venerdì 29 maggio 2015

Recensione Lampo (07): I Romanzi della Tavola Rotonda

Parlarvi dell'opera che ho letto in quest'ultimo periodo non è semplice: "I Romanzi della Tavola Rotonda" sono quell'insieme di 9 romanzi che tutti più o meno conoscono ma che nessuno ha mai letto. Non penso che ci sia qualcuno di voi che non abbia almeno sentito parlare del film Disney "La Spada nella Roccia" (e se così fosse mi chiedo dove sia vissuto fin'ora) che, ovviamente in maniera edulcorata e "disneiana", parla dell'ascesa al potere di re Artù, uno dei più grandi cornuti della storia della letteratura. L'altra cosa che infatti spesso si conosce è l'amicizia, da intendersi in senso Medievale (un po' come il "conoscersi" della Bibbia), tra il cavaliere Lancillotto e Ginevra, la moglie del re. Inoltre chiunque per strada ha sentito nominare, anche solo per sbaglio, il nome di "Mago Merlino" molto conosciuto per essere uno stregone simpatico dalla lunga barba bianca e un po' meno per essere il figlio immortale e demoniaco di uno stupro del Diavolo e sulla madre indifesa. A parte, forse, il nome Morgana anche se non direttamente riferito al personaggio dei romanzi il vuoto cosmico.



In effetti questi 9 romanzi, almeno qua in Italia, sono molto difficilmente reperibili perché fanno parte di uno dei tanti titoli della collana "Oscar" che la Mondadori ha "dimenticato" di ristampare. Il cofanetto da 20€ lo potete trovare o online (penso) o in qualche mercato dell'usato o libreria con agganci particolari. In ogni caso se siete interessati più ai fatti che allo stile o ai valori non rimarrete delusi: sempre la Mondadori ha stampato un trovabilissimo "I Romanzi Cortesi" di Chretien de Troyes che narrano gli stessi fatti filtrati, però, dall'ideale cortese del 1200: comunque per la storia in sé va benissimo. Ma vediamo ora insieme di che parlano questi romanzi.


Le gesta che ci vengono narrate riguardano tre generazioni di guerrieri leggendari: quella di Uter Pendragon, quella di suo figlio Artù e, infine, quella di Galahd, figlio di Lancillotto, e Perceval. Se il personaggio che lega la prima alla seconda generazione è lo stregone Merlino, è invece Lancillotto a fare da ponte tra le altre due. I personaggi sono di pura fantasia: non è come Carlo Magno che è un monarca realmente esistito anche se, probabilmente, un corrispettivo di Artù ci fu. Essendo però personaggi appartenenti al mito è in esso che vivono e non possono varcare il mondo della realtà: così sono tutti destinati a morire o a scomparire per sempre in attesa di tempi migliori.

I nostri cavalieri compiono le loro gesta in una cornice atemporale e aspaziale, viaggiando per tempi indefiniti in territori potenzialmente infiniti. Non conoscono quasi mai la morte ma l'amore è questione quotidiana. E attenzione, scordatevi tutti i discorsi di sesso post-matrimoniale: i cavalieri erano noti per darci dentro come ricci in calore con qualunque dama richiedesse i loro "favori". Una sessualità decisamente più libera di quella che potremmo pensare noi oggi ma che sottostà a tutta una serie di regole non scritte: quelle della cavalleria. Tra i peccati raccomandati da questo sistema di leggi dette e non-dette allo stesso tempo non era prescritto l'adulterio: la regina Ginevra tradisce allegramente, fino a 75 anni (!!!) re Artù... che a sua volta se l'è cornificata per bene! Non solo, ma tra le sue numerose conquiste può anche annoverare... la sua sorellastra che darà alla luce Mordret, usurpatore e nemico mortale del padre. Una famigliola felice, insomma!

In ogni caso Tutti, a parte 3 eroi, saranno sporchi e impuri per i loro peccati e non potranno nemmeno vedere il sacro Graahl, l'oggetto del desiderio supremo (dopo la "prugna", s'intende) di tutti i cavalieri della Tavola Rotonda. Ma di quest'ordine e di questo calice ne ho parlato non troppo tempo fa, in un articolo che se volete potete trovarvi QUI!

Tenete conto, se mai vi capiterà di trovarveli tra le mani, che sono testi che hanno alle spalle centinaia di anni ed erano intesi per una tradizione orale, non scritta. Per questo ci saranno molti passaggi in cui non si comprenderà
Lui rimane il mio re Artù preferito comunque
bene il perché di una determinata scelta da parte di uno dei protagonisti, apparentemente astrusa e insensata ai nostri occhi. Pure io, a volte, non comprendevo troppo cosa stesse accadendo ma, per lo più, le situazioni non sono per niente complesse, anzi molto semplici e facilmente comprensibili. Secondo me (ma non faccio testo) è interessante leggerli proprio perché tutti sanno cosa sono (circa) ma nessuno li ha mai affrontati e presentano caratteri più arcaici e "rozzi", se vogliamo, della riscrittura di Chretien de Troyes.


So che ho detto tutto e niente ma voleva essere solo una breve recensione: della letteratura medievale mi occuperò non settimana prossima ma quella ancora dopo continuando la mia collana, ferma da mesi, della "piccolo viaggio nella storia della letteratura". Intanto nei prossimi giorni vedremo anche che fine ha fatto Medea, che è ferma da un po' di tempo...

lunedì 25 maggio 2015

Chi ha inventato gli occhiali? Storia di una truffa

Un sacco di oggetti che noi utilizziamo tutti i giorni sono stati inventati tantissimi anni fa: libri, forchette e bottoni sono solo alcuni di questi ma l'elenco potrebbe essere molto più lungo. Oggi, però, volevo soffermarmi su un oggetto in particolare per via della sua storia: gli occhiali.

Una delle prime testimonianze ci arriva da Giordano da Pisa, un religioso, che nel 1305, durante una predica a Santa Maria Novella a Firenze, dice:

"Non è ancora vent'anni che si trovò l'arte di fare gli occhiali, che fanno vedere bene, ch'è una delle migliori arti e de le più necessarie che l'mondo abbia, e è così poco che ssi trovò: arte novella, che mmai non fu. E disse il lettore: io vidi colui che prima la trovò e fece e favellaigli"



Da qui si capisce, se la matematica non è un'opinione, che gli occhiali giravano più o meno dal 1285: ma chi li creò effettivamente? Fu lo stesso Giordano o un suo amico/compagno? Sappiamo infatti che fu un altro domenicano dello stesso convento a fabbricare gli occhiali: Alessandro della Spina. Il suo necrologio del 1313, tradotto dal latino, recita:


"Frate Alessandro della Spina, uomo buono e modesto, era in grado di rifare tutto quello che vedeva. Egli stesso fabbricò gli occhiali che un altro aveva ideato per primo, non volendo però comunicare il segreto. Alessandro, invece, ben lieto e disponibilissimo, insegnò a tutti il modo di costruire gli occhiali"

E fin qui sembrerebbe tutto tranquillo: Alessandro vede un altro fare gli occhiali e li fa pure lui. Però nel 1600 delle aggiunte successive a questo testo da parte di alcuni studiosi ne modificarono completamente il senso. Tra questi Carlo Roberto Dati (1619-1676), allievo e discepolo di Galileo, si immagina, in un suo libro sull'invenzione degli occhiali, che Alessandro
della Spina non avesse riprodotto degli occhiali che aveva visto ma di cui aveva solo sentito nominare aggiungendo un "tutto quello che udiva o vedeva fare" al testo di prima. Questo principalmente per due motivi: far passare gli occhiali come invenzione pisana al 100% vantandosene (se i comuni toscani si odiano oggi figuratevi allora) e fare un paragone con il maestro Galileo che aveva inventato il telescopio, già precedentemente prodotto in Olanda, senza averlo mai visto ma avendone solo sentito parlare. Ma non cominciamo ad accusare il povero Dati: infatti egli stesso non sapeva di aver sbagliato! Fu un altro studioso, Francesco Redi, ad avergli mandato il passo già alterato (cosa che, tra l'altro, era solito fare anche con altri testi)! C'è però da dire anche che il Dati già sapeva che il testo non era proprio perfetto, come ci riporta una lettera inviata precedentemente dal Redi stesso: diciamo che sapeva ma ha fatto finta di non sapere. Ma attenzione, perché la vera truffa comincia solo ora!

Infatti, nel 1684, Ferdinando Leopoldo Del Migliore dichiarò di aver scoperto chi fosse il VERO inventore degli occhiali, quello da cui Alessandro della Spina avrebbe rubato l'idea preso ispirazione. Egli avrebbe scoperto in un sepoltuario (raccolta di epitaffi di sarcofagi poi rimossi) l' iscrizione del sepolcro di un certo Salvino degli Armati, sepolto in Santa Maria Novella a Firenze, che recitava:

+ QUI DIACE SALVINO D'ARMATO DEGL'ARMATI DI FIR. INVENTOR DEGL'OCCHIALI. DIO GLI PERDONI LA PECCATA. ANNO D. MCCCXVII (1317)

Tutto molto bello, sì, se non fosse per il fatto che NESSUNO ad oggi abbia mai visto questo sepoltuario né, tanto meno, il sepolcro! Anche questa truffa fu ideata per motivi politici: si voleva infatti dare più risalto a Firenze,
in modo che torreggiasse sulla Pisa di Alessandro dalla Spina (l'avete capita, vero? eh?). Ma il nostro Ferdinando Leopoldo commise vari errori sia nella ricostruzione del testo (che utilizza termini finto antichi come "inventor" per far sembrare il testo originale quando, invece, nel 1300 quella parola era ancora sconosciuta) anche per la data di morte di Salvino: egli infatti visse realmente ma morì nel 1340! La data proposta (1317) è stata usata solo per farla combaciare con l'ipotesi del Redi sulla data di invenzione degli occhiali, collocata tra il 1280 e il 1311. Nonostante questi palesi errori ad un minimo approfondimento... tutti gli credettero! Fu ricreato il suo busto con tanto di lapide e fu posto in un chiostro di Santa Maria Maggiore, sempre a Firenze, che poi divenne Scuola Salvino degli Armati; in seguito fu trasportato in una chiesa e posto su un sarcofago del 1200.

La nostra storia si potrebbe chiudere qui se non fosse che nel 1925 Isidoro Del Lungo, uno studioso, pubblicò un articolo in cui ricostruiva interamente la vicenda che oggi vi ho raccontato smascherando la truffa. A sua volta Chiara Frugoni in "Medioevo sul Naso" (di cui vi ho parlato QUI) ci riassume la vicenda come ve l'ho raccontata: se volete andarvi a vedere un approfondimento sapete dove trovarlo! Per chiudere la storia riporto una testimonianza, tratta dalle sue "Prose", sull'uso degli occhiali da parte di un uomo che sicuramente avete studiato Tutti: Francesco Petrarca! Noi ci vediamo venerdì con una recensione!

"Non mi vanto di aver avuto una gran bellezza, ma in gioventù potevo piacere: di colore vivo, tra bianco e bruno, occhi vivaci e per lungo tempo di una grandissima acutezza, che contro ogni aspettativa mi tradì, passati i sessanta, in modo da costringermi ricorrere con riluttanza all'aiuto delle lenti."

martedì 19 maggio 2015

"Tutta un'Altra Storia": incontro e dibattito con Giovanni Dall'Orto

Ho fatto una cosa che non sapete. Un paio di settimane fa sono andato a trovare a Milano Giovanni dall'Orto. Non sapete chi è? In poche parole è un giornalista e storico, nonché uno dei più grandi attivisti italiani sul fronte del riconoscimento dei diritti per la comunità LGBT. Se volete saperne di più, comunque, vi lascio la sua presentazione sul suo sito internet

Ora, dovete sapere che Giovanni domani, il 20/05/2015, pubblica ufficialmente per "il Saggiatore" un saggio frutto di 30 anni di ricerche. "Tutta un'Altra Storia: l'omosessualità dall'antichità al secondo dopoguerra" è il primo saggio completo in Italia di storia dell'omosessualità e, in quanto tale, ha un grandissimo valore. Del libro in sé avremo modo di parlarne ancora ECCOME ma, per oggi, voglio presentarvi questo saggio con una mia videointervista.



Con me è anche venuto Edoardo, un mio amico, il quale da giovane omosessuale ha esposto il suo punto di vista, in parziale disaccordo con quello di Giovanni: ne è scaturito un dibattito tanto concitato quanto, a mio parere, costruttivo. Vero, come dice Giovanni sono temi che sono stati dibattuti a lungo all'interno della comunità gay ma chi ne è esterno potrebbe non averli mai approfonditi o, addirittura, mai sentiti nominare. Quindi penso che da questo incontro tutti abbiamo avuto da che impararne, Ora non vi annoio più e vi lascio al video sul mio canale ricordandovi, però. di controllare la pagina Facebook del blog perché potrebbero arrivare aggiornamenti MOLTO interessanti! Per il momento godetevi il video e ditemi che ne pensate!


lunedì 11 maggio 2015

"I Booklovers Sono una Cosa Bella"

Penso lo sappiate tutti, ma nel caso sempre meglio specificarlo. Ci sono due modi di amare una cosa/persona/animale/organismo unicellulare ecc.: un modo sano e normale (bene) e uno malato e anormale (cacca). Oggi, quando parlo dei "Booklovers", gli amanti dei libri, è evidente che non mi riferisco alla prima categoria (bene) ma alla seconda (cacca). Non faccio nomi e non faccio riferimenti: ciascuno di voi sa, in cuor suo (o quor suo, dipende da quanto accentuato è il vostro grado di analfabetismo di ritorno) a quale categoria appartiene, non sta a me giudicare. Ma iniziamo con un piccolo aneddoto, vi va?

Qualche tempo fa sono andato a Padova. Era domenica mattina e capitai al Prato della Valle (cercatelo su Google, è un posto bellissimo). Ora, quel giorno era invaso da bancarelle dell'usato, la maggior parte di quelle si occupavano di libri vecchi appena usciti da polverosissime soffitte. Ci credete che non sono quasi riuscito ad avvicinarmici? Un'orda famelica di signori e signore di tutte le età si era fiondata su quei volumi, spintonando a destra e a sinistra per arrivare per prima a quel preziosissimo, muffissimo e incredibilmente unico e raro "Manuale di Rudimenti dell'Idraulica, Volume 4 di 17, anno 1964". Eh sì, perché di solito la qualità dei volumi è questa! Fate conto che tra tutti i banchetti esplorati poi con calma (e chi era con me può testimoniare che non erano pochi e ciascuno aveva centinaia di volumi) avrò trovato si è no 4 libri. Eppure a quella gente, che spintona per arrivare per prima a una copertina già divorata dagli insetti, non importa cos'ha effettivamente tra le mani, basta che si legga che sia libro che sia volume che sia stampato che sappia di inchiostro che sia spesso che abbia una copertina che dica cose che sia tra le loro mani tremanti di cieco fanatismo e ardore per la carta stampata. Il libro diventa, così, bello in quanto libro e non più in quanto "libro con su scritte cose piacevoli". Ricordiamoci che, oggi come oggi, quando si parla di libro si comprende un'ampia gamma di generi e titoli: la "Divina Commedia" riposa accanto alle ricette di Barbara d'Urso, l"Iliade" osserva sconsolata 50 sfumature di romanzi uguali tra loro dall'altra parte dello scaffale e Montale veramente non sopporta il vicino, quell'antipatico di Fabio Volo. E attenzione, non voglio dire che classici bene e moderni cacca, perché vi sono TANTI capolavori scritti ai nostri giorni ma è inevitabile che, coll'alzarsi del livello di alfabetizzazione, molta più gente abbia iniziato a scrivere per un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo. E nota bene, non è che tutti dovrebbero mettersi a leggere Manzoni, questo mi sembra abbastanza scontato, ma chi ama i libri è sicuro di amarli veramente tutti? No, perché li vedo un giorno acquistare con foga romanzi rosa del 1971 e l'altro condannare al rogo le 50 sfumature...

"Oh Oh Oh, quanto amo leggere: sono una persona così ORIGINALE!" 
Altri esempi? Come chi mi segue su Facebook saprà, una volta ho letto di una signora che orgogliosamente dichiarava di leggere 600-700 pagine ogni due giorni. Ora, anche i meno ferrati di voi in matematica (non siete i soli, le divisioni a due cifre non so farle), sapranno che questo vuol dire sulle 300/350 pagine al giorno. Mi chiedo io: quando la signora solleverà la sera la testa dal volume dopo che ha iniziato a leggere alle 9 del mattino, si ricorderà chi è? E cos'ha letto? Saprà dire se le è piaciuto un libro oppure no? Si sarà goduta i paesaggi e le ambientazioni o i dialoghi ricchi di pathos? Mi potreste dire "Eh, ma magari sono romanzi leggeri, mica devono essere per forza robe impegnative!" e potreste aver ragione ma, a parte che sono comunque 300 pagine al giorno come minimo, in ogni caso non sono un po'... tante? "Eh, ma se uno non ha niente da fare ed è in pensione?" Non rispondo nemmeno a quest'affermazione, tanto lo sappiamo tutti che nessuno non ha nulla da fare per 24 ore, tantomeno chi non lavora più. "Eh, ma chi sei tu per giudicare? Uno non è libero di..." Certo, certo, per carità, faccio come Ponzio Pilato, do un giudizio ma me ne lavo le mani, tanto non sono io a dover capire dove son girato a fine giornata...



"Booklover" malato è quello che ha il coraggio di riempire la propria libreria (intesa come negozio) solo ed esclusivamente di autori indipendenti di case editrici indipendenti condendo il tutto con quello che più gli piace: non a caso di vedono tante copertine tutte uguali in uno spazio già ristretto di suo. E fidatevi, non è di certo una bella vista! Che poi, è la stessa gente che, non sapendo come riempire lo spazio, decide di esporre fieramente la "Raccolta Completa dei Diari di Gramsci" da 130€ perché non sa che altro mettere, come se ci fosse da essere indecisi quando si hanno 3 o 4 copie tutte uguali dell'Odissea! Librerie che sembrano negozi di scarpe: tanti begli scaffali, copertine dai colori accattivanti e poi... libri giganti sulle navi? Volumetti di 30 pagine a 7€? Guide turistiche della Moldavia nord-occidentale a 25€ perché di carta strafiga con solo due copie stampate in tutt'Italia? Libri da colorare a prezzi improponibili? Ma... stiamo scherzando? Questa per me è una libreria poco seria, piena di belle parole sulla "bellezza della lettura" ma poi... in sostanza? Aria fritta che esce dalla bocca di chi dice "soldi" e non "passione"!

Tirando un pelo le somme: i "booklover" malati sono quelli che amano indistintamente leggere, non si fanno domande su quello che hanno tra le mani. Ignorano che qualcosa possa essere scritto prima di quello (non per forza devono leggerlo, proprio nemmeno se lo figurano), considerano il loro autore un genio indiscusso visionario ("guarda, non ha messo la punteggiatura, com'è ribelle e rivoluzionario!" quando in realtà la gente lo
Oh, e così non usi la punteggiatura? Ma che carino che sei...
fa da 250 anni). A questi individui non interessa il leggere ma il dire di aver letto (ho conosciuto gente che, dopo aver sfogliato le prime 50 pagine, dichiarava letto un libro), non il comprare libri belli ma comprare libri (la stessa persona ha affermato fiera di aver comprato due borsate piene di libri in francese a Parigi senza sapere il francese), accumulandoli fino ad invadere la casa. Queste persone mancano di senso critico per quello che stanno facendo, cervelli impazziti completamente allo sbaraglio come un cavallo che galoppa solo nel deserto dei Gobi. Macchine da leggere fabbricate dagli obbedienti colletti blu del mondo dell'editoria, un mondo popolato da teneri maialini e furiosi t-rex asseta
ti di sangue. Trovare l'opera bella e valida diventa sempre di più un'impresa, l'orda si muove compatta: tutti Bukowski, tutti "L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere", tutti Murakami (me compreso per un certo periodo).

Ehm, scusa se te lo dico ma... guarda che sappiamo tutti leggere!


Ma questi sono "booklover" malati ed esagerati: fortunatamente conosco un sacco di persone che, posso affermarlo tranquillamente, sono pienamente consapevoli di quello che leggono, fanno e pensano, ciascuno con la propria testa. E voi, vi siete rivisti in quello che ho scritto o no? Fatemelo sapere qui sotto o su Facebook se vi va! Quest'articolo non lo considero un vero articolo ma più un mio scritto, una mia riflessione: spero vi sia piaciuta!

lunedì 4 maggio 2015

Recensione Lampo (06): J. R. R. Tolkien traduce "Sir Gawain e il Cavaliere Verde", "Perla" e "Sir Orfeo"

"Sir Gawain e il Cavaliere Verde", "Perla" e "sir Orfeo" non sono stati composti dalla stessa persona ma sono stati ritrovati su uno stesso manoscritto, nella stessa lingua (e quindi il copista è uno) e tradotti in inglese moderno dalla stessa persona: J. R. R. Tolkien (sì, proprio QUEL Tolkien). Stiamo parlando di tre poemi medievali composti in gallese
Proprio QUESTO Tolkien!
antico, un idioma praticamente incomprensibile, che fanno parte di una tradizione orale molto corposa ma sono particolari in quanto si discostano molto, per stile e contenuti, dai più classici "Romanzi della Tavola Rotonda". Tolkien non ha mai pubblicato le sue traduzioni ma sono postume, edite dal figlio che ha recuperato tutta una serie di lavori che il padre non aveva finito di rifinire. Ma vediamo un attimo di che stiamo parlando.

Sir Gawain e il Cavaliere Verde



La storia inizia alla corte di Artù: tutti sono felici perché si sta festeggiando il capodanno (che corrispondeva al Natale di oggi) quando si apre il portone della sala del banchetto ed entra uno strano personaggio: un gigantesco cavaliere verde con una lunghissima barba verde, a cavallo di un infernale destriero verde, che impugna un enorme ascia verde e un ramo di agrifoglio (verde). Cotanta verdosità è alla ricerca di qualcuno con cui fare un gioco dal momento che si sta annoiando perché sempre solo: un prode e valoroso guerriero avrebbe dovuto dargli un colpo con la sua ascia e non si sarebbe difeso a patto che, esattamente dopo un anno e un giorno, quella stessa persona avrebbe dovuto ricevere un fendente d'ascia da parte del verde cavaliere nella sua dimora. Tutti si guardano imbarazzati la punta dei piedi perché non vogliono partecipare, ma Artù accetta la sfida. L'ascia sta per calare sul collo del Verdissimo quando Sir Gawain (che poi nella tradizione più classica è Messer Galvano) ferma il suo re e decide di partecipare al posto suo. Questi accetta e presto la testa del verde cavaliere rotola per terra in mezzo alla sala: a questo punto il corpo senza capo raccoglie la parte che gli manca, sale a cavallo e sfreccia via a galoppo ricordando a Gawain della promessa. Il nostro eroe dovrà mettersi a cercare la Verde Cappella, dimora del nemico, per portare a termine il folle gioco: riuscirà a resistere all'accettata del gigante verde?

Il poema è molto diverso da quelli più classici soprattutto per un discorso di morale. Senza rovinare alcuna sorpresa, Gawain si rifà completamente a rigidi ideali cattolici, cosa che soprattutto in ambito cavalleresco era abbastanza inusuale. Se non ci siete arrivati già voi, ve lo dico in modo un po' più esplicito: la castità è la virtù che il cavaliere cerca in ogni modo di difendere da... attacchi MOLTO espliciti e vigorosi! Verrà tentato in ogni modo da ragazze che vorranno constatare... con mano il valore dei cavalieri. Il poema, a tratti comico e ironico, è anche condito con una fitta simbologia che lo rende unico e particolare: da leggere!

Perla


"Perla" è sicuramente il poema più particolare del libro. Si tratta di un'opera allegorica che mescola un compianto per la figlia persa a un saggio di dottrina cristiana per poi trasformarsi in una visione mistica della città di Dio. Il poema, come già detto, presenta una serie complessa di sfaccettature allegoriche e offre il fianco a tante letture diverse: difficilmente leggerete in modo così accessibile qualcosa di così particolare e unico.

Sir Orfeo


Avete presente la leggenda classica di Orfeo e Euridice? Quella in cui lui, abile suonatore di cetra, scende all'Inferno per salvare Euridice, la sua amata, ma la perde girandosi all'ultimo sulle scale prima di uscire dagli inferi, cosa che non avrebbe assolutamente dovuto fare. Che la conosciate o meno, questa è la trasposizione Medievale del mito con l'aggiunta di qualche elemento mistico cristiano. Non è affatto male e la leggenda non è esattamente come quella di cui vi ho fatto il riassunto, quindi non vi ho affatto rovinato il finale!


Ovviamente uno dei punti di forza, la traduzione di Tolkien, essendo il libro in italiano, si perde ma dell'autore rimangono comunque le introduzioni dei poemi, ben curate e interessanti. L'edizione è della "Mediterranee" e non penso costi troppo (è un regalo, non posso guardare il prezzo) e creso lo troverete facilmente se non in tutte le librerie sicuramente online. Da quel che so è la migliore edizione per quest'opera che presenta caratteri molto particolari. 

Detto ciò, venerdì o lunedì esce un articolo un po' polemico ma che mi piacerebbe portasse a una bella discussione con voi: spero apprezzerete!