martedì 10 novembre 2015

"Salò o le 120 Giornate di Sodoma" visto con gli occhi di un ventenne.

La scorsa settimana si è ricordato, e per alcuni celebrato, l'anniversario dei quarant'anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, uno dei più grandi intellettuali italiani del XXI secolo. Molte le commemorazioni: documentari, mostre e riproduzioni di suoi film. Tra questi, nella mia città, hanno proiettato la pellicola italiana più scandalosa che sia mai stata realizzata: "Salò o le 120 Giornate di Sodoma" (1975), il primo e unico capitolo della "Trilogia della Morte", seguito della celebre "Trilogia della Vita". Ne avevo visto solo qualche spezzone, ho letto il libro di De Sade, da cui è tratto, qualche anno fa e mi sono recato al cinema conscio di quello a cui sarei andato incontro ma curioso di ciò che ne avrei poi pensato: come può un ragazzo di poco più di vent'anni reagire a questa pellicola nel 2015?

Ebbene: "Salò o le 120 Giornate di Sodoma" è un film bellissimo che tutti dovrebbero vedere! Sono serissimo quando affermo che, date le aspettative per la fama che si porta dietro e letto il libro, pensavo fosse pure peggio. Pasolini opera un ottimo adattamento del libro Sadiano che non poteva che essere così. Ma procediamo con ordine.

Per comprendere il film bisogna sapere che cos'è la "Trilogia della Vita" e cosa sarebbe dovuta essere la "Trilogia della Morte". La prima è composta dal "Decameron", "Le Mille e una Notte" e "Canterbury Tales", tre raccolte di racconti dei secoli passati che avevano come centro tematico la visione della sessualità come giocosa partecipazione popolare in contrasto con la severità del potere ufficiale. Una presa di possesso del proprio corpo proletaria e sub-proletaria, come piaceva a Pasolini, ambientata in un'epoca d'oro, quasi mitica, e prettamente favolistica. In contrasto la "Trilogia della
Morte" avrebbe dovuto mostrare le brutture della modernità, le sue violenze tremendamente silenziose e i soprusi ingiustificati. Il potere ufficiale diventa, così, completamente anarchico nel senso che perde qualunque forma di controllo e si permette di decidere della vita e della morte dei suoi sottoposti. La manipolazione tramite bisogni borghesi imposti, il controllo dei media e la banalità del male sono tutti mezzi con cui siamo abituati alla negatività e al sopruso di potere. Pasolini, come De Sade, riassume il tutto in un'opera enciclopedia del male, un vero sguardo verso l'abisso nero dell'umanità. E il fascismo, come i nobili di fine 1700, incarnano in pieno questa negatività del presente.

Appare limpida e cristallina la totale e assoluta condanna di Pasolini, come anche di De Sade, a questo mondo di violenze indiscriminate: troppo spesso lo si ricorda associato a queste rappresentazioni, più che in contrasto. Egli, come anche il divin marchese, era ed è tutt'oggi una figura incredibilmente scomoda, di cui è meglio parlar bene per non sembrare troppo in contrasto con il libero pensiero ma che, sotto sotto, si disprezza, allontana e censura in modo a dir poco imbarazzante. Ricordiamoci solo della fine che fece Pasolini in seguito a quelle scomode indagini sui giri di soldi legati al petrolio... La verità non è che lo si fraintende, ma che lo si vuole fraintendere e affossare, sebbene il film sia inattaccabile per il valore che voleva avere e che, tutt'oggi, ha. Una polemica forte, certo, ma doverosa ("severa ma giusta" direbbe qualcuno) e, anzi, più vicina alle vittime rispetto a De Sade: qua i malcapitati, almeno alcuni, hanno una seppur minima tridimensionalità che nell'autore francese di fine 1700 non è concessa: c'è spazio solo per i carnefici e per le loro barbarie.


Tiriamo dunque le conclusioni: "Salò o le 120 Giornate di Sodoma" è un magnifico film di Pasolini che, però, si è destinati ad odiare se non si conoscono le giuste premesse. Giusto essere impressionati, non è un film per tutti, ma secondo me ci sono cose che Vanno affrontate, prima o poi, nella vita. E questo film ne è un esempio. Inaccettabile la cattiva fama della pellicola che, in parole povere, non poteva essere diversa da quel che è. Notevoli i riferimenti all'opera originale di De Sade, molto spesso ripresa paro paro. Il senso di disgusto del regista e dell'autore sono evidenti come la loro totale condanna degli eventi. E poi, seriamente, in quanti altri film avete visto, nei titoli iniziali, una bibliografia di documentazione del regista? Su, dai, siamo seri...

Ma questo è solo il parere di un ventenne che va al cinema nel 2015.

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