venerdì 20 novembre 2015

L'anima della riscoperta (4): la terribile vendetta di Seneca!

Ciao e benvenuti tutti quanti a un nuovo spirito della riscrittura, la serie con cui sistemo e riscrivo i vecchi articoli! Mi scuso subito per il font poco felice ma, per problemi di formattazione, questo c'è per i prossimi articoli della collana (maledetto Libre Office!).  Oggi vi parlerò di una delle opere più particolari dell’età imperiale romana e che, a volte, non viene trattata a scuola. Sto parlando dell' "Apokolokyntosis" di Seneca (sì, proprio lui) anche conosciuta, in Italiano, come "la zucchificazione del divo Claudio".
Claudio (come non è mai stato)
Roma, 41 d.C. Dopo la congiura contro l'imperatore Caligola, sale al potere lo zio Claudio (10 a.C.-54 d.C.). Seppur non giovanissimo, decise di tenere le redini di un impero ormai vastissimo e molto eterogeneo, varcando le porte del palazzo imperiale, pieno di tranelli e trabocchetti orditi da un folto stuolo di adulatori, spie, concubine e altre figure dalla dubbia morale. E Claudio era proprio l’uomo che faceva per loro: ingenuo e anche, pare, leggermente ritardato, tutti si approfittavano di lui. Campionessa di inganni la moglie Messalina, famosa per la sua insaziabile ninfomania, almeno a quanto dice il poco affidabile Giovenale nella satira sesta. L'autore, certamente, ci è andato giù pesante con le ingiurie ma, di fronte a molteplici testimonianze, forse non si è inventato proprio tutto. Pare infatti che Claudio, completamente assoggettato ai capricci della consorte, le abbia procurato un giovane schiavo ballerino affinché ne potesse disporre come voleva. Ma a un certo punto decise di ribellarsi a Messalina con incredibile sadismo: quando gli comunicarono a cena che la moglie era morta avvelenata (sotto suo ordine, ovviamente) non se ne curò più di tanto e continuò ad assaporare il suo vino come se nulla fosse. Questo solo uno dei numerosissimi omicidi politici e delle nefandezze che commise a corte sfruttando il suo potere. Tanti i motivi per odiarlo, numerosissime le persone che ce l’avevano a morte con lui e, tra questi, vi era pure il nostro Seneca!
Ma quando Claudio salì al potere il filosofo non si trovava più a Roma. Da un paio d'anni, infatti, era stato esiliato da Caligola per aver difeso in modo troppo brillante una causa in tribunale e, pertanto, era da ritenersi un uomo pericoloso. In seguito, con la morte del suo persecutore, sperava finalmente di poter tornare in patria ma Claudio, invece, rimase insensibile ad ogni sua supplica.
Seneca
Molte le lettere che Seneca aveva cercato di fargli arrivare ma nulla si muoveva
: infatti Polibio, un liberto agli ordini dell’imperatore, incaricato di vagliare la posta diretta al regnante, le stracciava tutte in automatico! Seneca, l'integerrimo, disperato, arrivò addirittura a comporre un testo consolatorio a Polibio per la morte del fratello: nemmeno questa gran leccata, però, gli porto qualcosa. Diciamo che è una buona macchia sul curriculum, che si va ad aggiungere a diverse altre, per un uomo che predicava il disinteresse totale per la sorte terrena! Alla fine riuscì, finalmente, a tornare in patria solo nel 50 d.C. per intercessione di Agrippina, seconda moglie di Claudio nonché madre di Nerone, il futuro imperatore. In ogni caso a Seneca, decisamente, non era andato giù il comportamento del regnante e, quando quattro anni dopo il vecchio Claudio morì, poté finalmente sfogare tutto il suo odio, condiviso da molti, con un’opera molto particolare: l’ ”Apokolokyntosis”, appunto. Il termine viene da un'oscura parola greca
 e non è ben chiaro il perché di questa "zucchificazione".
Volendo riassumere il tutto in poche parole, l'opera inizia con la morte di Claudio che "emette" l'anima in bagno (la diarrea l’ha sempre accompagnato, fedele, per tutta la vita ma potrebbe anche esser stato avvelenato) che ascende all’Olimpo, come tutti gli spiriti degli ex imperatori, con l’intento di diventare una divinità. Lì fanno fatica a capire chi sia perché balbuziente ma, una volta riconosciuto, Augusto, schifato, lo manda nell'Ade (il nostro inferno) dove è condannato a giocare a dadi con un bussolotto bucato per l’eternità, isolato e odiato da tutti.
La trama sarà anche semplice ma le battute al suo interno, posso assicurare, sono pensate per divertire anche il lettore medio! Salta subito all’occhio la forza con cui Seneca si scaglia contro la figura dell’imperatore: si tratta di un genere letterario molto particolare: la satira menippea.

La satira, ci dice Quintiliano, è “un genere tutto latino” che affonda le sue radici in Lucilio, maestro del famoso Orazio. L’origine della parola satira è ancora oggi dubbia: c’è chi dice che derivi dal satiro, famoso per i suoi scherzi e l’aspetto buffo, oppure da "vassoio pieno di primizie", come simbolo dei diversi temi trattati all’interno della composizione. Le caratteristiche principali sono i brani di prosa e poesia mischiati, la diversità dei temi e il carattere comico e spietato delle composizioni. Quella di Seneca, particolarmente violenta, merita, però, l’appellativo di “menippea”.
Questa prende il nome da Menippo di Gadara, un filosofo cinico che amava insultare e prendere in giro tutti in maniera molto violenta e caustica, non curandosi dell'opinione pubblica. Addirittura il fondatore di questa scuola, Diogene di Sinope,detto il “Socrate pazzo”, viveva nudo in una botte che si portava sempre in giro e pare arrivasse addirittura a compiere atti osceni in pubblico per dimostrare la sua libertà dal mondo. Il personaggio, utilizzato da diversi autori come protagonista di opere satiriche, è rimasto un simbolo fortissimo e molto scomodo nella storia della cultura occidentale.

Vi consiglio caldamente di leggervi questo bel libretto, non rimarrete delusi! L'edizione Mondadori, l’unica che conosco ma so che di recente La VIta Felice ne ha proposta una nuova versione, presenta un’ottima traduzione, moltissime note e una ricca introduzione con, oltretutto, un prezzo molto basso! Se volete rimanere aggiornati sui prossimi articoli venitemi a trovare sulla pagina Facebook!


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