lunedì 25 aprile 2016

Capire De Sade: una breve guida

Pornografo o filosofo? Genio o folle? Sadico o incompreso? Quel che è certo è che il marchese De Sade (1740-1814) è una delle figure più discusse
e celebri della storia del pensiero europeo. Manco a dirlo, viene spesso frainteso e, per questo, vi ho dedicato diversi articoli (questo il più recente). Figura molto carismatica, fece una vita sì avventurosa ma non come ce la si aspetterebbe, inseguito dal fantasma delle sue opere e dalla cattiva fama che ne seguiva. Al divin marchese dobbiamo il termine "sadismo" dalle mille sfaccettature, pratiche e morali. Oggi non voglio spezzare ulteriori lance in suo favore, non più di quanto abbia fatto in precedenza. Mio intento, invece, spiegarvi in breve il clima culturale che l'ha portato a comporre quel che compose.

Libertino. Un termine che nasce nel 1600, quasi a cavallo col secolo precedente, e che, nella sua sfumatura originaria, non voleva coprire per forza la sfera della sessualità. Con il termine si identificava, molto più semplicemente, chi aveva una visione, un punto di vista, differente rispetto a quello ufficiale cattolico. Una libertà di pensiero che, concretamente, si affacciava sull'uomo dopo un millennio di accettazione dogmatica dei canoni imposti dall'alto. Ovviamente chi stava dall'altra parte, chi teneva le redini del gioco, non era molto contento della cosa e iniziò, poco alla volta, una vera campagna di demonizzazione del libertino a più livelli tra cui, appunto, quello sessuale. Visti come demoni lussuriosi, quasi per osmosi di pensiero, alcuni di loro iniziarono a sperimentare una relativa libertà di espressione in ambito erotico che riversarono contro re e chierici sotto
forma di brevi scritti satirici (tanto tempo fa vi parlai di questo). Il filone della letteratura antimonarchica, Maria Antonietta meretrice di corte sopra tutte, divenne molto florido. Quindi, ricapitolando: i libertini sviluppano autonomia di pensiero, i nemici li accusano di eccessi sessuali e perversioni immonde, loro prendono la palla al balzo e scrivono di certi temi contro chi voleva screditarli in tal senso. Ciò, beninteso, non vuol dire che, allora, il libertino fosse un santo sempre e comunque! Diciamo che l'attendibilità storica, sia da una parte sia dall'altra, è quasi nulla ed è quindi futile parlarne sperando di arrivare a conclusioni, almeno in questa sede, troppo approfondite. Fatto sta che questi autori vanno a rivendicare una sessualità comune, popolare, che la monarchia aveva tenuto per sé stessa molto a lungo. Parlano di pratiche molto estreme, coronate da un linguaggio tecnico che raramente prima era riuscito a emergere: era la liberazione del vocabolario, la liberazione dei corpi.

"Ma Constitution"


In questo clima di scontri sessuali, se così si può dire, va poco alla volta innestandosi quel clima rivoluzionario che, da lì a poco, avrebbe sconvolto la Francia e, con lei, l'Europa intera. Ed è qui che si colloca il barone De Sade, nobile in una situazione economica non esattamente floridissima e che compone scritti filosofici in cui inneggia a una morale non classica. Giustifica quelle che, agli occhi dei più, possono sembrare delle barbarie con uno stile ora pesante ora tagliente. Una cosa appare fin da subito chiara: esalta, fino al parossismo, tutti quegli stereotipi che la monarchia attribuiva ai libertini fino agli estremi più terribili. De Sade adora gli eccessi, si eccita all'idea, dal gusto squisitamente antropologico, di varcare ogni confine della decenza, infrangendo al suolò i più rigidi tabù. Egli vive in un clima di caos e confusione, in cui gli amici di oggi sono i nemici di domani e gli alleati di dopodomani, in un'atmosfera elettrica e datura di terrore e incertezza. Adora essere villipeso dai suoi contemporanei, considerato come un demone, e più viene nutrito di sterco infamante più cresce nella sua stessa lussuria, reale, immaginifica o leggendaria che fosse.

Ed ecco come De Sade ci appare, tutt'un tratto, assolutamente contestualizzato e a suo agio in un mondo che, oggi, facciamo fatica a guardare con gli occhi di chi, a quel tempo, ci visse. Ora esaltato come un genio, ora bistrattato, dopo anni che leggo le sue opere e cerco di approfondirlo nei limiti del possibile, posso dire che sta a metà. Uno scrittore certamente mediocre, che riesce a rendere noioso il sesso (e ragazzi, ce ne vuole!) e che espone le sue teorie in modo confuso, spesso ridondante e contraddittorio. Tuttavia innegabile il suo fascino dell'eccesso, incredibilmente pungenti le osservazioni sulla società e la filosofia di fondo.


Che forse, se le cose vanno male, forse un po' colpa dell'uomo è!


domenica 17 aprile 2016

Milarepa: vita di un Santo

In ogni cultura sono presenti figure di santi e eremiti capaci di ogni tipo di miracoli. L'ascetismo, l'unione con la Natura e l'estraniazione dalla civiltà sono segni distintivi di una schiera di personaggi semidivini che popola la fantasia della gente, eremiti anacoreti, santoni indiani o saggi orientali che siano. E questo è il caso del Tibetano Milarepa (1051-1135), asceta Buddhista di cui l'allievo Rechung-Dorje-Tagpa ha redatto una consigliatissima biografia che, in Italia, è edita dalla Luni.

Milarepa (notate il colore verde)
L'intera narrazione è rinchiusa in una cornice più ampia: l'anziano Milarepa, vecchio santo molto famoso, è circondato dai suoi discepoli che gli chiedono di raccontargli la sua vita e di come sia diventato così saggio. Dopo essersi lasciato un pochino desiderare, il Guru, nel narrare le sue vicende, le divide in due parti: la prima, quella della magia nera e del peccato, più modesta, e l'altra più sviluppata di quando, grazie alla magia bianca e alle pratiche ascetiche, ha percorso la via della rettitudine. Una volta arrivato a raccontare i fatti di poco antecedenti al presente, si aprirà un ultimo capitolo riguardo la morte e gli eventi miracolosi che ne susseguirono.

Prima di vedere un pochino più da vicino le vicende che caratterizzarono la sua vita è il caso di immedesimarsi con l'epoca e il territorio. La zona geografica, che ingloba Tibet e Nepal, aveva ai tempi un grado di strutture sociali e avanzamento tecnologico non dissimile dal nostro Medioevo Europeo. Si tratta di zone, come potete ben immaginare, sperdute tra i monti e con ampie valli in cui si trovano piantagioni intensive di cereali tra cui l'orzo, dal quale è ricavato pure il "Chang", una bevanda alcolica assimilabile alla nostra birra. La gente sopravviveva grazie a questi raccolti che proteggeva grazie a dei monaci, esperti in magia bianca, che tenevano lontane le tempeste di grandine inviate, spesso, da stregoni seguaci della magia nera assoldati da qualche nemico o vicino invidioso. E Milarepa nasce, appunto, in una famiglia di ricchi possidenti terrieri. Sfortunatamente finiscono, in seguito alla morte del capo famiglia, in rovina e oppressi dagli
Marpa "il Traduttore"
zii. Il giovane Milarepa, letteralmente "Colui che si ascolta con delizia", sfrutterà gli ultimi risparmi della madre per percorrere la strada della magia nera e distruggere i possedimenti dei parenti malvagi. Tuttavia, dopo essere riuscito nel suo intento, si pente e, per apprendere la via della magia bianca, diventa, dopo aver superato numerose difficili prove, allievo del leggendario Marpa, "il Traduttore". Da questi viene convinto a vivere nell'ascetismo più totale, rinunciando a qualunque lusso o eccesso seppur minimo. Finisce, così, per perdere completamente gli abiti, smunto e denutrito simile a uno scheletro, e con la carnagione di color... verdognolo per via delle numerose zuppe di ortiche che si era preparato per sopportare la fame. La vita, sempre incentrata su morigeratezza, bontà e comprensione, continua nell'estrema indigenza fino al sopraggiungere della morte.

Siddharta nel periodo della rinuncia totale
È sempre bene precisare che sia Marpa sia Milarepa sono storicamente attestai e hanno dato via a scuole di pensiero molto importanti per il Buddhismo Tibetano. Il primo, in particolare, deve il suo epiteto di "Traduttore" alla sua opera di recupero in India e traduzione di antiche scritture sacre, poi entrate a far parte del canone Buddhista. Si tratta, comunque, di una biografia ovviamente idealizzata sia dell'uno sia dell'altro ma, non per questo, meno importante. Anzi, è proprio questo lo scopo del testo: non raccontare una vita ma fornire un modello, un codice di disciplina, diverso e alternativo rispetto alla classica vita di Siddharta. Il Buddha Storico, così viene chiamato, ha infatti sì conosciuto un periodo di totale rinuncia ai beni materiali evolvendo, tuttavia, da questa concezione così rigida e approdando a una via di mezzo tra rinuncia e opulenza. Altro elemento di rilievo all'interno degli esempi di condotta sono le disumane prove cui viene sottoposto Milarepa per diventare discepolo di Marpa e che servono a purificarlo dal peccato commesso seguendo la via della magia nera.

Vorrei aprire, qui, una piccola riflessione legata a quale insegnamento possiamo trarre nel 2016 dalla vita di un asceta Tibetano vissuto mille anni fa. Consideratela il cuore dell'articolo ma, allo stesso tempo, non connessa con l'opera in sé: non è obbligatorio leggerla se siete venuti qua solo per il libro che, per stile narrativo e traduzione, mi sento di consigliarvi parecchio.

Viviamo in un'epoca in cui, spendendo relativamente poco, abbiamo accesso a ogni sorta di eccesso: cibo, alcolici, sesso, gioco d'azzardo, vestiti, droghe, chincaglierie ecc. Tutto può essere accumulato e ammassato fino al limite in un batter d'occhio. E qua sta sia la gioia sia la croce della società moderna. Avere tutto subito e in gran quantità e con ampia possibilità di scelta è una conquista che non dobbiamo dimenticare quanto sia importante, fondamentale e preziosa. Tuttavia perderci nel baratro della tentazione continua e sfrenata è un attimo. E qua interviene l'insegnamento di Milarepa, a mio parere: astrazione, almeno ogni tanto, dai beni terreni per ritrovare sé stessi, saper dir di no in un'epoca fatta di sì e saperci assentare dalla modernità che pare aver sempre bisogno di noi. Certo, non si parla di completa rinuncia ma, quantomeno, parziale: a mio parere, l'estremo non è apprezzabile e decisamente dannoso.

Saper vivere la propria vita nel giusto
Milarepa da una parte
la quotidianità dall'altra