Giullaume Apollinaire (1880-1918) è stato, indubbiamente, una delle menti più geniali del suo tempo.
Se può non piacere lo stile o i temi, spesso di carattere erotico, il gigantesco bagaglio culturale che aveva alle
spalle e che ha riversato nelle sue opere è sicuramente ineccepibile. Non fa eccezione la prima raccolta di racconti "L'Eresiarca & Co." (1910) che, edito da Garzanti, ho recentemente avuto modo di leggere.
La
premessa che va fatta a questi racconti è che senza un apparato seppur minimo di note non potrete
cogliere ogni sfumatura del testo (problema, questo, che la Garzanti non pone in alcun modo!). Come detto, appunto,
Apollinaire è un acculturato, studioso di antichi testi semi
sconosciuti, ama dar sfoggio della sua erudizione vantandosi
inizialmente con amici, poi confrontandosi con il pubblico. Questa
raccolta di racconti, infatti, è la prima che abbia mai pubblicato
ed era, precedentemente, riservata a una dimensione intima, di
amicizia e confidenza. Curiosa, quindi, la scelta di Apollinaire di
porsi in maniera originale, forse leggermente arrogante, con un mondo
intellettuale in continua evoluzione: Picasso, Tzara e Ezra Pound solo
alcune delle personalità che, ad inizi 1900, resero celebre e
animata la Parigi di Montmartre, della nuova cultura rivoluzionaria e astratta, degli eccessi ai nostri occhi quasi dimenticati.
Ed
è in questo quadro che, appunto, si inseriscono i racconti con un
giusto mix di modernità e gusto antiquario. Nelle pagine che
Apollinaire dedica agli amici spuntano leggende europee come quella
dell'ebreo errante, di pittoreschi serial killer
o tragiche storie d'amore immerse nell'atmosfera dell'epoca, ben visibile da alcuni dettagli quotidiani che traspaiono tra le righe. Il testo, a tratti, diventa un elenco di nomi, fonti e
citazioni che infiamma le pagine che scorrono veloci dietro ai fatti
che si susseguono incalzanti, come tipico di racconti brevi,
brevissimi, quasi fiammiferi.
De Chirico, "Ritratto di Apollinaire" |
Volendo
analizzare anche solo minimamente i contenuti ci si accorgerà
immediatamente della centralità del ruolo della religione. Questa,
però, non è trattata in modo banale: con mio grande stupore non viene derisa ma nemmeno esaltata. Con molta lucidità ne tratteggia gli
aspetti incredibilmente umani, comuni, accostandoli alla solita
erudizione di cui ama farsi vanto. Esiste qualche racconto piccante
in cui la chiesa è coinvolta ma senza mai sfociare nella grottesca
oscenità. Non vi sarà quindi, per fare un esempio, un prete che
avrà un rapporto sessuale con una donna ma, diversamente, questa
rimarrà "folgorata" dalle immane proporzioni del prelato
senza che questi sfiori la diretta interessata con un dito. Oppure,
per cambiare religione, si parla di ebrei che frequentano bordelli,
al fianco dei cristiani, ma senza invocare alcun riferimento alla
fede (da poco era terminato "l' Affaire Dreyfus"). Da non credente è un approccio che ho molto apprezzato proprio
perché non attacca in modo sciocco e becero, come accadeva fin
troppo spesso durante l'illuminismo, un'intera classe per il solo fatto di esistere ma, al contrario, umanizzando il discorso riporta le
istituzioni al piano della quotidianità se non della banalità:
un'arma decisamente più efficace contro chi detiene un certo tipo di
potere!
Tiriamo
le conclusioni: abbiamo tra le mani un'ottima edizione economica
firmata Garzanti a basso prezzo con ottima traduzione e abbondanti note. A
questo aggiungiamo una serie di racconti agili e veloci, molto
piacevoli da leggere, che possono intrattenere per un pomeriggio come
per diversi giorni. Racconti vari, che dipingono una Parigi scossa
nelle viscere da un clima culturale vivo e in fermento e che avrebbe
influenzato la storia del pensiero in modo radicale. Che dite,
secondo voi vale la pena leggerlo?
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