Le
vicende dei briganti, analizzate in questo articolo, assumono tinte tragiche sul finale. Pur venendo reclutati dalle truppe imperiali in
seguito ad un'amnistia, dopo aver aiutato i loro nuovi alleati a
respingere feroci popolazioni tribali dai confini Cinesi, vengono traditi e giustiziati senza troppe cerimonie. Ma perché succede questo? Per quale motivo si sono sottomessi ai loro nemici?
Cosa voleva ottenere Song Jiang, il loro capo? Per scoprirlo dobbiamo
fare un piccolo passo indietro...
Se
andiamo a vedere le origini dei briganti vedremo che la maggior parte
dei protagonisti è stata vittima di abusi del potere ufficiale che
li ha condannati quando loro, in realtà, erano dalla parte della
ragione, ma di un certo tipo di ragione... infatti si delineano due
schieramenti opposti: da una parte il potere ufficiale, corrotto e
mal funzionante ma che rimane saldo
nella sua posizione di
superiorità da rispettare costi quel che costi, dall'altra una
giustizia popolare vera e autentica, frutto di contravvenzioni spesso obbligatorie volte a
tutelare interessi superiori, divini quasi. Una controparte orientale, si potrebbe dire, dell'Antigone di Sofocle, una tragedia
classica che tratta il tema della contrapposizione tra le due visioni
normative. Da notare come Song Jiang non intenda e non abbia mai voluto
sostituirsi all'imperatore o ad altri dignitari: egli si vuole affiancare, se non sottomettere, riconoscendo sia l'importanza del potere ufficiale sia, allo stesso tempo, la sua ingiustizia e imperfezione. Egli cova,
nascosto, il desiderio di sistemare le cose tramite ragione e buon
senso, rifacendosi a un diritto comune. Invece ecco che la corruzione
non cede e rimane salda sul suo scranno ufficiale. Questa cosa la si
vede bene in un capitolo in cui uno dei briganti vuole risolvere le faccende tramite "il buon diritto" e finisce per
ritrovarsi in guai serissimi, a un passo dalla morte, onde venir
salvato all'ultimo da uno dei briganti che, più di tutti,
rappresenta il concetto di giustizia popolare.
Wu Song "Pellegrino" |
Curiosi
tutti questi riferimenti al diritto, non è vero? In realtà sono
comprensibilissimi nell'ottica dell'opera che ha un taglio
spaventosamente giuridico: diritto penale, privato, procedurale,
amministrativo ed internazionale, vi sono radunate moltissime
sfaccettature giurisprudenziali, quasi a creare un quadro del diritto
dell'epoca, una piccola raccolta di alcuni
istituti classici. In
particolare l'ambito penalistico è messo in risalto ma chi ha
sentito parlare del codice Tang non dovrebbe
sorprendersi: in questa raccolta di leggi l'ambito della pena e della
sua esecuzione è particolarmente favorito! Quindi allo stesso tempo
una critica al potere ufficiale, una sua proposta alternativa e una
descrizione dello stesso nei suoi istituti e funzionamenti:
sorprendente!
Liu Tang "Diavolo Rosso" |
Nel
mezzo viene inserito anche il tema del soprannaturale che, ogni
tanto, fa capolino tra le pagine del romanzo. Magie, entità divine e
gli stessi 108 briganti sono manifestazioni di un mondo parallelo che
poco sembra avere a che fare con rozzi briganti cinesi. E infatti la
differenza con un'opera quale Viaggio in Oriente è evidente: lì il
divino era vero e proprio protagonista, quasi l'unico, e la
quotidianità faceva solo da sfondo incarnata nella figura di
Porcellino. Qui, al contrario, si ha un rovesciamento con
un'attenzione maggiore, quasi verista, all'ambiente circostante
tralasciando aspetti divini, comunque presenti.
In
generale la Giustizia divina sembra presiedere le azioni dei
protagonisti. In fondo era scontato che la loro fine dovesse essere
quella: si trattava di 108 spiriti che dovevano pagare una
pena in terra per poter essere riammessi nell'alto dei cieli. Era
indispensabile, allora, un loro sacrificio per adeguarsi a un ordine
universale, maggiore, come le leggi che andavano difendendo,
che trascende dagli ideali mortali di vita.
che trascende dagli ideali mortali di vita.
Zhou Tong "Tirannello" |
Vorrei
chiudere questa breve ed imperfetta esposizione dei temi di "In
Riva all'Acqua" portando il parere di un cinese autorevole: Mao
Tse Tung. Inizialmente il dittatore, accanito lettore,
adorava quell'opera, piena di briganti coraggiosi che, come lui,
avevano combattuto contro un potere opprimente. Tuttavia, salito al
potere in modo più definitivo e stabile, sempre meno umano e
comunista, vide nell'opera quasi una minaccia e volle limitarne
fortemente la diffusione. L'opera doveva insegnare, secondo lui,
solamente l'arte di arrendersi al potere ufficiale,
accettandolo in tutte le sue sfaccettature. Da questo breve giudizio
ben si evince che del giovane rivoluzionario comunista, verso la fine
degli anni '60, poco prima della morte, non ne era rimasta traccia.
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