giovedì 21 luglio 2016

Gioventù Cannibale

Roma. Inizio anni '90. La vita scorre lenta, come una macchina in coda sul GRA. I turisti infestano le strette stradine che si snodano per il centro storico. Un impiegato esce sudato dalla banca, oppresso dalla calura estiva, e poco più in là un mendicante cerca inutilmente di vendere qualche braccialetto. Poi scende la sera, sfuma nella notte e la città cambia. Roma si anima per poi spegnersi lentamente. Ma non tutti vanno a dormire. I giovani sono per strada, di qualunque estrazione sociale, e consumano un'esistenza diversa, alternativa. Un'esistenza violenta.

Nella periferia di Milano, contemporaneamente, tra i tristi palazzoni grigi dell'interland, dei bambini giocano sotto il sole afoso di un pomeriggio d'agosto. Una piccola gang, come a caccia, individua un elemento debole su cui perpetrare violenze adulte nella torrida indifferenza silenziosa della periferia.

A Genova, un Natale insolitamente caldo, tra le mura di un appartamento si consuma una vendetta cotta a lungo, covata con ferma volontà. Una vendetta di cui la vittima è consapevole. La vittima sa. E forse, sotto sotto, approva i tormenti che il carnefice le infligge.



Storie nere, di sesso e violenza, in cui il sangue scorre sporco tra le righe, pagina dopo pagina. "Gioventù Cannibale" non è una semplice raccolta di racconti, è il grido di un decadentismo italiano di fine millennio che vuole farsi spazio dopo anni di conformismo. Uno strappo, una lacerazione, un movimento brusco nella letteratura che, se da un lato non rappresenta nulla di nuovo nel panorama di come funziona l'alternarsi dei movimenti culturali in Europa, dall'altro ha il pregio di tirare uno schiaffo a chi non vuole riconoscere una realtà in divenire. Dietro a questi racconti un po' noir, un po' gialli ma sicuramente rosso pomodoro si nascondono un Ellis, un Palahniuk o, andando sempre più indietro, l'arroganza baudleriana e scapigliata di giovani disillusi alcolizzati. I valori "di una volta", quelli in cui i giovani "che non credono più a niente" schifano, decadono, sono sostituiti da plastica, scritte al neon e jingle pubblicitari. Portare su carta la realtà, la quotidianità, il verismo torbido, che fa male, ma che risveglia le coscienze. I giovani cannibali si sono ribellati a un sistema che cercava di soffocare la bellezza sintetica di un'epoca in divenire.

Sono passati 20 anni (!!!) dal 1996 ma questa raccolta mi sembra validissima e attualissima per stile e temi trattati. Un immersione nel pulp, nel gore, nella violenza gratuita che forse così gratuita non è. Ho adorato le atmosfere sporche e cittadine, così quotidiane, volutamente banali. Poi certo, ogni racconto è a sé stante. Ammaniti incredibilmente audace insieme a Brancaccio in "Seratina", "Il Mondo dell'Amore" di Nove nauseabondo per l'eccesso di violenza, Luttazzi che si commenta da solo. Galiazzo decisamente apprezzabile e poi molti molti altri.


Sono 11€ di edizione Einaudi "Stile Libero" trovabile molto facilmente in qualunque libreria. Mi piacerebbe sapere se conoscete questa raccolta di racconti e cosa ne pensate. Quali storie vi hanno più affascinato? Essendo quest'anno il ventennale della raccolta avremo modo di riparlarne a breve, ve l'assicuro! Intanto vi do appuntamento al nuovo articolo e, per rimanere aggiornati, ricordatevi di venirmi a trovare in pagina!

martedì 12 luglio 2016

Vita di Marpa, il Traduttore

Tanto tempo fa (1000 d.C.), in una galassia lontana lontana (Tibet), nasceva un ragazzo di nome Marpa. Irrequieto fin da piccolo, era allontanato da tutto il villaggio a causa del suo atteggiamento rude. Per questo i parenti decisero di indirizzarlo verso gli studi, in modo che potesse concentrare la sua energia verso qualcosa di produttivo. Fu così che Marpa prese i voti e si diede alla dottrina Buddista.

Da ragazzo passò sotto diversi lama (maestri) che lo introdussero agli studi religiosi. Tra questi vi fu il saggio Drogmi che gli insegnò il sanscrito, una lingua pressoché sconosciuta, così che potesse studiare, leggere e tradurre egli stesso gli antichi sutra buddisti. Diventato poi monaco, avvolto nel suo unico abito rosso, un bastone in mano, la bisacca con le provviste sulle spalle, si diresse verso l'India, patria dei più grandi maestri religiosi dell'epoca. Durante il percorso incontrò Nyo, monaco pure lui, in viaggio verso le lussureggianti foreste indiane. Dopo qualche battuta i giovani andarono subito molto d'accordo e decisero di condividere parte del percorso. Camminarono per tanto tempo, attraverso territori sconosciuti, sopportando qualunque clima fino ad arrivare alla meta. Dopo non troppo tempo incontrarono due discepoli del leggendario Naropa, uno dei più grandi santoni del tempo. Marpa, colpito dalla loro conoscenza della dottrina e dalla loro abilità nell'esporla, decise di andare a cercare immediatamente il loro maestro per ricevere gli insegnamenti di persona. Al contrario Nyo si dimostrò molto scettico e decise di non seguire il suo compagno: come le loro strade si divisero in questo momento, allo stesso modo la religione buddista prese, ulteriormente, due strade diverse.

Fu solo dopo molti tentativi che Marpa riuscì a trovare il leggendario Naropa che subito lo accolse come un figlio sotto la sua ala. Abile nell'insegnargli il "mantra del padre", decise di indicargli un particolare maestro per apprendere quello "della madre". Il saggio Kukkuripa, esperto in quell'arte, si raccontava vivesse da solo su un isolotto circondato da un enorme lago di veleno maleodorante, attraversabile solamente a nuoto. Marpa, di indole intrepida, non si lasciò intimidire e affrontò la sfida a testa
alta, riuscendo ad arrivare a destinazione stremato, zuppo di sostanze in putrefazione ma, comunque, incrollabile. Sull'altra sponda il leggendario Kukkuripa lo stava aspettando: un corpo mostruoso ricoperto di piume e una testa da scimmia erano i bizzarri attributi di un uomo tra i più saggi, accorti e benevoli che mai misero piede sul nostro pianeta. Marpa apprese da lui numerose dottrine e, tornato da Naropa, ricevette da quest'ultimo parecchi testi. Congedatosi dal maestro e tornato in Tibet, iniziò a studiare e tradurre quelle conoscenze arcane e segrete che, in seguito, divennero la base del sapere comune: da qui il soprannome di "Marpa il Traduttore".

Diversi discepoli iniziarono a seguirlo assiduamente e, con loro, fondò anche una piccola comunità. Fu in questo periodo che Marpa ebbe modo di conoscere una donna che gli avrebbe completamente cambiato la vita: si trattava della sua prima moglie. Tuttavia non si sentiva soddisfatto della sua conoscenza e decise di tornare in India una seconda volta. Tornò a trovare il saggio Naropa, Kukkuripa e molti altri maestri tra cui la misteriosa guardiana del cimitero che lo iniziò alle prime arti misteriche. Tornato vide, piano piano, crescere la sua comunità. Tra i numerosi alunni ricevette anche il saggio Milarepa che, in seguito, sarebbe stato il continuatore della scuola Kagyu, iniziata dal santo Tilopa, discepolo del Budda, trasmessa a Naropa e da lui a Marpa.

La vita continuava pacifica nonostante i suoi continui scatti d'ira e le prove cui sottoponeva i suoi discepoli. Ebbe anche un figlio, Tarmadotte, primo discepolo della scuola, che aveva ereditato il temperamento selvaggio del padre. L'età avanzava e Marpa si faceva sempre più vecchio. Tuttavia, dopo
un sogno rivelatore avuto in contemporanea a Milarepa, decise di tornare un'ultima volta in India. Questa volta fece molta fatica a trovare il santo Naropa: sembrava sfuggirgli ogni volta da sotto il naso! Marpa, armato di una fede incrollabile, nonostante le ossa gli dolessero data la tarda età, percorse l'India in lungo e in largo fino a ricongiungersi, finalmente, con il mentore. Naropa, tuttavia, sul punto di morire, gli insegnò la grande tecnica segreta, la più importante di tutte: l'arte della trasmigrazione.

Si trattava di una tecnica misterica molto particolare e, in un certo senso, avversa al sapere ufficiale. Tramite una procedura segreta il monaco riusciva a trasmettere la sua anima in un corpo morto, controllandolo come se fosse il proprio, e lasciando indietro il vecchio involucro. Certo, si poteva aspirare alla vita eterna ma, così facendo, si sarebbe evitato il ciclo delle reincarnazioni e, di conseguenza, il raggiungimento del Nirvana. Per questo decise di passare l'insegnamento al solo Tarmadotte, figlio continuatore della scuola. Tuttavia egli, di indole turbolenta come il padre, un giorno decise di recarsi a uno spettacolo contravvendnedo a tutte le raccomandazioni della madre, rompendo il periodo di ritiro assoluto. Per via del suo comprtamento, come punizione divina, ritornando verso casa scivolò da cavallo e, imbrigliato nelle staffe, si ruppe la testa mortalmente, trascinato sul greto di un torrente. Trasportato a casa, ebbe appena la forza di operare la trasmigrazione dell'anima nel corpo di una colomba, morente tra le braccia del padre. A quel punto Marpa gli indicò dove rivolgersi e Tarmadotte, ubbidendo questa volta agli ordini, si recò in India dove animò le spoglie di un ragazzo morto da poco. Ma questa è un'altra storia ad oggi ancora sepolta sotto mucchi di papiri in un tempio di Agiaon.

Marpa si faceva sempre più vecchio e stanco e, un giorno di primavera, tirò l'ultimo respiro. Con lui scompariva una delle figure più importanti del Buddismo Tibetano e la tecnica proibita della trasmigrazione che non venne passata al saggio Milarepa. Questi, continuando la scuola del maestro, decise di raccontare la sua vita ai discepoli. Tra questi Rechung Dor'je Teg'Pa, autore di diverse biografie di santi, decise di riportare per iscritto la leggenda dei suoi due maestri. Ma di Milarepa, del suo periodo oscuro passato a studiare la magia nera, del distacco verso la dottrina e della vita di stenti, abbiamo già parlato in un altro spazio, in un altro tempo...




Il racconto è tratto dalla biografia di Marpa studiata e risistemata da Bacott e edita in Italia in un libricino molto carino e facilmente reperibile della Adelphi. Una storia semplice ma affascinante, arrivata in maniera concisa ma sufficiente a delineare le vicende di uno degli iniziatori del buddismo tibetano! Ho voluto cercare di raccontare, come se fosse un racconto, le vicende principali di questa figura così affascinante ma, ovviamente, ho dovuto omettere numerosi dettagli, per cui se siete interessati vi consiglio sempre di leggervi il libro. 

La prossima volta cambieremo completamente periodo e luogo: torneremo in Italia e preparatevi perché scorrerà molto molto sangue...