stefano
Protonotaro e Pier della Vigna (1190-1249). Inutile dirlo, tutti
scrissero in un volgare italiano particolarmente elevato e mirabile,
nettamente superiore ai loro predecessori!
La scuola siciliana e Federico II: per carità, svilupparono la poesia ma la pittura... |
Questo
movimento piacque così tanto che si trasferì in area Toscana dando
origine prima ai Siculo-Toscani (Guittone d'Arezzo e Buonagiunta
Orbicciani) e poi ai Toscani veri e propri, guidati dal grande Guido
Cavalcanti (1258-1300). Questa scuola, per il suo stile
particolarmente sonoro (tutte le composizioni, ricordiamolo, erano
accompagnate da musica) e i temi d'amore che riprendevano lo stile
cortese medievale, viene chiamata del "Dolce Stil Novo".
Tra i vari esponenti troviamo anche un nome a noi leggermente noto:
sto parlando, ovviamente, del fiorentino
Dante Alighieri (1265-1321).
Ma attenzione, non ci interessa ora vedere tutto quello che scrisse
quest'uomo ma solo un paio di opere in particolare (se no finiamo
domani con l'articolo). Al signor Alighieri il volgare piaceva tanto,
ma così tanto, che decise di scriverci su un trattato, il
"L'Eloquenza in Lingua Volgare" ("De Vulgari
Eloquentia"): qui egli illustra, in latino, agli altri dotti che
non volevano accettare il volgare come lingua per i loro studi alti,
che in realtà questo idioma era altrettanto bellissimo e nobilissimo
e poteva essere usato per qualunque tipo di opera. Infatti Dante lo
nobilitò come mai nessuno prima (e dopo) nell'ambito dei poemi (che
son diversi dalla poesia) con la Divina Commedia, di cui mi sembra
ridicolo parlarvi ora.
Ma
poesia e prosa ancora non avevano trovato una loro perfezione
formale: a dargliela furono solo, rispettivamente, il "Canzoniere"
di Francesco Petrarca (1304-1374) e il "Decameron" di
Giovanni Boccaccio (1313-1375), due opere che, insieme alla Commedia,
fondano le tre colonne portanti della nostra lingua. E quindi, se
adesso siamo qua io a a scrivere su un blog e voi a comprendere
quello che vedete... non pensate che dovremmo ringraziare qualcuno?
La
prossima volta (che non ho idea di quando sarà al momento) vediamo
insieme Umanesimo e Rinascimento mentre già dopodomani, se riesco (al
limite venerdì), uscirà la nuova recensione dell'ultimo libro che
ho letto: non vedo l'ora di parlarvene! Come sempre per rimanere
costantemente aggiornati sulle ultime novità il canale principale è
la pagina Facebook: fateci un salto se vi va, no?
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