mercoledì 30 settembre 2015

"Spettri" di Ibsen: tragedia di fantasmi, incendi e morte.

Ciao a tutti e benvenuti, finalmente, a un nuovo articolo! Oggi parliamo di "Spettri", una bellissima tragedia del 1881 del norvegese Henrik Ibsen
Ho deciso di riempire l'articolo di opere del
 Norvegese Munch che esprimono perfettamente
 il clima delle tragedie di Ibsen.
(1828-1906). Per parlarne, però, devo per forza fare spoiler e dare per presupposta la trama, in quanto il fulcro della vicenda si svolge dopo un plot twist (seguito a raffica da molti altri) considerevole per quanto posto all'inizio dell'opera. Per questo l'articolo è inteso in particolare per chi ha sostenuto questa lettura condivisa con la pagina GDL per il mese di settembre oltre a chi, normalmente, ha già letto il libro per i fatti suoi: se siete coraggiosi entrate comunque a vostro rischio e pericolo, lo spoiler qui è di casa! Inutile dire, inoltre, che il dialogo e il confronto qui sotto nei commenti (aperti a chiunque) o su Facebook sia più che ben accetto. Detto ciò sto zitto e vi auguro buona lettura!

E, appunto, il plot twist, il grande colpo di scena, posto all'inizio dell'opera è un tratto caratteristico e inconfondibile delle tragedie "sociali" di Ibsen come, pure, "Un Nemico del Popolo", "Anitra Selvatica" e "Rosmersholm". La situazione iniziale, pacifica e regolare, viene sconvolta da un terremoto
così potente da non sconvolgere solo i protagonisti ma tutta la società borghese, bersaglio principale dell'autore. Le storie di abusi e violenze del capitano Alving non sono terribili solo per la vedova e per il pastore Manders, ma lo sarebbero per tutta la comunità se circolassero. Un colpo del genere metterebbe in crisi l'esistenza non solo dell'asilo, ma di tutta quell'impalcatura di buoni valori borghesi dietro ai quali si annida la perversione, l'ipocrisia e la maldicenza di una società divenuta marcia nella sua calma e placidità. E, in quanto possibile potenza distruttrice, il pastore Manders ha la massima premura che la notizia non si diffonda: "Che cosa penserebbe la gente?" "I vicini cosa potrebbero dire?" "Oh se solo sapessero"... tutte frasi con un significato forte e viscerale che saranno approfondite in "Un Nemico del Popolo".

Ma veniamo al pastore Manders, un bellissimo personaggio per la sua coerenza, un po' meno per i suoi ideali. Maschilista, bigotto e oscurantista, crede che le donne debbano sopportare le violenze che si svolgono tra le mura domestiche per mantenere saldo il sacro vincolo del matrimonio, che
il successo nella vita debba corrispondere per forza a una volontà divina (notato come difende sempre e comunque il capitano Alving?) e che da essa dipendano tutte le cose che ci circondano. Egli si fa voce di Dio, portatore di una volontà superiore, garante del giusto, convintissimo della sua superiorità sopra tutti. Il pastore Manders è un ottimo personaggio, scritto e descritto in maniera celestiale, coerente con sé stesso fino al midollo. Così coerente che, quando vede che qualcosa non torna, come Dio che concede la costruzione di un asilo in nome di un mostro come il capitano Alving, agisce lui per conto della divinità dando fuoco alla struttura quasi con noncuranza, facendosi scoprire da Engstrand ma negando l'accaduto senza troppa enfasi, riconoscendo con calma e sincerità la sua "colpa", anche se tale non è ai suoi occhi: egli non ha fatto altro che mettere in pratica il volere divino.

Altro personaggio che non può non colpire è quello della vedova Alving, martire delle tragedie che si svolgevano tra le mura di casa. Un donna di una risolutezza indescrivibile, che ha deciso di sopportare silenziosamente le sue disgrazie, di non darla vinta a un marito tirannico e che vuole riscattare/vendicarsi di quello che ha passato con la costruzione dell'asilo.
La vedova Alving è un personaggio dalla psicologia complessa, un personaggio fortissimo e risoluto che viene posta di fronte a una serie continua di tragedie, dall'inizio alla fine. Ha una morale ferrea e tutta personale, che coglie il bene da dove è possibile (ad esempio dal figlio Osvlad) e cerca di trasformare e annullare il male per punirlo: ovviamente non viene detto e non probabilmente nelle idee di Ibsen, ma la vedova Alving è, anche se inconsapevolmente, Buddista.

Prima di arrivare a parlare dell'atto terzo e del finale dell'opera mi piacerebbe parlare di Osvald, il figlio degli Alving, e di questi "spettri". Vi riporto uno dei brani più significativi al riguardo per analizzarlo con voi:

"Ah Manders, io credo che anche noi, tutti noi non siamo nient'altro che spettri... in noi continua a circolare e a scorrere e a vivere non soltanto ciò che abbiamo ereditato dai nostri genitori, dico il sangue paterno e materno, ma anche tutti i pensieri immaginabili che sono già stati pensati, le vecchie credenze morte e sepolte, ogni specie di cose antiche e defunte a cui un tempo si è prestato fede e così via, in una catena senza fine. Fantasmi senza vita che però si annidano nel sangue, e che noi non possiamo scacciare."

Gli spettri sono ovunque, sono l'inevitabile eredità che ci portiamo dietro dai nostri antenati da quando la vita è comparsa sulla Terra, condizionano il nostro essere, il nostro agire e le nostre azioni. Ogni cosa ne è impregnata,
ogni cosa ha un'eredità inalienabile di cui dobbiamo render grazia. Così Osvald, nell'approcciarsi alla giovane Regine, sua inconsapevole sorellastra, ricalcherà le orme del padre e lei quelle della madre, dando origine al fulcro della tragedia edipica tipica delle opere di Ibsen. Tragedia, questa, inevitabile in un mondo di spettri.

Questo il motivo, anche, della malattia che Osvald ha ereditato dal padre. Un morbo terribile, mortale e infamante: una malattia venerea. Segno della corruzione del capitano Alving, rovina la vita, tra il detto e il non detto, a tutte quelle persone che hanno avuto un contatto di un certo tipo con lui: gli spettri non possono non colpire, è nella loro natura. Osvald, sul finale, avrà una crisi mortale e dolorosissima: la vedova Alving avrà il coraggio di ridurlo ad uno stato vegetale somministrandogli una forte dose di morfina? Oppure farà soffrire fino alla fine il figlio che ama più di sé stessa? Non ci è dato saperlo con certezza, ma possiamo ragionare assieme: la soluzione sta in quello che Ibsen ci dice e non dice attraverso una caratterizzazione perfetta dei personaggi. Abbiamo detto, infatti, che la vedova Alving vuole cercare di eliminare le infamie dell'ex marito tramite un atto di bene, l'istituzione dell'asilo, così da annullarne, per contrasto, la negatività. Ma, come sappiamo, Manders dà letteralmente fuoco a questo progetto e gli sforzi fatti vengono vanificati. Le sofferenze del figlio, che sta seguendo pericolosamente le orme del genitore, sono la piena manifestazione del suo (loro) peccato (non in senso religioso alla Manders ma, bensì, in senso morale). Secondo me, mi farete sapere voi nei commenti se siete d'accordo, la vedova Alving non allieverà il dolore del figlio ma, anzi, lo farà soffrire fino alla fine, così simile al padre. In questo modo la bilancia dell'equilibrio del mondo tornerà in pari e la signora Alving, donna forte e coraggiosa ma testarda, avrà finalmente la sua vendetta su chi l'ha tormentata per così tanto tempo, con o senza l'aiuto di Dio. 


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