Salve,
e benvenuti a questo nuovo articolo (wiii, la gggioia proprio)! Prima
di iniziare due cosine cosette piccine picciò. Innanzitutto potreste
notare un cambio di caratteri (no , non sono schizzofrenico): questo
perchè sto usando un nuovo strumento di lavoro diverso da Word
(LibreOffice) e faccio ancora un po' fatica ad usarlo e ad
adattarmici e, quindi, per un po' potreste vedere qualche variazione
(se faccio fatica ad usare un programma di scrittura figuratevi quali
possano essere le mie capacità informatiche! Penso che un procione
abbia più dimestichezza di me nell'usare anche "campo
fiorito"!). Inoltre ho scoperto che presenta comunque qualche
difetto parecchio fastidioso: non corregge gli errori di battitura e,
vi posso assicurare, io ne faccio diversi perchè o scrivo al buio o
digito i tasti troppo in fretta e non mi accorgo di quel che esce
sullo schermo (tutte balle, la verità è che sono spesso e
volentieri distratto da altro). In ogni caso se ne vedete non è che
non sappia scrivere o che non sappia l'italiano (anche se non è
detto): non è che magari siete voi che non sapete leggere? Comunque
iniziamo con questo articolo che, vi assicuro, si rivelerà molto più
"particolare" di quanto non possiate pensare.
Innanzitutto
ecchiè Mary Shelley? Non solo si tratta di una delle più grandi
scrittrici (non nel senso che era alta e cicciona) del 1800 romantico
ma fu, in primo luogo, una vera rivoluzionaria le cui azioni, spesso
censurate dai libri di testo, farebbero ancora scandalizzare se solo
fossero portate alla luce. Mary Wollstonecraft Godwin (questi i
cognomi della madre e del padre mentre Shelley era quello del marito
Pierce) nasce a Londra nel 1797. La madre, Mary (1759-1797) pure lei
(ah, le cose magnifiche che può fare la fantasia...), era una
filosofa e una delle prime femministe della storia del pensiero
moderno: morì però una decina di giorni dopo aver messo al mondo
sua figlia per delle complicazioni dovute al parto. E così il padre
della piccola, William Godwin (1756-1836), pionere del pensiero
anarchico, si ritrovò per qualche anno a dover allevare due bambine,
Mary e Fanny, figlia di una precedente relazione della defunta
moglie. Questo almeno finchè, ad aiutarlo, non arriva una nuova
moglie, sua vicina di casa (la scusa che è finito lo zucchero
funziona sempre), già madre di Claire, una ragazza un po' ribelle
diremmo oggi. Ma la vita continuava tutto sommato tranquilla e, a
parte le bravate di Claire (battone si nasce, non si diventa), tutto
sembrava andare per il meglio fino al 1814 quando Mary fece la
conoscenza di un allievo del padre: Pierce Bysshe Shelley
(1792-1822). Questi era un giovane poeta rivoluzionario (pure lui,
sì, andava di moda si vede) che, dopo essere stato scacciato
dall'università di Oxford per aver sostenuto i suoi ideali atei
(cosa poco tollerata ai tempi), era scappatao giovanissimo in Irlanda
con sua moglie (sicuramente rivoluzionaria pure lei), da cui aveva
avuto due bambini, a cercare di far ribellare la popolazione contro
il dominio Inglese (l'isola era praticamente una schiava del fiero
impero britannico): qui non solo fallì miseramente nell'impresa di
aizzare la gente contro gli oppressori (che vuoi gliene fregasse a
dei poveri contadini che vivevano tra pecore e patate?) ma abbondonò
pure moglie e figli perchè pare che lei non potesse capire la poesia
(allora scuuuusa Pierce, sei mejo tu). E fu così che il giovane
ribelle poeta si ritrovò a dicutere di filosofia a casa del suo
maestro Godwin: e, si sa, tra una discussione e l'altra, il corpo ha
pur bisogno di sfogarsi in qualche modo. E fu così che Mary,
diciassettenne desiderosa di provare nuove esperienze (leggi pure
maiala), non perse tempo a farsi aprire come un'ostrica ai pranzi di
matrimonio e a farsi riempire come un fagiano imbalsamato: infatti,
mossa da spirito ribelle, pare che la prima volta che il portone
principale le fu sfondato da Pierce si trovassero sulla tomba della
madre (il buongusto proprio) per esternare questa voglia di andare
contro il sistema e di rompere ogni pregiudizio che li avrebbe
seguiti anche negli anni seguenti. E infatti dopo poco tempo scappò
via di casa con il fidanzato in un giro di un anno in Europa da cui
tornarono per mancanza di fondi e con un bel bambino che stava per
nascere: Mary però partorì troppo presto e il neonato morì dopo
poco tempo, trauma questo che segnò per sempre la scrittrice (mentre
il marito, catafratto di oppio com'era, probabilmente nemmeno se
n'era accorgeva).
Ma
in quel periodo non erano gli unici personaggi a far sentir parlare
di sè: il vero protagonista di ogni dibattito e scandalo a sfondo
sessuale era l'eccentrico ed esuberante Lord George Byron (di cui ora
tracciamo solo i tratti più generali: si merita troppo un capitolo a
parte!). Anche lui, in compagnia del suo timido e introverso (e anche
molto gay) medico di fiducia John Polidori, si sarebbe avventurato,
l'anno successivo, in un travagliato viaggio attraverso l'Europa per
comporre un diario di viaggio raggiungendo, in Svizzera, una casa sul
lago di Ginevra: villa Diodati (il tragitto e la relazione
Byron-Polidori nonchè l'opera "Il Vampiro" di quest'ultimo
me le tengo buone per un articolo futuro). Ed è qui che arrivarono
pure Pierce, Mary e Claire, anche loro in viaggio per il continente
alla ricerca di Byron (padre del bambino che la sorellastra della
Shelley aspettava e che lui non aveva poi così tanta voglia di
riconoscere) dopo vari imprevisti e situazioni scabrose: pare infatti
che Pierce non disdegnasse la presenza della sorellastra della moglie
nello stesso letto (d'altra parte tre è meglio di due e i lettoni,
si sa, rimangono sempre un po' freddi ai lati se non sono belli
pieni) tant'è che, più tardi, quando i tre approdarono a Napoli,
nei registri dell'anagrafe compare un bambino che porta il cognome
Shelley e, sicuramente, a quel tempo non poteva essere di Mary. In
ogni caso non perdiamoci in dettagli scabrosi e torniamo a villa
Diodati in quello strano 16 giugno del 1816. E proprio di strano
dobbiamo parlare: infatti si era scatenato un tempo terribile, una
tempesta con pioggia e grandine come non se ne vedeva da tempo e i
nostri eccentrici protagonisti erano costretti a starsene chiusi in
casa. Poi, si sa, quando sì è costretti a rimanere tra quattro mura
per così tanto tempo, anche se si è giovani e ribelli, dopo la
terza orgia di fila ci si comincia ad annoiare (e non sono solo mie
supposizioni, sia chiaro, che tutto ciò avvenisse). E allora che
fare? Fu così che la notte, stanchi di prendere per il culo
Polidori, Byron e Pierce ebbero un'idea molto particolare: perchè
non creare, ciascuno a turno, un racconto dell'orrore? Chi avrebbe
creato la storia più spaventosa avrebbe vinto ( e non ci voleva
molto se Pierce, catafrattissimo, era scappato via urlando dalla sala
la sera prima quando si era citata, in modo molto casuale, una donna
che aveva gli occhi al posto dei capezzoli. No, ancora non erano
arrivati i giochi di Saw, se no altro che organi invertiti...).
Alla
fine, quella notte, vennero partorite tre opere: il "Vampiro"
di Polidori, un frammento di Byron e il celebre "Frankenstein"
di Mary Shelley di cui vi parlo oggi: gli altri li rimando a un'altra
volta.
Allora,
non penso che ci sia bisogno di riassumervi troppo il "Frankenstein",
è abbastanza nota come trama: un giovane studente di medicina
resuscita un morto che lo insegue dappertutto uccidendo i suoi cari e
rovinandogli la vita. Il romanzo è molto gradevole da leggere, lo
trovate in millemila edizioni diverse, non farete fatica nè a
cercarlo nè ad affrontarlo: casomai trovaste troppo impegnativa la
lettura di un libro in prosa che ha conquistato generazioni di
persone e che palra di morti e massacri allora guardatevi
"Frankenstein Junior" che vi fate pure due risate (se non
lo avete mai visto e pensate che sia troppo sbatti giardarvi un film
comico tra i più divertenti mai realizzati, ragazzi, veramente, non
so che dirvi!). Ora pensavo di concentrarmi di più sulle basi su cui
si fonda l'opera e sulle sue conseguenze per poi accennare a una mia
personale interpretazione del testo.
Come
detto questo mostro (che non si chiama Frankenstein ovviamente,
quello è lo studente che lo crea) è un morto resuscitato tramite
l'utilizzo di una forte scarica elettrica che avrebbe dovuto
riavviare il battito cardiaco e gli impulsi nervosi del cervello (non
provateci col vostro, tanto non funziona). Questa teoria è anche
nota come galvanizzazione e, il più grande studioso che abbia mai
provato a studiare questi fenomeni, fu un certo Erasmus Darwin, nonno
di quel Charles che avrebbe formulato più tardi la teoria
dell'evoluzione umana. Ed era proprio delle scoperte di questo noto
studioso (di Erasmus ovviamente, non si Charles) che Pierce e Byron
parlavano la notte prima tra di loro: Mary, attentissima alla
conversazione, ne rimase molto colpita ma decise di andare a letto
per riposarsi. Durante il sonno fece un incubo terribile: un cadavere
si svegliava e la osservava silenzioso (scena uguale identica a un
passo del romanzo). E fu proprio questo fatto a gettare le basi per
il romanzo dell'orrore più famoso di tutti i tempi!
Ma
il tema del sapere scientifico che andava imponendosi in modo
dominante si afecva sempre più forte in quegli anni: si entrava
infatti nell'era del positivismo, un movimento che sosteneva che,
facendola molto breve, tutto poteva essere studiato in modo analitico
e scientifico (anche le masse, per dire, ignorate fino ad allora),
persino il gradino che divideva la vita dalla morte (tema scabroso e
mai affrontato prima). Tutto questo sistema si andava però
scontrando con la morale: fin dove era lecito esplorare nuove
frontiere del sapere scientifico? Quando si andava eccessivamente in
contrasto con le leggi cristiane o naturali stesse? Questo è un
problema che ancora oggi ci portiamo dietro, basti pensare alla
clonazione, alla ricerca sulle staminali o, molto più semplicemente,
all'energia nucleare: un modo per far star bene tutti oppure una
possibile arma di distruzione di massa? Mary attribuisce un
significato tendenzialmente negativo alla ricerca scientifica: sì, è
vero che si possono fare grandi cose come resuscitare un cadavere
(provateci anche voi, bambini, basta della colla vinilica e un paio
di forbici dalle punte arrotondate!) ma questo è anche contro le
antiche leggi che regolano il mondo e, pertanto, il creatore di
questo mostro è costretto a soffrire lui stesso per tutta l'umanità:
ha peccato di quella che i Greci chiamavano "ubris", ovvero
arroganza verso le divinità, che portava ad un'inevitabile punizione
(e un tempo ci andavano giù veramente pesanti coi castighi).
Ma
la vera dimensione dell'incubo, secondo me, è molto più psicologica
che reale. Questa, lo premetto, è una mia teoria che però potrebbe
trovare riscontro anche in opere di critici che ne sanno più di me
ma che io non conosco (evviva l'ignoranza, siiii!). Secondo me
infatti non esiste nessun mostro, è tutto il parto della mente
stanca e malata di Frankenstein. Tra i vari elementi che mi portano a
proporvi questa mia opinione c'è ad esempio il momento della nascita
del mostro: tutto in quel brano è frammentario, senza continuità,
come se il protagonista stesse vivendo dentro ad un incubo. Infatti
il mostro non si alza subito dopo l'esperimento ma la notte, quando
Frankenstein dorme, svegliandolo di soprassalto e facendolo fuggire
di casa. Da questo momento in poi il mostro non si mostra mai ma
segue il protagonista, in viaggio per la Svizzera, come un'ombra
furtiva tra le montagne (un'ombra che secondo me bestemmiava molto in
quel periodo). Nessuno lo vede, solo il suo creatore, quasi non fosse
reale ma un parto della mente. E la cosa si comincia a fare
particolarmente strana soprattutto quando si considera che non stiamo
parlando di un piccolo goblin che va in giro ad ammazzare la gente ma
di un bestione alto due metri che le strangola: possibile che nessuno
l'abbia mai notato? Per questo, secondo me, era lo stesso
Frankenstein l'omicida che assassinava i suoi cari perchè,
completamente impazzito, si sentiva perseguitato da un senso di colpa
terribile per aver tentato di andare contro la natura universale
riportando in vita chi, ormai, era morto. Anche le varie situazioni
nascondono diversi elementi che mettono in luce questa cosa come, ad
esempio, il fatto che per poter eliminare certa gente solo qualcuno
di caro e vicino alle vittime come Frankenstein avrebbe potuto
conoscere alcuni dettagli altrimenti sconosciuti a un cadavere da
poco tornato in vita (ho la netta sensazione che la concordanza dei
tempi in questa frase sa andata a farsi fottere ma fa niente). Per
quanto riguarda il finale, che non ho intenzione di rivelarvi, è
vero che qualcuno vede e parla con il mostro ma, se il libro venisse
interpretato come vi dico io, anche quest'ultimo passaggio
guadagnerebbe una valenza più simbolica che pratica. Quindi, per
riassumere, secondo me non c'è nessun mostro di alcun tipo ma solo
uno scienziato fuori di testa che, vinto dai sensi di colpa per
essersi azzardato in un'impresa così ardua, sente di dover portare
il peso della colpa dell'uomo che si spinge troppo in là nelle
ricerche scientifiche, trascinando, per la loro gioia, con sè amici
e famigliari.
Ovviamente
un capolavoro come questo merita un'analisi migliore della mia e
anche qualche riferimento in più al contesto sociale e culturale del
tempo ma, come vedete anche voi, non c'è spazio qui e quindi rimando
il tutto a un'altra volta. Anche la vita di Mary Shelley non pensate
finisca qua! Però per raccontarvela tutta pensavo di adottare sempre
questo schema: un pezzo di vita + un'opera di quel periodo. In ogni
caso il mio tetso di riferimento per quest'articolo è stato "La
Notte di Villa Diodati" a cura di Danilo Arona (e chi cazz è?
Ah bho...) per la Nuova Adelphi che, per soli 12€, vi presenta un
ottimo saggio introduttivo ricchissimo di informazioni e curisoità,
delle biografie molto accurate su tutti i protagonisti di quella
notte e le tre opere di Polidori, Byron e della Shelley: che volete
ancora di più?
L'articolo
per oggi finisce qui, andate in pace! Solo vi ricordo un paio di
cose: ieri ho pubblicato un piccolo VLOG che, se avete voglia di
leggere, trovate subito dopo questo articolo (oppure per i più pigri
tra voi qui). Questo articolo ho fatto una fatica assurda a finirlo
in tempo e quindi, se vedete errori o altro, non avete che da
dirmelo! Mi scuso se, per questa volta, non ho avuto il tempo nemmeno
di mettervi le foto dei nostri protagonisti ma il motivo di questo
mio ritardo (non quello mentale, l'altro) è spiegato appunto nel
VLOG! Volevo dedicare questo articolo a tutti quelli a cui ho già
fatto una testa così sulla vita di Mary Shelley e che sono costretti
a sorbirmi tutti i giorni!
La
prossima volta invece affronteremo un'opera molto particolare di uno
degli umanisti meno considerati di sempre: Poggio Bracciolini!
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