mercoledì 30 settembre 2015

"Spettri" di Ibsen: tragedia di fantasmi, incendi e morte.

Ciao a tutti e benvenuti, finalmente, a un nuovo articolo! Oggi parliamo di "Spettri", una bellissima tragedia del 1881 del norvegese Henrik Ibsen
Ho deciso di riempire l'articolo di opere del
 Norvegese Munch che esprimono perfettamente
 il clima delle tragedie di Ibsen.
(1828-1906). Per parlarne, però, devo per forza fare spoiler e dare per presupposta la trama, in quanto il fulcro della vicenda si svolge dopo un plot twist (seguito a raffica da molti altri) considerevole per quanto posto all'inizio dell'opera. Per questo l'articolo è inteso in particolare per chi ha sostenuto questa lettura condivisa con la pagina GDL per il mese di settembre oltre a chi, normalmente, ha già letto il libro per i fatti suoi: se siete coraggiosi entrate comunque a vostro rischio e pericolo, lo spoiler qui è di casa! Inutile dire, inoltre, che il dialogo e il confronto qui sotto nei commenti (aperti a chiunque) o su Facebook sia più che ben accetto. Detto ciò sto zitto e vi auguro buona lettura!

E, appunto, il plot twist, il grande colpo di scena, posto all'inizio dell'opera è un tratto caratteristico e inconfondibile delle tragedie "sociali" di Ibsen come, pure, "Un Nemico del Popolo", "Anitra Selvatica" e "Rosmersholm". La situazione iniziale, pacifica e regolare, viene sconvolta da un terremoto
così potente da non sconvolgere solo i protagonisti ma tutta la società borghese, bersaglio principale dell'autore. Le storie di abusi e violenze del capitano Alving non sono terribili solo per la vedova e per il pastore Manders, ma lo sarebbero per tutta la comunità se circolassero. Un colpo del genere metterebbe in crisi l'esistenza non solo dell'asilo, ma di tutta quell'impalcatura di buoni valori borghesi dietro ai quali si annida la perversione, l'ipocrisia e la maldicenza di una società divenuta marcia nella sua calma e placidità. E, in quanto possibile potenza distruttrice, il pastore Manders ha la massima premura che la notizia non si diffonda: "Che cosa penserebbe la gente?" "I vicini cosa potrebbero dire?" "Oh se solo sapessero"... tutte frasi con un significato forte e viscerale che saranno approfondite in "Un Nemico del Popolo".

Ma veniamo al pastore Manders, un bellissimo personaggio per la sua coerenza, un po' meno per i suoi ideali. Maschilista, bigotto e oscurantista, crede che le donne debbano sopportare le violenze che si svolgono tra le mura domestiche per mantenere saldo il sacro vincolo del matrimonio, che
il successo nella vita debba corrispondere per forza a una volontà divina (notato come difende sempre e comunque il capitano Alving?) e che da essa dipendano tutte le cose che ci circondano. Egli si fa voce di Dio, portatore di una volontà superiore, garante del giusto, convintissimo della sua superiorità sopra tutti. Il pastore Manders è un ottimo personaggio, scritto e descritto in maniera celestiale, coerente con sé stesso fino al midollo. Così coerente che, quando vede che qualcosa non torna, come Dio che concede la costruzione di un asilo in nome di un mostro come il capitano Alving, agisce lui per conto della divinità dando fuoco alla struttura quasi con noncuranza, facendosi scoprire da Engstrand ma negando l'accaduto senza troppa enfasi, riconoscendo con calma e sincerità la sua "colpa", anche se tale non è ai suoi occhi: egli non ha fatto altro che mettere in pratica il volere divino.

Altro personaggio che non può non colpire è quello della vedova Alving, martire delle tragedie che si svolgevano tra le mura di casa. Un donna di una risolutezza indescrivibile, che ha deciso di sopportare silenziosamente le sue disgrazie, di non darla vinta a un marito tirannico e che vuole riscattare/vendicarsi di quello che ha passato con la costruzione dell'asilo.
La vedova Alving è un personaggio dalla psicologia complessa, un personaggio fortissimo e risoluto che viene posta di fronte a una serie continua di tragedie, dall'inizio alla fine. Ha una morale ferrea e tutta personale, che coglie il bene da dove è possibile (ad esempio dal figlio Osvlad) e cerca di trasformare e annullare il male per punirlo: ovviamente non viene detto e non probabilmente nelle idee di Ibsen, ma la vedova Alving è, anche se inconsapevolmente, Buddista.

Prima di arrivare a parlare dell'atto terzo e del finale dell'opera mi piacerebbe parlare di Osvald, il figlio degli Alving, e di questi "spettri". Vi riporto uno dei brani più significativi al riguardo per analizzarlo con voi:

"Ah Manders, io credo che anche noi, tutti noi non siamo nient'altro che spettri... in noi continua a circolare e a scorrere e a vivere non soltanto ciò che abbiamo ereditato dai nostri genitori, dico il sangue paterno e materno, ma anche tutti i pensieri immaginabili che sono già stati pensati, le vecchie credenze morte e sepolte, ogni specie di cose antiche e defunte a cui un tempo si è prestato fede e così via, in una catena senza fine. Fantasmi senza vita che però si annidano nel sangue, e che noi non possiamo scacciare."

Gli spettri sono ovunque, sono l'inevitabile eredità che ci portiamo dietro dai nostri antenati da quando la vita è comparsa sulla Terra, condizionano il nostro essere, il nostro agire e le nostre azioni. Ogni cosa ne è impregnata,
ogni cosa ha un'eredità inalienabile di cui dobbiamo render grazia. Così Osvald, nell'approcciarsi alla giovane Regine, sua inconsapevole sorellastra, ricalcherà le orme del padre e lei quelle della madre, dando origine al fulcro della tragedia edipica tipica delle opere di Ibsen. Tragedia, questa, inevitabile in un mondo di spettri.

Questo il motivo, anche, della malattia che Osvald ha ereditato dal padre. Un morbo terribile, mortale e infamante: una malattia venerea. Segno della corruzione del capitano Alving, rovina la vita, tra il detto e il non detto, a tutte quelle persone che hanno avuto un contatto di un certo tipo con lui: gli spettri non possono non colpire, è nella loro natura. Osvald, sul finale, avrà una crisi mortale e dolorosissima: la vedova Alving avrà il coraggio di ridurlo ad uno stato vegetale somministrandogli una forte dose di morfina? Oppure farà soffrire fino alla fine il figlio che ama più di sé stessa? Non ci è dato saperlo con certezza, ma possiamo ragionare assieme: la soluzione sta in quello che Ibsen ci dice e non dice attraverso una caratterizzazione perfetta dei personaggi. Abbiamo detto, infatti, che la vedova Alving vuole cercare di eliminare le infamie dell'ex marito tramite un atto di bene, l'istituzione dell'asilo, così da annullarne, per contrasto, la negatività. Ma, come sappiamo, Manders dà letteralmente fuoco a questo progetto e gli sforzi fatti vengono vanificati. Le sofferenze del figlio, che sta seguendo pericolosamente le orme del genitore, sono la piena manifestazione del suo (loro) peccato (non in senso religioso alla Manders ma, bensì, in senso morale). Secondo me, mi farete sapere voi nei commenti se siete d'accordo, la vedova Alving non allieverà il dolore del figlio ma, anzi, lo farà soffrire fino alla fine, così simile al padre. In questo modo la bilancia dell'equilibrio del mondo tornerà in pari e la signora Alving, donna forte e coraggiosa ma testarda, avrà finalmente la sua vendetta su chi l'ha tormentata per così tanto tempo, con o senza l'aiuto di Dio. 


giovedì 17 settembre 2015

Alle Origini del Mito (2) Mago Merlino.

Ciao a tutti ragazzi, e benvenuti a un nuovo articolo! Oggi rispolveriamo una vecchia rubrica, "Alle Origini del Mito", che avevamo inaugurato con la storia di Topolino Stregone. Anche oggi non ho voglia di allontanarmi dal mondo Disney e andiamo a parlare, quindi, di uno dei personaggi più misteriosi e foschi del mondo dei cartoni animati: mago Merlino! Dietro alla candida barba bianca, al cappello azzurro a punta e all'aspetto ingenuo e scherzoso si nasconde, in realtà, un essere demoniaco infernale, peloso come un orso e tutt'altro che innocente! Quello che vi vado a raccontare oggi è tratto da "I Romanzi della Tavola Rotonda", serie di testi Medievali di autore/i anonimo e incerto, che potete trovare, anche se con una certa difficoltà, per la Mondadori (altrimenti ne parlo un pochino meglio qui). Il secondo libro, che recita come titolo "Merlino l'Incantatore", narra della sua nascita e infanzia.

Tutto inizia con Gesù che scende in terra e i diavoli che si lamentano del suo immenso potere che allontana gli uomini dalle loro grinfie. Allora decidono di inviare un loro rappresentante, un vero Anticristo, a contrastarlo. Nello stesso periodo viveva una ragazza (non specificato dove!) molto bella e Satana le mise gli occhi addosso. Allora le inviò una vecchia mezzana che provò a convincerla a prostituirsi sfruttando il suo bel corpo ma lei, per nulla convinta ed anzi inquietata, si rivolse al suo
promesso che la mise in guardia sui trucchi del diavolo e invitandola a non dormire mai al buio. Una sera, però, la sorella della nostra eroina, che invece non si faceva troppi problemi a darla in giro, tornò a casa con diversi uomini. La protagonista, infastidita, provò a buttarla fuori ma venne picchiata dai pretendenti e fu costretta a rintanarsi in camera dove si addormentò, pensando a tutte le cose brutte che le erano successe in vita, dimenticandosi la luce accesa. Il Diavolo ne approfittò subito e, trasformatosi in uomo, la stuprò nel sonno. Lei realizzò l'accaduto solo il mattino dopo e, da quel giorno, si diede a una vita castissima da reclusa: così il Demonio perse l'anima della ragazza! 9 mesi dopo, però, non le fu più possibile nascondere il pancione e venne scoperta dalle altre donne che la portarono in tribunale: infatti chi, ai tempi, conduceva una vita dissoluta senza accettare il ruolo di prostituta veniva condannato a morte. I giudici, comunque, decisero di lasciarla prima partorire: a tale scopo la rinchiusero con due damigelle in una torre blindata dove diede alla luce un bimbo pelosissimo che chiamò, come il suo padre morto, Merlno.


Il bimbo era molto strano, tant'è che a 9 mesi già dimostrava 2 anni abbondanti! Una sera la madre piangeva in preda alla disperazione per paura della morte ma il pargolo, tra le sue braccia, le disse di non preoccuparsi. Colpita dal miracolo improvviso, lasciò cadere il bimbo ma quello iniziò a piangere senza emettere più parola. Le damigelle, scettiche nei confronti del miracolo, si segnavano continuamente imprecando contro la giovane madre e il bambino. Questi, allora, riprese la parola e le rimproverò dando loro delle peccatrici e delle oche! Le balie non potevano credere alle loro orecchie e iniziarono a urlare spaventate fuori dalla finestra del miracolo: la notizia si diffuse in un attimo e arrivò alle orecchie del giudice che convocò subito madre e figlio. Stavano per finire entrambi sul
rogo quando il bambino intervenne di nuovo e si rivolse al magistrato dicendo di conoscere suo padre meglio di lui: gli dimostrò che, in realtà, era il figlio del curato di paese e non di quello che credeva essere il suo genitore! Strabiliato, il giudice gli chiese chi fosse, allora, lo sconosciuto padre del bambino e la risposta arrivò chiara e veloce: il Nemico. Per questo conosceva tutte le cose passate e presenti ma, grazie alla fede di sua madre, aveva accesso anche alla conoscenza dei fatti futuri. Lui e la madre vennero assolti e lei andò a vivere per sempre in un monastero.

Egli, essere immortale e dotato di incredibili poteri magici, divenne amico d'infanzia di Uter Pendragon che, quando divenne re, lo scelse come braccio destro. Da quel momento Merlino passò la vita a corte, vide nascere Artù e Morgana (di cui diventò un incostante amante) e accompagnò il giovane regnante al trono, proprio come nel film della Disney. Intanto non si contano le strabilianti azioni di guerra, le magie, i portenti, i travestimenti, gli scherzi e gli amori del potentissimo mago che tutto conosceva. Un giorno, però, fece la conoscenza di Viviana, una giovane fata, che voleva imparare da lui tutti i trucchi del mestiere. Egli sapeva a cosa andava incontro, ma nonostante ciò non poteva modificare gli eventi futuri ma solo
conoscerli. Le insegnò, così, tutto quello che sapeva, le costruì un castello magico nascosto da uno specchio d'acqua e la fece diventare sua amante (anche se era tutta un'illusione provocata da lei che gli faceva solo sognare di unirsi sessualmente con lui). Un giorno gli chiese come intrappolare una persona per l'eternità e lui, anche se a malincuore, le insegnò il trucco: subito lo imprigionò in una prigione d'aria inespugnabile per l'eternità! In realtà si tratta di una prigione d'aria molto piacevole: infatti è una bellissima camera da letto, la migliore che si possa immaginare, dove Viviana lo va trovare tutti i giorni e trascorre, ancora oggi, molte ore a letto con lui. Questa volta sul serio!


Quello che più mi dispiace è che non ci sia né il tempo né il modo di riassumervi in breve TUTTA la vita di Merlino, forse tra i racconti più avvincenti dei "Romanzi della Tavola Rotonda"! Quindi se avete domande, volete qualche approfondimento o cose simili scrivetemelo o nei commenti o sulla pagina Facebook così che possa ampliare un po' il racconto! Detto questo vi do appuntamento a domani per la videorecensione delle letture d agosto e a martedì prossimo per un nuovo articolo! 

martedì 8 settembre 2015

"Antoher Brick in the Wall": scuola o non scuola?

Salve a tutti quanti e benvenuti a un nuovo articolo. Oggi si parlerà di scuola, della sua importanza (e non-importanza) e del suo ruolo e responsabilità partendo, come spunto, dalla celebre canzone dei Pink Floyd "Another Brick in the Wall".


Per farlo partiamo da un piccolo presupposto. La canzone è stata composta nell'Inghilterra del 1978, un paese che dal punto di vista dell'educazione è molto controverso. Moltissime le opere che, da secoli, si occupano di questo problema sociale: già Dickens non è che tratteggiasse la situazione con tinte color rosa pastello, ma le cose non sono di certo andate migliorando. "Matilda" (sì, quello del film) di Roald Dhal è un bellissimo e tristissimo romanzo sul tema che consiglio a tutti, grandi e piccoli, insieme alla sua autobiografia "Boy". L'educazione è sempre stata molto rigida e severa e comportava anche pesanti pene corporali che i ragazzi di oggi, fortunatamente, non sono costretti a sopportare pur persistendo un certo rigore almeno a livello accademico. La scuola italiana, nonostante i suoi difetti, fortunatamente non è più così e, quindi, dovremo far attenzione a partire da un altro contesto per arrivare al nostro. Detto ciò iniziamo a parlare sul serio.



A cosa serve la scuola? Ad educare o a insegnare? Fortissimo il rischio che sia solo ed esclusivamente la seconda opzione se si vede, a mio parere, la scuola come un luogo fatto e finito, in cui basta andare e passare, non importa se con voti massimi o appena sufficienti. Se non vengono espresse le potenzialità del ragazzo, se non lo si incuriosisce, se non lo si abitua a pensare con la propria testa, sarà destinato a dimenticarsi tutto quello che ha fatto e senza ragionarci su. Per questo, in Italia, abbiamo un tasso del 47% di analfabetismo funzionale, ovvero il non saper riconoscere ed interpretare la realtà che ci circonda elaborando i dati che riceviamo, non saper comprendere un documento giuridico o compiere attività extra rispetto all'ordinario. La cosa più preoccupante è che questo dato non è variato dal 1994 al 2008, denotando un'arretratezza nei metodi educativi.

Chiarito il ruolo che dovrebbe avere la scuola, ovvero quello di trampolino su cui saltare, in base alle proprie conoscenze e potenzialità, nella grande piscina del sapere (e quindi della cultura), poniamoci la prossima domanda. La scuola italiana è in grado di garantire questo servizio oggi come oggi? La mia umile e modesta risposta è: no. Programmi troppo stretti, tempi corti e classi eccessivamente numerose e/o problematiche. Non sempre è possibile sviluppare ogni singolo alunno, sia chiaro, anche volendo (e molti professori, non credete, lo vogliono sul serio): manca, molto semplicemente, il tempo. A questo c'è da aggiungersi tutti i possibili problemi di famiglie e amicizie a cui i ragazzi, nel frattempo, possono andare incontro facendogli perdere la voglia di continuare (la depressione tra i giovani esiste, non facciamo finta di non vederla). Ma la colpa, che piace così tanto agli italiani, la colpa, la colpa dov'è? Di chi è? Quale il capro espiatorio, il signor Maloussen, il colpevole? Potremmo dire che la responsabilità pesa su alcuni professori che non hanno voglia/non sanno fare il proprio lavoro (e ragazzi esistono, fidatevi, ne ho incontrati), sul programma scolastico italiano troppo desueto ma alo stesso tempo così essenziale, sui materiali non adeguati e costosi o sui genitori che a volte non si curano dell'educazione dei figli ma la soluzione? Mi dispiace, cari italioti, ma la soluzione a questo vostro amletico dubbio non esiste! Non c'è una colpa, ci sono però tante responsabilità concatenate. Servirebbe una vera riforma ma non della scuola o del governo ma della mentalità comune, dell'uso del buonsenso e della voglia di provare a cooperare. Ci vuole reciproca apertura mentale nel cercare di superare i problemi comuni: è sempre colpa dei professori? è sempre colpa degli alunni? è colpa del sistema? è colpa della religione? è colpa del governo? Non importa trovare un colpevole, è indispensabile però cercare di migliorare TUTTI la situazione.



Ma veniamo alla domanda più interessante, la più scottante. È indispensabile andare a scuola? E imparare? La domanda, a prima vista di ovvia soluzione, viene da quel "You, Start to Learn!" iniziale della canzone. La cultura è un obbligo imposto dalla società o dovrebbe, ed è, parte di un normale processo di formazione della persona? Teoricamente, a mio parere, la seconda ma, di fatti, la prima soluzione è la più pertinente alla realtà. La filosofia, prima forma di sapere teorico (anche se alle origini non lo era affatto), è arrivata in modo autonomo e spontaneo, quando l'uomo ha soddisfatto i suoi bisogni primari. I primi pensatori non hanno avuto una scuola ma è pur vero che erano tempi Veramente diversi, si era anche Molti di meno in società assolutamente imparagonabili con quelle moderne. Eppure possiamo provare a rapportarci ad adesso: l'uomo medio del paese ormai sviluppato ha pienamente appagato i suoi bisogni primari (viveri, abitazione, stabilità) ma altri, tutti nuovi, gli vengono costantemente imposti dalla società che lo controlla e manipola. Potrà egli, quindi, sviluppare da solo un pensiero critico adeguato? No, ha bisogno di un luogo in cui, stando con gli altri, possa imparare ad usare il cervello. Nel 2015 non possiamo più permetterci di essere dei semplici pastori, non possiamo osservare il rapido scorrere della vita, non possiamo concederci rilassatezze ma dobbiamo stare al passo coi tempi, capire le complesse meccaniche che ci circondano e cercare di stare a galla. La scuola risulta, quindi, indispensabile ma insufficiente da sola (ricollegandoci a quel che dicevamo all'inizio, ricordate?). Quindi, cercando di dare una risposta alla nostra domanda: sì, ormai andare a scuola e avere un minimo di conoscenze base è più che indispensabile, anche a costo di rinunciare in parte alla nostra autonomia ed indipendenza. Ma quindi questo tipo di istruzione ci rende tutti uguali, "just another brick in the wall" ("semplicemente un altro mattone nel muro")? La risposta è semplice, rileggete bene l'articolo e la troverete da voi...




La verità è che quest'articolo era ed è pensato per tutti coloro che in questi giorni iniziano la scuola, elementare, media o liceo. Il posto che frequentate, comunque lo affrontiate, che vi piaccia o meno, sarà uno dei più importanti della vostra vita: è inutile e molto banale dirlo, ma godetevelo anche se non è facile! Noi ci vediamo martedì prossimo, intanto fate i bravi e, se volete, ditemi che ne pensate dell'articolo commentando qua o sotto e venendomi a trovare sulla pagina Facebook!

martedì 1 settembre 2015

Collana "A Bordo di Libro" ep.4: il Folle Viaggio degli Argonauti.

Ciao e benvenuti a un nuovo articolo della rubrica "A Bordo di Libro", la serie che ci accompagna nei viaggi della letteratura. L'articolo di oggi riguarda il folle viaggio degli Argonauti, un gruppo di 50 eroi dell'antica Grecia che, capitanati da Giasone, hanno il compito di riportare in patria il misterioso vello d'oro situato a est, ai confini del mondo, in Colchide (l'attuale Georgia). Lì incontrano Medea, l'eroina che stiamo seguendo assieme quest'anno con due articoli che potete trovare QUI e QUA e con un altro che necessita di questo per essere introdotto. Infatti oggi non la vedremo quasi per nulla ma ci concentreremo sul viaggio degli eroi che, di per sé, merita un articolo a parte: infatti sarà, per i nostri, ancora più complesso tornare a casa di quanto non fu per Ulisse, come ci racconta Omero nell' "Odissea". Insomma, un vero viaggio epico pieno di sfide impossibili, sesso e morte raccontato dalla penna di un grande poeta quale fu Apollonio Rodio (295 a.C.-215 a.C.), scrittore del periodo alessandrino! Ma non perdiamo altro tempo e tuffiamoci in questa frizzante avventura! Se vi perdete ho messo una cartina spoilerosa a fine articolo!


Gli antefatti ve li ho già spiegati all'inizio del primo articolo su Medea ma, per non costringervi ad andarveli a leggere di là, vediamo di recuperarli assieme. Pelia, re di Iolco, ha preso il potere sottraendolo illegittimamente a suo fratello. Un giorno riceve una profezia: la prima persona che si sarebbe presentato da lui senza una scarpa lo avrebbe scalzato dalla sua posizione prendendo il potere. Ed ecco che, da lì a poco, gli fa visita il figlio di suo fratello, Giasone, un giovane della campagna che nel tragitto per arrivare alla reggia aveva perso un sandalo in un fiume! Pelia è sconvolto, teme di perdere il potere e allora escogita un modo per mandare fuori dalle palle il giovane: gli intima di dirigersi fino alla selvaggia Colchide a prendere il vello dorato di quel montone magico che, anni prima, aveva portato in volo Elle e Frisso, due personaggi mitici figli di Atamante, lontani dal padre che li voleva sacrificare. L'eroe non viaggerà da solo ma sarà accompagnato dai 50 eroi più famosi di tutta la Grecia tra cui Argo, che costruirà l'omonima nave, Ercole e i Dioscuri, giusto per dirne alcuni. E da qui inizia il viaggio vero e proprio.

Non è facile riassumervi in breve le tappe ma giuro ci provo. L'isola di Lemno è la prima tappa. Qui le donne avevano, precedentemente, ucciso tutti gli uomini dell'isola perché si rifiutavano di accoppiarsi con loro in quanto "puzzavano" per via di una qualche maledizione divina. Loro, che non ci vedevano più dalla voglia di... bhe ci siamo capiti, accolsero con GRANDISSIMA gioia il gruppone dei cinquata bellissimi e muscolosissimi eroi e li intrattennero... per ben un anno! Ercole, dopo un po', stufo della situazione, riporterà tutti alla ragione facendoli imbracare di nuovo. Gli argonauti, dopo essere stati ospiti del re Cizico in Tracia e aver sconfitto con lui dei giganti a sei braccia figli della Terra, partiranno nella notte ma, perdendosi, torneranno sulle stesse spiagge dove, non riconoscendo nessuno nel buio, stermineranno l'esercito dei loro benefattori, regnante compreso. Resisi conto dello sbaglio leggermente troppo tardi, riprenderanno la navigazione verso un'altra isola. Qui il giovane Ila, bellissimo e delicatissimo scudiero-amante di Eracle, viene rapito da delle ninfe e portato sott'acqua. Il gigante, pazzo di dolore, non seguirà più il viaggio con gli Argonauti che si vedranno costretti a risalpare senza il fortissimo compagno che proseguirà con le sue fatiche. Dopo un incontro di pugilato tra uno dei Dioscuri e il figlio di Nettuno Amico, sconfitto e ucciso, la
navigazione si avvicina alla volta dell stretto dei Dardanelli dove, in un fittissimo mare di nebbia, le porte del passaggio si schiantavano l'una contro l'altra continuamente, affondando ogni nave di passaggio. L'impresa sembrava impossibile ma, grazie al segno premonitore di una colomba che, illesa, ce l'aveva fatta, gli eroi si fanno coraggio e riescono per un pelo a superare l'ostacolo mortale: in questo frangente, tra le varie cose, la nave parlerà agli Argonauti ma, dato il tenore degli avvenimenti, mi pare, tutto sommato, un avvenimento nella norma. Lungo la costa nord della Turchia bagnata dal mar Nero perdono svariati compagni fino a raggiungere la temutissima isola di Marte. Qui uno stormo di uccelli di ferro li attaccherà scagliandoli contro le piume a mo di lance: i nostri eroi ci metteranno un po' a capire che, per sconfiggere il nemico, sarò necessario creare un frastuono tale da farli fuggire. Riescono finalmente ad approdare e a riposarsi. Da lì a poco, lungo la rotta incontrano quattro naufraghi: sono nobili della Colchide i quali, grati per il salvataggio, verranno condotti finalmente a destinazione. Da qui in poi la storia, se avete letto gli articoli su Medea, la dovreste conoscere ma il ritorno sarà un po'... avventuroso!

Infatti prendono su Medea e vello d'oro inseguiti (nel caso di Apollonio, o con il suo appoggio secondo altri) dal fratello di lei. Alla prima sosta la cara sorellina lo fa a pezzi con l'aiuto di Giasone per distrarre il padre ma si rendono conto, anche in questo caso un po' troppo tardi, di aver commesso un peccato sgraditissimo alle divinità. A questo punto non possono più nemmeno passare, come all'andata, dalle pietre che si schiantano perché nessuna divinità li vuole proteggere e hanno bisogno di trovare un'altra via di fuga. Questo sarà possibile solo grazie alla concezione greca della geografia del mondo che vedeva tutti i fiumi connessi tra loro (e no, non sto scherzando). Quindi tenetevi forte perché saliranno su dal Reno, da lì si ricongiungeranno con il Po', si faranno la Lombardia e l'Emilia, sbucheranno nell'Adriatico ma da lì verranno rispediti indietro e dovranno, rifacendo un pezzo di strada, uscire sul Tirreno dalla Liguria. Dopo poco saranno costretti a fare una sosta dalla maga Circe, zia di Medea, che con riti antichissimi li purificherà dal loro peccato. Ripartiti, vicino alle coste del Nord Africa si areneranno sulle aride spiagge e dovranno, attenzione, portarsi la nave SULLA SCHIENA per chilometri e chilometri in mezzo al deserto. Fortuna vuole che dopo 12 giorni di cammino riescano a trovare un lago in cui bere e lasciare la nave. Loro non lo sanno ma questa "fortuna" è
dovuta solo al fatto che Eracle non li aveva più seguiti ed era andato avanti con le sue fatiche, tra cui quella che avrebbe fatto sorgere la sorgente, futura salvezza per gli ormai non più 50. Nel mentre altri eroi continuano a morire riescono, in cambio di un dono, a farsi portare la nave in mare da Tritone, figlio di Nettuno. Solo a questo punto, finalmente, dopo tanti anni Giasone riuscirà a tornare a casa col vello d'oro e Medea.

Che? Vi siete persi?

Quel che accade da qui in poi lo potete scoprire con gli altri articoli. Mi dispiace che non ci sia tempo per approfondire la figura di Giasone e di Ercole, meriterebbero uno spazio a sé: magari in futuro, perché no? Quest'articolo mi serviva soprattutto come base per il conclusivo sulla "Medea" di Pasolini che racconta, in parte, anche le vicende degli Argonauti. Per il resto non posso far altro che abbracciarvi, darvi il benvenuto in questo umido settembre e, ricordandovi di passare dalla pagina Facebook, vi do appuntamento alla settimana prossima!