sabato 31 maggio 2014

Collana i "merdalavori", ep III: vita, morte e miracoli di Mary Shelley (2): papà?

Ed eccoci all'ultimo capitolo di questo soleggiato maggio (veramente, come lo puoi chiamare un mese? Tanto qualunque aggettivo ci sta malissimo...). Comunque, come potete vedere dal titolo, oggi prendo due ragazze con una tazza due piccioni con una fava (e non in senso zoofilo, maialoni): Mary Shelley e merdalavoro! Era dal "Castello di Otranto" di Walpole che non prendevo in mano una spazzatura simile, sarà bello riempire ancora una volta di insulti tutta la pagina! L'opera di oggi si intitola "Matilda" ed è, forse, uno dei romanzi della Shelley meno famosi di sempre (e c'è un perchè). Però, prima di parlare dell'opera in sè, continuiamo il nostro viaggio con i coniugi Shelley che avevamo lasciato a villa Diodati in compagnia di Byron, Polidori e la sorellastra di Mary, Claire. Casomai vi foste persi il primo brano su questa strana compagnia e sul "Frankenstein" vi rimando all'articolo chè, senza di questo, non ci capite (forse) una mazza.

Allora, dunque, nel 1816 Mary, Percy e Claire, dopo aver passato l'estate a Ginevra come abbiamo visto, dopo aver fatto ancora qualche minimo giretto (ricordiamo che in quel periodo nacque a Napoli un bel bambino con cognome Shelley che, certamente, non poteva essere Mary ad aver sfornato. Percy, Claire, ci dovete dire qualcosa?) se ne tornarono in Inghilterra perchè, come si sa, i soldi ad un certo punto finiscono per tutti, anche per gli eroi romantici. Ed ecco che, arrivati a casa, ecco la prima delle magnifiche sorprese: la ex moglie di Percy, "quella che non capiva la poesia e quindi si meritava di essere mollata con due figli sul groppone in mezzo all'Irlanda", si era suicidata! Colpi di scena e tanta gioia per un cazzo di nessuno perchè il povero Percy, cucciolo, ci rimase molto male (solo adesso però, eh, Percy!). Dopo due anni, nel 1818 (1816+2=1818) decisero di tornarsene in Italia dove morirono i loro due figli, Clara Everina e William (il primogenito già era morto in passato, questi sono il secondo e il terzo che mamma Mary scodella per papà Percy a 21 anni. E bravi ragazzi!). Così Mary e Percy trascorsero qualche anno nell'Italia centrale fino al 1822 quando lui, che stava tornando in barca con alcuni amici (probabilmente ubriachissimo e strafatto) da La Spezia, naufragò e morì annegato (ma con quanto pathos non vi dico questa cosa? Che suspence, eh?). Il corpo, a parte il cuore che venne conservato da Mary (che cosa romantica) venne cremato a Viareggio sotto gli occhi di un triste Byron che, per caso, si trovava lì (allora, se riesco a mettervi la foto del quadro direttamente qua vuol dire che ho vinto una grande battaglia contro la tecnologia, altrimenti con un sorrisetto sarcastico accettate la mia sconfitta di fronte al progresso).
Percy che brucia con Byron e gli altri che piangono mentre io rido perchè sono riuscito a fare tutto ciò
A questo punto che fare? Mary, senza troppi soldi o possibilità di farne su altri in Italia (non era dell'umore per prostituirsi, magari qualche anno prima avrebbe anche potuto accettare) fece i bagagli e se ne tornò col figlio Percy Florence (l'ultimo e l'unico dei figli della coppia a sopravvivere: che culo!) in Inghilterra dal padre Godwin che non è che la vedesse troppo di buon occhio ma, si sa, i genitori sono pur sempre i genitori. E così, per procurarsi di che mangiare, Mary iniziò a scrivere, l'unica cosa che sapeva far bene (oltre a servire chinotti al bar). Scrisse molto, non ho letto tutto, ma, subito, nel 1819 compose il libro di questa settimana: "Matilda".

Questo romanzo epistolare (ovvero scritto sotto forma di lettera) diviso in due parti tratta di un tema molto particolare e, per alcuni, assolutamente tabù: l'incesto e, in particolare, il rapporto padre-figlia. La trama è riassumibile in poche parole: una certa Diana ha una figlia con un signore di cui non sappiamo il nome e muore di parto (Diana non la bambina e nemmeno il signore). Il padre, che non pensa di essere un buon padre (ed effettivamente non è un buon padre), spedisce la bambina in campagna da una sorella brutta e antipatica che, del tutto indifferente alla piccola, dopo 16 anni che la tira su diciamo che qualche disturbo glielo lascia ignorandola quasi completamente. E infatti la giovane (e ripeto sedicenne) Matilda (questo il nome, preso da quello della protagonista de "I misteri di Udolpho" della Anne Radcliffe di cui vi parlerò e non bene) isolata da tutto e da tutti, sola con la simpaticissima zia, soffre di una specie di depressione perchè pensa che nessuno possa volerle mai bene. Ma ecco che, un bel giorno, viene a farle visita un signore che, poco dopo, si scopre essere il padre di Matilda il quale, dopo appena sedici anni, è riuscito a farsi coraggio e a ricongiungersi con la figlia abbandonata quasi a sè stessa per tutto questo tempo (oh, ognuno c'ha i suoi tempi, lui ci ha messo solo 16 anni, diamogli tempo!). All'inizio sembra andare tutto benissimo e i due scherzano, giocano e si ritrovano, diciamo. Poi, però, il cambiamento: il padre inizia a essere scostante, lontano e distaccato e la ragione è presto chiara: egli si è innamorato della figlia in cui vede la reincarnazione della moglie morta (no ma tutto normale, tranquillo!). Dunque il padre, prima di buttarsi con un tarello gigantesco sulla figlia e sventrarla a colpi di cappella dopo 16 anni di astinenza, decide di scappare via. Ovviamente Matilda, che un po' comunque ci sarebbe stata, lo segue ma ne perde le tracce perchè il buon padre riesce a suicidarsi prima che lei possa raggiungerlo. Allora inizia la seconda parte del romanzo, quella in cui si isola dal mondo ma inizia a fare amicizia con Woodville (personificazione del suo Percy), un giovane ragazzo che le va dietro, ma il tutto, come sempre, troppo tardi: lei si ammala e muore di tisi. Fine.

Dunque, vediamo bene insieme perchè, in fin dei conti, questo romanzo fa abbastanza cagare. Come vi sarete accorti la trama è veramente delle più insulse: la solita serie di coincidenze fortuite e forzatissime che, però, aprono ad un tema che potrebbe sembrare interessante. Perchè uno (soprattutto se stronzo come me) dice "Sì cazzo, finalmente qualcosa di particolare, di nuovo, di provocante! Ci voleva un argomento del genere per aggiungere un po' di sostanza a una storia d'amore noiosa come le altre!" e poi, quando c'è da passare all'azione, ai fatti, alle grandi decisioni... niente! Assolutamente nulla! Lui parte, lei lo rincorre e stop. Sul serio questa è la profondità che mi proponi sul tema dell'incesto Mary? Veramente? Nemmeno un bacio dato di sfuggita, una carezza o un minimo atto fisico? E poi non è che i personaggi ci riflettano troppo su quello che fanno, non ne parlano o altro tra di loro, non interagiscono, come se vivessero in mondi separati! Quindi tu mi butti su un piatto d'argento l' INCESTO e poi nulla? Nemmeno un ragionamento? Cazzo, a sto punto me ne torno a De Sade che, almeno, per quanto folle, una giustificazione me la dà, tu manco lo affossi. E poi, a proposito di reazioni umane sballate, cosa fa Matilda quando sa del padre morto? Niente, vive chiusa in sè stessa e non ci prova nemmeno a conoscere gente o a fare cose! Posso capire il lutto e tutto quanto ma, Mary, ascolta, quando succede una cosa così, quando? Solo coi malati di mente, sì, quello te lo posso riconoscere, ma di solito si cerca di affrontare il dolore o di interagire con persone...

Altra cosa che non ho apprezzato è lo stile artificioso e poco convincente, come se nemmeno lei fosse sicura di quello che stava scrivendo. Che poi, come storia, nemmeno è originale, ma nel vero senso del termine! Infatti non fa altro se non sviluppare il canovaccio di un'opera incompiuta della madre Mary (sì, quella che è morta di parto. Sì, quella sulla cui tomba Mary e Percy hanno trombato quando lei era appena diciassettenne, proprio lei). Ma quest'opera, fortunatamente per i suoi contemporanei, non fu mai pubblicata. Infatti, a chi pensate che l'abbia fatta leggere prima, per sentire un parere? Ebbene, fu abbastanza stupida, perchè qui si parla di stupidità, da consegnarla al PADRE!!! Cioè, tu scrivi un romanzo che parla di un rapporto incestuoso tra padre e figlia e tu a chi lo fai leggere? A TUO PADRE??? E cosa vuoi che ti dica, che è un bellissimo romanzo? Vuoi che ti inviti a pubblicarlo o vuoi che te lo stracci invitandoti a buttare tutto nelle fiamme? Eh? Secondo te Mary?

E niente, quindi direi che non c'è poi molto altro da aggiungere! Questa volta non è che mi sono lanciato ad insultare il libro in modo incredibile non perchè faccia meno schifo degli altri (anche se perlomeno sono riuscito ad arrivare alla fine) ma perchè è come un pezzo di tofu cucinato dal miglior chef del Giappone e condito con tantissime spezie particolari e rarissime: puoi aggiungerci tutti gli ingredienti del mondo, puoi prepararlo in tutti i modi possibili, ma il tofu saprà sempre di nulla, non cambierà mai sapore! Poi figurati se la spezia che c'è sopra mi dici essere paprika del Mozambico (per dire, non so se nemmeno ce l'hanno la paprika in Mozambico) e, invece, si rivela essere peperoncino del Carrefour! E così, questo romanzo, puoi provare ad inserire l'incesto come tema di fondo (oltretutto presentato benissimo ma trattato malissimo) ma rimane comunque un romanzo anonimo e fatto di emozioni accennate e molto mal presentate. Non è che contenga stronzate a valanga come nel "Castello di Otranto" o l'"Anti-Justine" (di cui parlo qui e qua, per dire): è uno di quei libri che, una volta letti, vorresti riportare in libreria per chiedere indietro il tempo che hai sprecato leggendolo.

Fortunatamente questo romanzo penso si trovi solo per l'editore Marsilio a ben 15€
Wanted: dead or alive. 15€ reward!
e io sono riuscito a recuperarlo solo per puro caso in una libreria che, dato il breve articolo, finalmente posso pubblicizzarvi! La libreria si chiama Bastogi e si trova ad Orbetello, in Toscana. Perchè questo elogio alla libreria Bastogi di Orbetello? Premettendo il fatto che, probabilmente, non sanno del blog nè di questa pubblicità, mi sento di incoraggiarvi, se passate da quelle parti, a farci un salto perchè è la prova che in una piccola libreria (perchè il negozio non è ampio) ci possono essere tanti, tantissimi libri e, soprattutto, di qualità! Non troverete le 80 copie di "Frankenstein" come in qualunque Feltrinelli per riempire lo spazio ma, guardandovi in giro, potrete trovare lavori minori, opere particolari e, molto probabilmente, di quello che state cercando anche voi! Vi allego, sotto, il link alla loro pagina su facebook e, personalmente, penso siano dei bravissimi ragazzi che mi hanno sempre aiutato anche a cercare opere decisamente improbabili, disponibili e pazienti!

Quest'articolo so che non è dei migliori ma il libro, come avrete capito, non è che dia grandissimi spunti e, soprattutto, in questo periodo, ho qualche problema a scrivere al computer. Questo non perchè faccia fatica a premere i tasti ma, dato che devo lavorare per l'esame di martedì tutto il giorno davanti a questo schermo, capite bene anche voi con che gioia io mi possa mettere a scrivere la sera sempre qui a computer. Inoltre avrei potuto saltare questo sabato, allora, ma ci tengo veramente tanto a fornirvi un articolo, anche se meno curato, in modo regolare!


Detto questo, che si fa settimana prossima? Mi piacerebbe che anche voi mi indichiate qualcosa, io sono qui apposta! Pensavo o di iniziare una nuova collana oppure di portare avanti qualche discorso lasciato a metà prima, voi che ne dite? Voglio assolutamente sapere di cosa volete che vi parli! Per ora buon weekend e a sabato prossimo, aspetto e accetto proposte!

sabato 24 maggio 2014

Collana "A Bordo di Libro", ep 2: il Viaggio Come Contatto con Popoli Lontanissimi: il "Milione" di Marco Polo

Ed eccoci, finalmente, a un "normalissimo" capitolo del sabato! Veramente, mi mancava scrivere in modo regolare e sistematico di opere specifiche! L'ultima volta è stato con "American Psycho" il capolavoro di Ellis e di cui potete trovare qui l'articolo, casomai qualcuno se lo fosse perso. Ma veniamo al dunque a questa settimana passando a parlare di un uomo di cui avrete sicuramente sentito parlare: Marco Polo (1254-1354)! Siamo al secondo capitolo di questa "collana" (senza contare gli extra) e, se volete, qui e qui potrete recuperare i due articoli passati, il numero 0 e il numero 1, su "Le Avventure al di là di Thule" e "La Storia Vera" di Luciano di Samosata. Detto questo, iniziamo!

Prima di parlare del "Milione" (perchè se no era troppo semplice, se non si comincia a parlare degli antenati di settimo grado non sono contento, eh?), l'opera in cui Marco Polo parla del periodo passato in Cina, è il caso di parlare della sua vita prima di queste avventure. Egli, come tutti noi sappiamo, era di Venezia anche se ci sono alcune strane teorie secondo cui egli possa in realtà provenire da un'isoletta croata. Questa teoria, più volte confutata, è ****** *** ****** *** ***** (mi censuro se no poi pensate che io sia un tipo volgare quando mi sembra evidente che io non lo sia e che, anzi, preferisco i giri di parole alle spiegazioni dirette): ora, egli nelle sue avventure parla di Venezia, si è sposato a Venezia ed è stato sepolto a Venezia, ma vuoi non dire che non fosse di Venezia? Troppo semplice leggere le cose e prenderle per quel che sono (non per questo però le scie chimiche non esistono, state tranquilli)? Così, giusto per il gusto di sparare stronzate (e ora che mi sono abbastanza acceso posso partire alla grande)! Ovviamente non è che iniziò a viaggiare fin da piccolo ma accompagnò suo padre e suo zio nel 1271 che, precedentemente tornati da un viaggio, avevano scoperto che la mamma di Marco era morta (mica si può lasciare a casa da solo un bambino come io ho fatto con la grammatica in questa frase, dhe!). I signori Polo erano mercanti e messi del Papa nelle terre dell'estremo oriente: infatti l'impero mongolo di Gengis Khan era arrivato molto vicino all'Europa e, anche se inizialmente non furono visti di buon occhi dai cristiani (i Tartari, com'erano chiamati, prendono il nome dal Tartaro, una sorta di Inferno per gli antichi Romani: diciamo che inizialmente erano giusto un po' sospettosi, ma giusto un pelo), in seguito  questi avendo un sacro sepolcro da recuperare e che era nelle mani dei mussulmani chiesero il loro aiuto. Bhe, insomma, quello che fecero il padre e lo zio di Marco fu prendere, andare dal Papa, recuperare una lettera con su scritto <<Aiutateci a recuperare il sacro sepolcro, figa, non fate gli asociali là dall'altra parte del mondo, cristo santo!>> , andare dal Kublai Kan, il re del Catai (oggi Cina e dintorni), far soldi tanto che c'erano e portare una risposta che, se non sbaglio, fu pure positiva (a dire la verità fu, all'inizio lo stesso Kublai Kan a proporre quest'accordo se non sbaglio, che cucciolo!). Ora, serviva che tornassero indietro che c'era da riportare la contro-risposta del Papa (e da guadagnarci qualcos'altro). Ed è da qui che cominciano i viaggi del Marco che iniziò a seguire i parenti piuttosto che rimanere mezzo orfano a casa da solo a giocare al Nintendo 64 (ancora non era uscita la Wii). Il "Milione", però, dovete sapere che non parla solo del viaggio si andata e ritorno fatto da Marco e compagni: infatti egli si trovò parecchio bene in quelle terre e vi rimase a lungo facendo anche delle missioni diplomatiche per conto del signore del Catai. Tutte queste strade e questi itinerari narrati li potete vedere anche voi qui e, per comodità, vi consiglio di tenervela davanti agli occhi (magari intervallandola con l'articolo, giusto per vedere che cosa vi dico) proprio come me: non lo volete fare? Cazzi vostri io l'ho detto!

Nell'immagine si vede bene il viaggio anche del padre e dello zio (percorso azzurro) che passarono, in quel loro primo viaggio, da nord sopra il mar Caspio (oltretutto facendo un curiosissimo cerchio che sinceramente non so spiegarmi) ma noi seguiremo ora il filo rosso. Come potete vedere, dopo esser partiti da Roma per i motivi che vi ho detto, passarono dalle isole Greche del Mediterraneo. Ed è qui che appresero che nel frattempo il Papa era morto e dovevano tornarsene indietro ad aspettare quello nuovo. Fortuna volle che la persona che donò loro queste indicazioni era un prete missionario abbastanza potente: infatti tornato con loro a Roma fu lui ad essere eletto Papa (ah, gli strani casi della vita...) e ri-indirizzò sulla loro strada i Polo. Allora, non starò qua a raccontarvi passo per passo quel che videro che, se no, vi prendete il libro e ve lo leggete che fate prima (magari prima no, ma meglio sì) ma mi soffermerò su alcune figure particolari incontrate e che sono di un'importanza incredibile: mi riferisco al Saggio della Montagna e al Prete Gianni (o Janni). Chi sono questi due personaggi mitici?

Iniziamo dal Saggio (o Veglio) della Montagna. Avete mai sentito dell'origine del nome "assassino"? Questo deriva, più o meno (nel senso che lo scrivo come si pronuncia), dal termine "assashin", ovvero "consumatori di ashish" (no, questo non fa di tutti i cannaioli potenti degli assassini, aspettate). C'era nelle zone dell'India/Medio Oriente (circa, eh, si tratta pur sempre di un personaggio mitico) un certo signore, il Saggio appunto, che faceva il mercenario e ammazzava la gente per gli altri. Egli aveva, però, il sangue dell'imprenditore nelle vene, e pensò: <<Perchè non far fare a tanti altri quello che mi tocca far da solo? Tanto la richiesta non diminuisce certo, anzi, e posso permettermi di fare un piccolo investimento!>>. Così recintò un bellissimo giardino con fiumi di latte e miele (pensa la sete dopo un po') e ci mise dentro qualche ragazza piacevole e abbastanza ben disposta, che non fa mai male, e poi iniziò a procurarsi persone giovani e in gamba disposte ad ammazzare per lui. Ma come fare? Facile: imbrogliando la gente! Andava dai giovani ragazzi, li faceva ubriacare e drogare finchè non perdevano coscienza e se li portava nel suo giardino. Qui, quando i poveracci si svegliavano, pensavano di essere morti e in Paradiso circondati da un giardino magnifico e da figa (soprattutto da quella) in quel modo. A quel punto il Saggio della Montagna (che poi era più il Furbone della Montagna) diceva che dovevano andare sulla terra ad ammazzare gente per conto di Dio e loro, belli e tranquilli, dopo essere stati drogati di nuovo, si risvegliavano tra i "mortali", facevano quel che dovevano, li drogavano ancora e tornavano in "Paradiso" ancora una volta. Insomma, una pacifica storiella su come fottere gli altri facendoli uccidere altra gente facendo leva sulla religione: ricorda nulla?

L'altra figura particolare che emerge dal racconto è quella del Prete Giovanni o Janni (ops, ho sbagliato immagine, volevo mettere questa!) e, addirittura, nella lingua originale Presto Janni (che perdiamo il treno!). Questo sovrano (che non era, come avrete capito, un vero e proprio uomo di fede) viene generalmente indicato come un potentissimo regnante dell'Asia ma compare anche in vari manoscritti medievali come comparsa nei poemi cavallereschi come cattivone e anche nel nostro "Orlando Furioso" dell'Ariosto (che un giorno non vedo l'ora di avere il tempo di leggere). Quindi un personaggio leggendario, sostanzialmente, che però non viene menzionato solo da Marco Polo nel "Milione" ma anche da altri viaggiatori dell'epoca. Effettivamente appare evidente come il Presto Janni (mi diverte troppo chiamarlo così) del Polo (e, quindi, non quello che lancia magie da draghi volanti nei poemi cavallereschi, anche se sarebbe estremamente più figo) sia realmente esistito: il nostro italiano infatti parla di un certo Cinghys Cane che gli mosse guerra perchè il Presto non voleva concedergli la figlia in sposa. E tutti voi, almeno una volta nella vita, avete sentito parlare di questo Cinghys Cane. Sorpresi? Vi viene in mente nulla? Si tratta del grande imperatore (e, dunque Cane=Can=Khan) del Catai(=Cina) Gengis(=Cinghys). Sì, proprio quel Gengis Khan (che non ho idea se si scriva così o meno ma tanto ci siamo capiti) che fu il primo vero grande imperatore di una Cina che oggi appare quasi piccola in confronto al suo dominio che si era spinto fino alle porte d'Europa, come abbiamo detto prima. Quindi appare evidente come il Presto Janni in realtà non sia che un regnante (ha anche un nome, sono riusciti ad identificarlo ma non so chi sia storicamente e non penso vi interessi. In caso contrario sapete cosa fare) oppostosi alle conquiste di Gengis Khan.

In ogni caso, tornando al nostro Marco, egli non solo riuscì ad arrivare in Cina, ma lì si fermò pure parecchio tempo diventando un nobile di corte e compiendo pure un viaggio diplomatico (che potete vedere nella cartina). Un episodio divertente parla dell'assedio di Nanjing (che noi chiamiamo Nanchino, dove i Giapponesi durante la II G.M. hanno compiuto un grande massacro che viene, ancora oggi, chiamato lo "stupro di Nanchino"), arroccato su un'inespugnabile fortezza, da parte dell'esercito imperiale cinese che si trovava sulla pianura. Bhe, pare che di lì passasse Marco con i suoi parenti e che introdussero l'uso della catapulta presso i Cinesi che così conquistarono i nanchinesi (per la serie "ma farvi i cazzi vostri mai?"). Quindi, insomma, come avrete capito Marco e compagni erano molto ben voluti da quelle parti ma a un certo punto dovettero tornare a casa (anche questo percorso è ben evidente in cartina). Durante questo viaggio di ritorno che egli compì da solo perchè il padre e lo zio erano tornati prima si inserisce uno degli episodi più conosciuti di sempre: l'incontro coi popoli dalla testa di cane (i cinocefali, appunto). Allora, premettiamo qualcosa. Già nell'isola precedente aveva visto una popolazione con la coda che viveva sulle montagne che si comportava in modo strano: erano macachi. Ora, cosa potete aspettarvi da un uomo che scambia delle scimmie per strani uomini (la cosa mi puzza un po' di razzismo ma fa niente) ? Mi sembra abbastanza evidente che di uomini con la testa di cane non ne esistano in Africa, non so che diavolo possa aver visto anche se questo racconto era diffuso già in altri precedenti racconti di viaggio: che non si sia ricordato di cosa avesse visto o che abbia scambiato degli animali per uomini?

In ogni caso nel 1298 finalmente tornò in territorio italico ma sfiga volle (perchè qua si tratta proprio di sfiga, eh!) che egli si trovasse proprio su una di quelle nave veneziane sconfitte dalla repubblica marinare di Genova, allora nemica giurata di Venezia. Fu così che si trovò prigioniero per qualche anno e, in queste condizioni a dir poco precarie, dettò e raccontò dei suoi viaggi a un certo Rustichello di Pisa che, dunque, a conti fatti, va considerato il vero autore materiale del "Milione" che infatti ci è giunto su numerosi codici (i libroni scritti a mano medievali tutti decorati, quelli belli insomma!).

E quindi questo era il "Milione" di Marco Polo! In realtà il discorso potrebbe essere molto più ampio e potrei parlarvi dei rapporti che, fin dal medioevo, l'occidente ha intessuto con l'estremo oriente e di questa tradizione ed eredità orientale silenziosa che noi ci portiamo dietro. Però il discorso è complicato, il tempo poco e prima ci sono un paio di letture che devo, e soprattutto voglio, farmi. Quindi diciamo che riprenderò l'argomento un giorno e, spero, tra non troppo (anche se temo che per questo specifico dovrete aspettare almeno agosto-settembre perchè prima devo fare degli "accertamenti" "sul campo" di cui vi parlerò). Del "Milione" di Marco Polo esistono, ovviamente, diverse edizioni: ne ho vista una della Garzanti molto economica e piccola ma non so se contiene un'introduzione di qualche tipo. Io invece ho letto l'edizione Einaudi di cui non conosco il prezzo (regalo ma penso venisse sui 20€ o anche meno) e che vi consiglio non perchè è quella che ho letto io ma perchè presenta sia il testo originale sia la traduzione in italiano contemporaneo. Se decidete, come me, di affrontare il testo originale (tanto è italiano in prosa, molto ma molto tanto più facile di Dante e, se non capiste nulla, c'è pure il testo in italiano contemporaneo quindi è proprio a prova di imbecille) sappiate che non avrete difficoltà perchè Marco Polo, o Rustichello da Pisa o altri ancora per lui, scrivono in un italiano da prima elementare (e se mi dite <<ma noi in prima elementare non sapevamo scrivere>> sappiate che la cosa non cambia). Infatti vi capiterà di imbattervi in frasi come "In Giorgia hae uno re il quale chiama sempre David Melic, cioè a dire, in francesco, Davide Re" o anche "In Turcomania ha tre generazioni di gente" e, infine, "Quando l'uomo si parte di questa provincia ch'io v'ho contato, l'uomo discende per una grande china. ch'è bene due giornate e mezzo pure a china; e in quelle due giornate e mezzo non hae cose da contare, salvo che v'ha una grande piazza, ove si fa certa fiera certi dì dell'anno.". Ma non è che chi scrivesse fosse scemo (o sciemo) ma il linguaggio popolare italiano, il famoso volgare, ancora non era perfetto e ben delineato stilisticamente e quindi la gente scriveva un po' a palmo (anche di questo se ne riparlerà però). Quindi penso che tutti voi possiate, in definitiva, leggere il libro tranquillamente. Non aspettatevi una cosa troppo avventurosa, non è che Marco di ogni posto narri di leggende o favole particolari, però per un 250 pagine scarse di storia si può fare.


Chiudo questo brano con una canzone che, penso, possa anche provare a starci bene salutandovi fino a sabato prossimo quando, ahimè e ahivoi affronterò un nuovo merdalavoro!


sabato 17 maggio 2014

Breve piccola storia sommaria della musica: dai poemi omerici alle biografie musicali!

E quindi, rieccomi qua dopo essere stato latitante per un mesetto circa! I miei impegni li sapete, ve li ho detti qui, ma è anche vero che vi avevo promesso un nuovo articolo per sabato scorso! Perchè non è uscito finendo per essere spostato a oggi? Bhè, diciamo che fino all'altro giorno ero più o meno in questa situazione che imprecavo contro tutti i santi dell'olimpo Pastafariano perchè LibreOffice, il mio magnifico programma di scrittura, mi scombinava tutto il numero delle pagine nella mia relazione per l'università mandando a puttane un po' del mio lavoro di mesi (per fortuna recuperato tutto). Comunque, a parte questo, eccomi qua sano e salvo pronto a ricominciare (non con troppo slancio, mi raccomando)! Questo stramaledetto lavoro ve lo metto sul sito appena posso (e capisco come fare) come vi avevo già detto tempo addietro che avrei fatto. Inoltre indovinate un po'? questa è l'ultima settimana di lezione all'università (urla di gaudio e giubilio evidentemente finte dato il periodo che mi aspetta)!! E questo che vuol dire? Che sarò più regolare nello scrivere articoli e, a parte un paio di settimane quest'estate, ogni sabato avrete il vostro articolo! Contenti? No? Vi capisco!

Ma veniamo al tema di questa settimana! Musica e letteratura, due arti che spesso hanno avuto a che fare l'una con l'altra fin dall'origine di qualunque forma di cultura scritta (e non). Ora, dato che parlare dell'importanza della musica non si può fare in un articolo o due (ci vorrebbe tipo un'enciclopedia divisa in voluminosi volumi volumetrici) per stavolta diciamo che vi disegnerò (e pregate che non lo faccia nel senso letterale del termine, lo dico per voi, anche se ne sarei capace) un quadro generale di come la musica abbia accompagnato fin dagli antichi tutta la letteratura per giungere fino ai giorni nostri dove vi lascerò con un piccolo libro che vi consiglio ma, senza perderci in chiacchere, iniziamo sul serio!

La letteratura nasce, all'origine dei tempi, in poesia e non in prosa. Questa cosa, che può apparire strana a molti (a me all'inizio sembrava incomprensibile data la mia incapacità di comporre rime anche solo lontanamente decenti), in realtà è comprensibile se si pensa a come fossero le prime forme di cultura letteraria: orali e non scritte. Agli inizi (e si sta parlando anche prima dei Greci e quindi, andando all'indietro senza nemmeno troppo esagerare, almeno a 700 anni prima che nascesse Gesù) nessuno scriveva nulla di letterario, al massimo si contava quanti buoi c'erano nella stalla con dei segni, nulla di più. Però qualcuno, presso i sovrani o tra il popolo, sapeva suonare qualche strumento rudimentale (stiamo parlando di strumenti con una corda sola che, penso, anche uno scimpanzè saprebbe suonare col sedere) e cominciò, piano piano, ad accompagnare alla "musica" delle parole. E, dato che all'inizio alla gente non gliene fregava del verso che facevano le volpi (ogni riferimento è puramente casuale), iniziarono a narrare le gesta di eroi grandiosi del passato e di dei arrapatissimi tramandandosi il testo di generazione in generazione a memoria. Effettivamente imparare qualcosa ritmandolo cantando e suonando è più semplice e aiuta molto di più a ricordarsi le cose. Fu così che nacquero, nella Grecia del 600 a.C. circa, delle figure chiamate aedi che andavano di corte in corte a cantare di antiche battaglie e scontri mitici. Tra questi vi era anche un vecchio ceco di nome Omero, personaggio praticamente mitico e probabilmente inventato, che si dice abbia cantato per primo tutta l' Iliade e l'Odissea, solo successivamente messe per iscritto. Ora, non entriamo nel merito se il signor Omero sia o non sia esistito, se i due poemi li abbia effettivamente composti lui e sul loro valore, facciamo che ne parlo a parte un'altra volta, che è meglio (come sempre, del resto). Comunque, sta di fatto che fecero un vero scalpore all'epoca e la gente cominciò a studiare sempre di più gli strumenti musicali e i testi da cantare. Non starò qui a dilungarmi con una serie infinita di nomi casuali a mo di elenco del telefono perchè sia io che voi, penso, troviate tutto molto pallosissimo (o almeno io l'ho trovato così al liceo, non mi sono mai piaciuti gli elenchi del telefono. e faccio giurisprudenza, per intenderci.). Vi basti sapere che mentre c'è gente che aggiunge corde alle arpe, fa buchi ai flauti e comincia a cantare dei propri cazzi (come sempre, in Grecia, in ogni senso: vi basti leggere qui) e non più di grandi eroi c'è qualcuno che inizia a intuire che dietro alla musica vi possa essere un ordine, un'armonia quasi matematica che può regolare non solo le leggi della metrica ma anche dell'universo intero. Infatti si racconta che una volta qualcuno (non mi ricordo se fosse una persona specifica ma non importa), vedendo il grande (non nel senso di grasso) filosofo Pitagora (che comunque era mezzo pazzo, quindi se lo trovate strano non siete i soli) che, seduto da solo a occhi sembrava essere rilassatissimo, gli chiese che stesse facendo ed egli rispose che stava ascoltando la musica celeste dei pianeti che si muovevano (sì, era completamente pazzo, ve l'ho detto!). Però, poi, in seguito (non sono riuscito a trovare altri avverbi da metterci in mezzo se no avrei continuato), anche persone del calibro di Platone la introdussero tra le "manie", ovvero quelle arti provenienti dagli dei. Il discorso rimane più o meno invariato anche per l'epoca dei romani ma occorre fare delle precisazioni: noi della musica degli antichi non sappiamo nulla di nulla. Cioè, sappiamo più o meno come fossero gli strumenti, nemmeno troppo bene, ma di certo non sappiamo suonarli come loro, non sappiamo il ritmo che avevano, non sapiamo leggere correttamente i testi di poesia, nulla di nulla insomma (come sempre del resto)! Certo, si può cercare di riprodurre il tutto, ma non sapremo mai se ciò corrisponda a quello che era anche per loro!

Durante l'impero romano, come tutti non possiamo non sapere, inizia a svilupparsi il cristianesimo e, piano piano nei secoli, questo inizia ad avere sempre più discepoli prima tra i nobili e in seguito anche tra le classi meno agiate. Ora, questa nuova religione che riconosceva un solo Dio era molto diversa da quella precedente che ne adorava diversi e aveva riti completamente differenti (anche se inizialmente tutte queste differenze non è che ci fossero). Allora, che cosa fare per abituare i nuovi fedeli a tante novità rivoluzionarie tutte insieme? Inizialmente assorbirono molte feste e riti pagani e poi iniziarono a cantare e mettere in musica quell'insieme di valori che dovevano scolpirsi nella mente della gente: era la nascita delle preghiere (wiii!!)! Queste venivano, come ancora oggi, recitate sia dal singolo sia dalla comunità radunata che, per memorizzare le parole meglio e renderle più ridondanti, iniziò a cantarle accompagnandole con musica (anche nella religione buddista orientale succede la stessa cosa con i mantra ripetuti e cantati continuamente come questo, giusto per intenderci, di cui mi sono innamorato in Cina). I canti dei gregoriani e di tutti gli ordini monastici nelle chiese, nei conventi e per strada risuonarono per tutto il medioevo (la musica rientrava in quell'insieme di arti che, insieme alla matematica, erano insegnate nei blocchi del trivio e quadrivio) finchè non furono, sempre di più, accompagnati dai canti popolari e volgari che la gente comune componeva. Questi, anche se non so se ce ne siano arrivati da tempi molto antichi (sono sinceramente ignorante su tutto ciò), erano da sempre esistiti (e li abbiamo tutt'oggi) ma, con l'arrivo del cristianesimo, diciamo che si erano ridotti (a nessuno piace essere picchiato per strada, a nessuno) ma senza mai scomparire. Con la cultura del popolo in piazza che festeggia alle fiere iniziano a svilupparsi di nuovo e vengono riproposti soprattutto da quegli studenti che, stufi di star tutto il giorno sui libri, nei momenti liberi, uscivano dalle loro cellette e inventavao canzoncine (quando i siti porno ancora non esistevano era dura passare le giornate), via via sempre più articolate, che sfociarono poi in vere e proprie grandi opere come i celebri "Carmina Burana" di cui avrete sicuramente sentito questo brano. Piano piano però la tematica di questi canti da religiosa divenne o epica, con i poemi cavallereschi cantati già da tempo alle corte dei sovrani, o amorosa, con le canzoni dei menestrelli provenzali (una regione del sud della Francia). Questi, in particolar modo, da cantori di piazza e buffoni (come Cielo d'Alcamo in Sicilia) divennero sempre più professionali e furono a volte pure invitati dai vari sovrani a cantare per loro pur riscuotendo un certo successo anche tra il popolo. E così ci si avvicinò piano piano alla poesia di Dante, Petrarca e gli altri della compagnia che, col passare del tempo, abbandonarono gli strumenti e i canti ed iniziarono a recitare le loro composizioni come siamo abituati noi.

Ma, in ogni caso, la musica non scomparve mai. Infatti non ne ho parlato fin'ora (che bullo che sono) ma si continuava a cantare a teatro da sempre: cantavano i Greci con le tragedie, cantavano i Romani con le commedie, cantavano i Medievali con le rappresentazioni di episodi sacri, cantavano i Rinascimentali nei loro drammi pieni di morti e sangue. E tutto questo cantare ai teatri, anche se all'inizio era osteggiato dai sovrani, cominciò piano piano ad essere apprezzato (una delle prime a farlo fu la famosa Elisabetta I d'Inghilterra) e elevato di forma. Nacquero in questo modo le mascherate, terribili drammi interpretati dalla nobiltà che non sapeva minimamente recitare e che, dunque, passato il momento di entusiasmo iniziale, iniziò a capire che forse era il caso di lasciar fare a gente che se ne intendesse di più e iniziarono, di nuovo, a far fare il lavoro ad altri. Questi professionisti, vedendo che ai nobili annoiavano le recite classiche e che preferivano sentir cantar la gente, inventarono delle forme di teatro in cui la gente non faceva che cantare (scusate le mille ripetizioni di cantare ma non è facile trovare sinonimi), dall'inizio alla fine, spesso dimenticandosi di come si scrivesse decentemente: era il melodramma che, in Italia, ebbe piena realizzazione con quell'animale da circo che era Pietro Trapassi in arte Metastasio. Il libretto del melodramma, poi opera lirica, divenne sempre più popolare e venne affiancato anche da grandi nomi nella storia della musica del calibro di Mozart, Beethoven e altri che qualcuno di più bravo di me vi potrebbe snocciolare senza problemi i quali (gli artisti, non gli esperti) però iniziarono anche a far musica per i cazzi loro.

Quindi abbiamo, per ricapitolare, allo stesso tempo: musica lirica, musica da teatro normale, compositori per conto loro che però smettono di usare la musica molto in linea di massima per accompagnarla a testi di poesia. Bene, tutto questo ormai non c'è più. O meglio, la suddivisione non è più così distinta. Infatti dagli anni '50 c'è stato un vero e proprio boom musicale legato, in parte, alla più facile accessibilità di tutti alla musica con i vinili prima e le cassette e i cd dopo ma anche grazie a un periodo di pace abbastanza lungo in Europa e a una certa prosperità che ha avvicinato le grandi masse al panorama musicale (l'imbarazzo di non saper bene dove mettere le virgole ma vabbè, a noi piace così). Ora, non mi metterò qui a parlare di 60 anni di musica in un articoletto, sarebbe noioso ed inutile (e quantomai stupido), ma vi voglio portare 2 esempi di come la musica, col tempo, non sia più rimasta un qualcosa di fine a sè stesso ma come si sia mescolata sempre di più con altre arti tra cui la letteratura. Iniziamo da un esempio musicale che ha tratto buona parte della sua realizzazione dalla cultura letteraria: Battiato e, in particolare, la canzone "Il Sentimento Nuevo".


Come potete sentire (a meno che non siate sordi, e allora mi dispiace), l'autore, che piaccia o meno, prende spunto da un panorama culturale complessissimo e lo trasporta sul piano musicale fondendo musica e non solo lettere. Il mio non vuole essere un elogio, sia chiaro, nè voglio dire che le canzoni se non sono così acculturate facciano schifo, solo questo autore e i suoi testi mi sembra rappresentino in pieno il concetto di mescolanza di modi diversi di vedere una cultura fusi attraverso la musica.
 L'altro esempio che volevo portarvi è invece più letterario: si tratta di "Transmission. Vita morte e visioni di Ian Curtis, Joy Division" di Alessandro Angeli. Questo libro che racconta con precisione la vita romanzata di Ian Curtis mette bene in luce come si possa parlare di musica e di personalità legate ad essa con esattezza scientifica legandola però al piacere di una lettura gradevole e non pesante. E io, nota bene, dico questo da non amante dei Joy Division (più per ignoranza devo ammettere) e tuttavia l'ho molto apprezzato: se amate la band sarete al settimo cielo per il vostro acquisto, ve l'assicuro! Il libretto è edito da Grande Sconcerto, una piccola casa editrice che fa riferimento al gruppo di Stampa Alternativa, per soli 13€: per questo motivo, dato che potrebbe essere difficilmente reperibile, vi do, a fine articolo, il link della pagina facebook e della casa editrice ma dovreste trovarlo senza problemi su Amazon. A questo punto potreste chiedermi: <<Ma perchè, di tanti libri che parlano di musica, proprio quello ci devi consigliare? Non c'è niente di meglio?>>. Diciamo che il discorso è molto complesso ed andrebbe affrontato a parte, però si tratta principalmente di un motivo ideologico legato alle piccole case editrici e di cui preferisco parlarvi a parte, vi basti sapere che tutto quello che pubblicizzo è perchè lo ritengo valido (se non ineccepibile) e che, quindi, dietro non ci sono strani maneggi e magheggi.


Poi appunto, della musica ne potrei parlare per giorni e giorni e, per questo motivo, preferisco scrivere dei singoli articoli senza fretta, aspettando di avere la giusta ispirazione! Prima di lasciarvi e darvi appuntamento alla prossima volta in giro per il mondo con un noto viaggiatore italiano volevo dedicare quest'articolo a Bianca che ha percorso con me buona parte del percorso di formazione musicale (e tanti auguri, a proposito!)!

sabato 3 maggio 2014

Collana "A Bordo di Libro" (extra 1): la Serba Belgrado e la Bosniaca Sarajevo (cose da vedere, organizzazione cittadina e informazioni pratiche)

Ed eccoci tornati a questa seconda parte! La prima la trovate QUI e invito TUTTI quanti a leggerla per capire qual'è lo stile e l'intento di questo piccolo spazio. Se invece vi fidate a continuare e non capite però non lamentatevi, eh!

Dunque, iniziamo con le cose da vedere in sè facendo città per città, senza ordine cronologico del viaggio. Belgrado deve il suo nome alla sua fortezza bianca (almeno questo in origine il colore) che sta sulla cima del promontorio che guarda il piccolo fiume del Sava andare a gonfiare il Danubio che passa proprio di lì. L'ingresso è gratuito e, detto sinceramente, dentro non è che ci sia un granchè d avedere di per sè: è più un bel giardino in cui far quattro passi ormai. Dentro si trova il mausoleo di un tipo arabo (scusate la generaliatà dell'affermazione, ma non studiando la loro storia non so nemmeno quanto sia stato effettivamente importante), un pozzo romano (che poi è austriaco ma romano suona meglio) che nemmeno è venuto su bene, la statua di un uomo nudo con in mano un falco e una spada (a simboleggiare l'indopendenza serba) e vi è, oltre a un vasto e interessante museo della guerra, una parte un poco nascosta che ospita due chiesette molto carine. In una addirittura vendono l'acqua di una fonte che loro ritengono miracilosa e che spero non sia la stessa dell'acqua del rubinetto che sa di cloro in una maniera mostruosa. La città presenta una via principale pedonale in cui vi è una fontana abbastanza famosa (ma non altrettanto bella) che, cammina cammina (ma cammina cammina tanto eh!) vi porta alla gigantesca cattedrale ortodossa di S. Sava, un santo le cui reliquie furono bruciate dai mussulmani proprio lì. Per strada fate attenzione a non perdere la casa museo del premio Nobel per la letteratura Ivo Andriç, la chiesa di S. Marco con la sua piccola vicina e il museo di Tesla, il famoso fisico, che anche solo per l'importnaza dell'inventore vale ASSOLUTAMENTE una visita (lì sono oltretutto conservate le sue ceneri). San Sava non vale la pena di una visita perchè sarà pur grande come S. Pietro quasi ma dentro è ancora un cantiere e non hanno finito di fare un culo. Di notevole importanza è anche la cattedrale ortodossa vera e propria che si trova vicino circa alla cittadella. E fine, questo c'è sul serio da vedere. Sorpresi che non ci siano tanti altri edifici religiosi oltre a quelli ortodossi (solo una moschea è stata risparmiata tra le tante che vi erano)? Ebbene, i tolleranti cittadini di Belgrado non potevano sopportare che altra gente pregasse in modo diverso e hanno demolito tutto, bello no (no eh?)? Comunque per Belgrado un paio di giorni sono sufficienti direi, non è che ci sia molto nella cittadina da vedere. Invece i dintorni possono essere parecchio interssanti! C'è la tomba di Tito da visitare con tanto id museo dei doni che gli hanno fatto da tutto il mondo e il piccolo paesino di Zemum che offre una meravigliosa camminata lungo il Danubio! Quattro passi però, se ve li volete fare senza dover prendere un taxi per andarci, potete farli anche a Belgrado che offre un ottimo vialetto dove passeggiare sotto la fortezza seguendo il corso del Sava e del Danubio (so che questa geografia un po' vaga può essere disturbante ma dovete vedere com'è fatta l'affluenza per capire bene!). E questo è tipo quello che ho visto della Serbia e di belgrado: non molto ma abbastanza per farmi un quadro generale. Passiamo ora a Sarajevo! Quando arrivammo per la prima volta col taxi la "celebre" piazza principale con le sue casette mi sembrava tanto uno di quei paesini di montagna della Valle d'Aosta, avete presente con le strade tutte in discesa e la piazzettina piccola con un chioschetto delle informazioni? Bhè, se vedete questo coso che c'è in mezzo capirete subito il perchè del paragone! La città si distngue in due parti: quella antica che sembra una turistopoli e quella nuova abitata dai cittadini che vivono la loro vita tranquillamente. Veramente un peccato che la prima, che comunque presenta tutti edifici autentici, sia stata così invasa dai turisti e con loro da negozi di cianfrusaglie inutili e bar-ristoranti scadenti (per quanto si mangi sempre bene, sia chiaro). In questa parte di può osservare diverse moschee e edifici del periodo mussulmani che sono scampati (o sono stati ricostruiti) dopo l'attacco Serbo degli anni '90. Mentre a Belgrado la tolleranza religiosa non è proprio una disciplina olimpica a Sarajevo le cose sono all'opposto: nella città, a pochi metri di distanza, convivono cattolici, ebrei, ortodossi e mussulmani, oriente e occidente, dimostrando una grandissima apertura mentale! Anzi, in tempi passati edifici come la vecchia sinagoga furono commissionati e pagati dai capi politico-religiosi mussulmani che volevano mantenere la pace aprendo la città a tutti: proprio come in Serbia! Così potrete visitare ogni edificio religioso che vorrete e state tranquilli che, in ogni caso, troverete da che rimanere soddisfatti in ogni caso! Il museo dell'angolo dell'attentato del 1914 presenta uno dei video che ricostruiscono le vicende passate più esilaranti che abbia mai visto, merita una visita anche solo per quello! Sulle colline circostanti si estendono diversi cimiteri (da quello ebraico a quello mussulmano) ma se ne possono vedere sparsi veramente ovunque! Infatti i mussulmani non usano le tombe famigliari come le nostre ma singole e quindi sembrano molti di più ( e dopo i bombardamenti lo sono). Noleggiando un'auto (attenti alla compagnia a cui vi affidate, la nostra che è la prima sulla destra quando vi lasciate alle spalle la pizza principale della città vecchia sulla strada non pedonale coi binari del tram andnando verso la città nuova ci ha fregati simulando il furto del tergicristalli posteriore che ci hanno fatto pagare) si può andare in giornata, attraversando verdi gole, a visitare la piccola cittadina di Mostar coi suoi dintorni. Qualcuno di voi avrà sicuramente sentito parlare di questa "capitale"della Herzegovina perchè è il centro abitato più importante in Bosnia vicino alla cristiana Medjugorie (non so come si scriva, non fatemelo cercare per piacere!). Alla fine, in realtà, a parte un antico ponte effettivamente particolare e carino, altro non è che una stradina piena di negozietti per turisti e masse di gruppi di anziani in pellegrinaggio. Il paesino però, come anche Sarajevo, presenta evidenti segni del bombardamento del '93 e per le strade si possono leggere ancora piccole pietre che riportano la scritta "don't forget '93" , cosa che ho apprezzato tantissimo e ho trovato molto commovente, molto di più di artificiosi monumenti che poco trasmettono del dolore (d'altra parte assenti in Bosnia ma anche su questo ci torno). Vicino a Mostar vi è una semi deserta città di pietra patrimonio dell'UNESCO (ma non per questo risparmiata dai Serbi) di origine ottomana che merita una visita e una casa-monastero dei dervisci, quei tipo monaci mussulmani che girano per entrare in contatto ascetico col divino. Tutto comunque fattibile in giornata, le strade per arrivare sono tenute meglio che in Italia!

E quindi queste sono le cose che tipo ho visto. Veniamo ora all'architettura delle città. Io, devo dire, ho prefrito Sarajevo a Belgrado. Questa ha sì dei palazzi meglio curati e più vicini al nostro gusto ma accanto (letteralemente!) presenta grigi condomini scrostati anche in centro città di epoca comunista che non sono stati sistemati. A Sarajevo le abitazioni sono più modeste e dimesse a volte ma, anche ignorando la parte nuova paragonabile a una strada qualsiasi della nostra Milano, il contesto in cui sono poste e il retroscena storico così recente giustificano e valorizzano un certo stato di cose. In entrambe le capitali, nella periferia, sono presenti grandissimi palazzoni tutti uguali squallidissimi del periodo comunista che, però, prima di criticare, bisognerebbe anche contestualizzare. Innanzitutto hanno avuto il merito di garantire un tetto sulla testa a TUTTI i cittadini (non vi sono praticamente barboni se non disagiato per le strade) e inoltre hanno raccolto la popolazione (cosa indispensabile in un territorio montuoso come quello che circonda Sarajevo) fornendo ampissimi spazi pubblici verdi. Infatti vi è una grande differenza tra queste "periferie" e le nostre: infatti una Corsico, per dire, è una vera e propria città dormitorio, dove la gente non vive e non passeggia. Là invece non c'è un mini comune di belgrado o Sarajevo ma dei centri veri e propri a sè stanti con tanto di negozi e uffici (da quelle parti si trova l'ambasciata americana a Sarajevo, per dire) che permettono una vita sociale al di fuori del proprio piccolo appartamento. Ed è appunto il verde pubblico una grande caratteristica di queste città che, appunto, data la disponibilità di spazio, si son potute permettere ampi viali alberati e parchi pubblici che fanno invidia a Milano!

Sul cibo andate sul sicuro sempre: si mangia tanto e a poco prezzo (50€ una cena abbondante per 3 persone con birra media per ciascuno, 3 antipasti e 3 secondi, liquorino finale incluso e a volte dolce pure). Se siete carnivori questo è il vostro paradiso: buttatevi a pesce nella scelta di carni cotte in ogni modo sempre buone, fresche e mai stoppose! Anche i vegetariani tuttavia non avranno difficoltà a trovare di che nutrirsi (sì, anche voi vegani!). Come ristoranti vi conssiglio il Little Bay (fatto tipo teatro con gente che suona musica classica e canta l'opera dla vivo) e il ? (si chiama così la vecchia osteria accanto alla cattedrale ortodossa) a Belgrado e Dvari (prima strada sulla destra lungo la via pedonale principale della città vecchia, di fronte all'ufficio dle turismo) a Sarajevo dove dovete evitare invece l' "Aereoplane".

In Serbia ci sono i Dinari: 1000 Dinari sono circa 8€ quindi non fatevi spaventare dai prezzi!. In Bosnia invece ci sono i Marchi: 2 Marchi sono qui 1 euro per cui non avrete problemi di alcun tipo!


Mi sembra di aver detto tutto, quindi volevo chiudere facendo un paio di annotazioni sulla visione della guerra da parte dei due popoli. Nel museo della guerra di Belgrado si fa solo un molto rapido riferimento alla guerra degli anni '90 dicendo solo che la NATO ha bombardato la città come se fosse stata una scelta arbitraria. In città, nel parco dietro alla cattedrale di S.Marco, vi sono due monumenti. Uno è una semplice lapide con su scritto "perchè?" e che è stata posta dai tipi della stazione televisiva che hanno visto 16 colleghi morire sotto i bombardamenti. L'altro è tipo un cuore spezzato con su la frase "we were just children..." anche qui per i bambini morti nel bombardamento si Belgrado. L'autista di un taxi nel portarci alla tomba di Tito ha indicato un locale distrutto dicendo che quei "nazisti" (questa l'espressione da lui usata) della NATO avevano bombradato un ospedale uccidendo anche dei bambini (penso si sia trattato di un errore, di solito queste cose non si fanno). A Sarajevo non c'è nulla. Solo sui muri degli edifici ci sono delle piccole e quasi anonime targhe con su nomi di persone che hanno lavorato in scuole o posti del genere e che sono morti nei bombardamenti. Ce ne sono circa 50 su ogni edificio importante. Qualche centinaio segnano nomi di alcuni dei bambini morti nei pressi di un parco. Non vi è altro. Nessuno ce ne ha parlato più di tanto. A ciascuno la sua conclusione.

Collana "A Bordo di Libro" (extra 1): la Serba Belgrado e la Bosniaca Sarajevo (Introduzione fondamentale e cenni storici)

E buongiorno a tutti quanti, dopo un tempo incredibile che non ci sentivamo! Oggi, come avrete capito dal titolo, non sono qui per parlarvi di libri ma di una mia esperienza di viaggio. Prima di iniziare con qualunque tipo di premessa però 2 cose. 1) Questo brano, per mantenere fresca e genuina (come una mozzarella Vallelata) l'esperienza di viaggio, lo sto scrivendo di getto=non rileggo ciò che scrivo=ci saranno errori di battitura e non solo=non è che sono scemo o altro se vedete degli strafalcioni lessicali o cose simili, non abbiatene (come se anche nei brani che controllo non ci fossero erroracci schifosi, ma vabbè). Altra cosa: voglio ricordare a tutti quanti del raduno del blog che si terrà SABATO 10 MAGGIO AL SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO DI TORINO ALLE ORE 14:00 E DI CUI VI PARLO qui. I dettagli li trovate tutti nel link che vi ho messo ma se non vi è chiaro qualcosa chiedete pure o fatemi sapere robe!

Detto ciò iniziamo... con un'altra premessa! Chi non segue permanentemente il blog ed è qua per caso e vuole leggersi questo stracazzo di articolo (scusate il francesismo) lo può trovare al paragrafo successivo mentre qui due righe per chi mi segue più assiduamente. Ok, sappiate che non sono impazzito: so che il blog si chiama Letterarte (il che fa pensare a dei libri circa di solito) e che fin'ora abbiamo trattato prevalentemente di libri MA, se vi ricordate, nel primissimo articolo scritto vi avevo detto che questo è un blog di CULTURA e non solo di LETTERATURA. Così ho deciso di regalarvi la mia esperienza di un viaggio, seppur piccolo, da legare, se così si può dire, alla collana "Abordodilibro". Perchè? Perchè viaggiare con i libri, con le letture, sfortunatamente non basta: per quanto ci si possa immedesimare nel protagonista (e nel prossimo articolo della collana lo faremo molto bene) il viaggio rimane un'esperienza sensoriale da vivere in prima persona incontrando la gente, gli odori, i sapori e ascoltando i rumori tipici di una città lontana dalla nostra che porta una ventata di fresca novità (no, non lavoro per un'agenzia turistica comunque). E così, come fin'ora vi ho regalato brani informali di opere serie ho pensato di condividere questo mio piccolo viaggio con tutti voi! Spero vi possa divertire e spero vi invogli a viaggiare ed esplorare culture diverse dalla nostra!

Questa invece è un'avvertenza per tutti che non sarebbe necessaria in un clima di pace mondiale ma che sul web, dove giornalmente si combatte una guerra mondiale digitale fatta di insulti e di minacce, è bene fare. In questo articolo si parla di Serbi e Bosniaci, due etnie che molto recentemente sono entrate in guerra (di quelle serie, non come in Ucraina ora che ci sono, al confronto, solo poche scaramucce) e vi accennerò anche al periodo comunista di Tito in Jugoslavia. Ora, io sono un classe '94, non fo vissuto, visto o sperimentato NULLA, dal punto di vista storico, di quello di cui vi parlerò. Anche a scuola l'argomento viene trattato poco e la mia fonte si informazione è piuttosto vaga (mio padre che di queste cose comunque se ne intende un po'). Quindi di sicuro (ma non è che lo faccio per tirarmela, è un di sicuro seriamente) CI SARANNO FORTI IMPRECISIONI DAL PUNTO DI VISTA STORICO E PER QUANTO RIGUARDA DATE E INTENZIONI DELLE PARTI IN CAUSA NON POSSO ASSICURARE NULLA: FATTO STA CHE CERCHERO' IN TUTTI I MODI DI RIPRODURRE LE COSE A GRANDI LINEE COME SONO ANDATE (NON SCRIVO TUTTE E SOLO PUTTANATE, QUESTO E' IL SENSO). IL GIUDIZIO CHE POSSO DARE E' DEL TUTTO PERSONALISSIMO E NON E' VOLTO AD OFFENDERE NESSUNO NELLO SPECIFICO MA E' UN SEMPLICE PUNTO DI VISTA, NULLA DI PIU'!!! NON SONO CONTEMPLATI O TOLLERATI RAZZISMI E DISCRIMINAZIONI DI ALCUN TIPO PER QUANTO RIGUARDA LE ETNIE E LE RELIGIONI COINVOLTE; MIRO SOLO A DARE UNA VISIONE PIU' OGGETTIVA POSSIBILE (spero si essere stato chiaro!!!!!!). Ma detto questo, iniziamo!

Innanzitutto chiariamo dove e per quanto sono stato nei vari luoghi: partiti venerdì per la serba Belgrado ci siamo diretti domenica nella bosniaca Sarajevo da cui, dopo un' escursione giornaliera a Mostar martedì, mercoledì siamo tornati a Belgrado per poi tornarcene in Italia il venerdì dopo (insomma dal 25 fino a ieri, il 2). Non vi riporterò il nome di ogni singola chiesa/monumento perchè: 1) questa vuole essere un'esperienza di viaggio condivisa, non una guida vera e propria; 2) scrivo tutto sul momento e non ricerco tutti i nomi precisi anche perchè alcuni me li ricordo; 3) le due capitali non sono enormi e le cose, se ci andate, le troverete da soli; 4) non posso ricordarmi i nomi di tutte le moschee di sarajevo perchè non ho familiarità con l'arabo. In ogni caso se volete poi delle indicazioni più precise scrivetemi o in privato o qua sotto in commento e ovviamente vi riempio di link e indormazioni. Io ho viaggiato con i miei genitori (2+1=3) e siamo andati da soli, non in gruppi o con guide locali di sorta ma anzi armati di guide turistiche prese in prestito e non proprio dettagliatissime.

Dunque, cerchiamo di dare questo stramaledetto quadro storico? Senza complicarci troppo: c'erano i romani, poi i barbari, poi l'impero romano d'oriente (ortodosso) che si è trasformatp anche lì in regno ottomano (mussulmano). Per diversi secoli il territorio è rimasto il loro finchè, almeno per un po', non sono arrivati gli austriaci (cattolici). In parte il tutto era sotto l'impero austro-ungarico, un po' era semi indipendente ma fatto sta che nella regione della Bosnia, circa verso la Serbia, c'è una piccola fascia montuosa in cui vivono diversi serbi, seppur in territorio bosniaco, che vogliono l'indipendenza. Tra questi vi è Gavrillo Princip, colui che nel 1914 sparò a Sarajevo all'arciduca Ferdinando Emanuele Filippo Salvatore Ermanno (mi sembra si chiamasse proprio così) facendo scoppiare la prima, e così di consguenza anche la seconda, Guerra Mondiale (anche se l'assassino viene in quella regione adorato come eroe nazionale dell'indipendenza). Finisce la II G.M. (Giovane Marmotta) e tutti quegli stati balcani passano sotto il partigiano Tito che aveva scacciato Tedeschi e Italiani fascisti da quei territori. Tito è un comunista un po' ribelle e, finchè c'è Stalin, non lo accetta. Poi passa sotto il controllo dell' U.R.S.S. pur facendo un po' di testa sua: infatti è uno degli stati fondatori (quello Jugoslavo, non Tito) della federazione dei paesi non allineati nel blocco che divise in due il monso durante la guerra fredda. E fu così che, seppur sotto l'ala comunista, riuscì in una magnifica impresa diplomatica non solo con i paesi occidentali come gli U.S.A. ma anche con i territori interni alla Jugoslavia che stavano tutti belli uniti. Ma questa pace non era destinata a durare: nel 1980 Tito muore e, quando poi cade il muro di Berlino, ogni stato vuile la sua indipendenza. Alcuni, come la Slovenia, la trovano facilmente per via di confini naturali, mentre altri stati cominciano a farsi la guerra tra di loro. Questo è il caso di Croazia, Serbia, Montenegro, Kossovo e Bosnia ed Herzegovina (una regione della Bosnia più verso il mare). Serbia e Montenegro hanno dapprima mosso la guerra bombardando le isole della Croazia e compiendo stragi in Bosnia per via di quella porzione di terra già vista col Gavrillo (che poi in quei monti comunque sono pochissimi i Serbi che ci vivono). Miloseviç, il leader super conservatore serbo, non si fa scrupoli a bombardare dalle alture circostanti Sarajevo per 3 mesi e mezzo facendo circa 10 mila morti (sono stato su quelle alture e bombardare da lì era uno scherzo, si vede tutta la città). Ovviamente hanno colpito scuole e vari edifici storici come il vecchio comune che conteneva tantissimi manoscritti andati ora perduti! Ma questo non è nulla rispetto al massacro compiuto da loro a Sebrenizva (non so se si scrive così, non credo, ma questa è la pronuncia). Un generale Serbo ha attaccato ferocemente questa cittadina un tempo conquistata dai mussulmani a scapito degli ortodossi bizantini (tutto fiero parla di "vendetta") per cui la gente è dovuta fuggire in massa verso i monti (si sta parlando di civili quindi anche bambini, donne incinte e non e anziani). Da lì tre possibilità: 1) consegnarsi ai Serbi che avevano promesso di risparmiare chi si fosse arreso (cosa falsa perchè hanno giustiziato sommariamente interi furgoni pieni di gente scaricando i corpi in fosse comuni); 2) scappare per le montagne nascondendosi coi Serbi che catturavano e ammazzavano chi incontravano (e ne hanno uccisi diversi); 3) andare alla base della NATO (che non faceva nulla anche per via dell'influsso dell'ex unione sovietica) dove però un plotone di soldati Olandesi che non vedevano di buon occhio i cittadini (il graffito "No teeth? A moustache? Smells like shit? Serbian Girl!" penso parli chiaro) ha fatto entarre in quest'are a sicura solo 5000 tra donne e bambini allontanando gli altri (anche loro scappati per i monti e molti intercettati). Quello di Sebrenizva è il più grande massacro sistematico in Europa dopo quello Nazista che ha causato più di 8000 morti (alcune fosse comuni non sono ancora state riesumate). Tutto questo pensate 20 anni fa e per motivi alla fine di carattere prettamente religioso. La NATO intervenì con diverse sanzioni ma la Serbia se ne fottè e dichiarò, sempre con Miloseviò, guerra al Kossovo. A questo punto la NATO, e l'Italia con lei, intervenne mandando delle truppe: sono quei soldati che ancora oggi muoiono di leucemia perchè la Serbia ha utilizzato PALLOTTOLE AL PLUTONIO (O URANIO ARRICCHITO) contravvenendo a non so quante migliaia di trattati internazionali. La soluzione da prendere fu una sola: Belgrado venne per 3 mesi bombardata. Miloseviç però con dei brogli continuava a rimanere al potere finchè nel 2000 una rivolta popolare non l'ha cacciato. Condannato dal tribunale dell'Aia è morto in carvere nel 2006. E così finisce questa "piccola" introduzione storica. Nell'articolo immediatamente successivo invece parlo dell'esperienza di viaggio in sè, seguitemi!