giovedì 23 gennaio 2014

Chi è il miglior amico dell'uomo? Viaggio popolare nella storia con l'asino!


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Salve a tutti ed eccoci all’appuntamento tanto (???) atteso! Vi siete spaccati il cranio contro la parete per capire quale potesse essere l’animale di cui vi parlerò in questo episodio? No, eh? Leggendo gli indizi alcuni di voi magari hanno pensato che oggi vi volessi parlare del cane, infaticabile amico dell’uomo nelle varie epoche e che, quando eravamo ancora dei cavernicoli nomadi, ci ha servito come compagno di caccia sotto forma dei suoi antenati sciacallo e lupo per poi diventare nostro aiutante quotidiano nelle faccende domestiche (anche se ciò non toglie che io ne abbia comunque una certa paura). E invece no! L’animale più utile alla gente sul piano del lavoro umano non è stato il cavallo viaggiatore (come un mio amico ha ipotizzato), non il bue aratore ma l’asino, infaticabile lavoratore. Ma questo sgraziato animale, brutto a vedersi e dal verso così terribile, è solo un sostitutivo del più pratico e agevole schiavo (oh, quanto sono comodi, sono DANNATAMENTE comodi, non trovate?)? La verità è che dietro alla figura apparentemente semplice di questo mammifero dalle lunghe orecchie si celano simboli arcani ormai dimenticati.

Come avrete capito dall’introduzione, non andrò qui a trattare di nessuna opera letteraria nello specifico, il mio sarà un discorso molto molto più generale che vuole focalizzarsi su una concezione del mondo molto particolare. Il filone da me considerato è quello della cultura popolare da piazza che si oppone al ramo del sapere ufficiale che, in poche parole, è quello che si affronta maggiormente a scuola. Questa corrente “bassa”, se così si può dire, attraversa i millenni portandosi dietro caratteri fissi e tendenzialmente immutati nel corso del tempo e comuni a culture diversissime tra di loro, dall’antica Grecia al Giappone feudale. Il discorso, complesso e non di immediata comprensione, ve lo spiego in termini molto semplici così che tutti possiate comprenderlo con facilità nonostante le sue dimensioni e la complessità: vi dico soltanto che, sebbene lo stia approfondendo da più di un anno e l’abbia sviluppato per la tesina, sto continuando a studiarlo imparando cose sempre nuove come quella di cui vi parlo oggi. Comunque, appunto, voi non preoccupatevi e scusate, anzi, se ripeto gli stessi concetti più e più volte.

Ciò che vi racconto è tratto dal doppio volume “Sesso e Mito” (1962) di Francesco Saba Sardi (1922-2012) e soprattutto dall’opera monumentale di Michail Bachtin (1895-1975) “L’Opera di Rabelais e la Cultura Popolare” (1965) attualmente in fase di lettura. A ciò va aggiunta qualche considerazione personale ma non perdiamo altro tempo e passiamo ad analizzare il tutto!

Come già accennato la cultura popolare ha origini millenarie e coinvolge temi quali, ad esempio, la fertilità, la vita e la morte intesa come rinascita. Tutti questi concetti vengono portati alla luce tramite una serie di immagini apparentemente molto semplici (ai limiti della banalità per noi abituati a ragionamenti molto più complessi) ma che nascondono grandi messaggi. Per capirli dobbiamo però abbandonare la mentalità da persone del 2014 e, con qualche vestito in meno e pelo in più, immedesimarci nell’uomo primitivo, privo di televisione, computer e di quasi qualunque utensile. L’uomo antico non sa nulla, può solo intuire, non ha conoscenze scientifiche di alcun tipo (in questo ci assomigliamo, non è vero matematica?). Ad esempio intuisce che, mettendo quella cosa strana e lunga in un buco che ha quell’altro essere a lui simile, si fanno dei bambini che poi diventeranno adulti. Spremendosi le meningi riesce a concepire quindi che a dar origine a tutto ciò è lo sperma (per il riconoscere il ruolo della donna ci vorrà tempo, nemmeno Aristotele c’era arrivato), il seme, che uscendo dal pene entra nel ventre della donna e qui viene “sepolto”. Quindi la pancia, sotto questo aspetto, assomiglia alla terra, al suolo, che accoglie il seme per generare la pianta. Tutte queste immagini come i genitali, il ventre piuttosto che il suolo si trovano in basso: in basso nel nostro corpo, in basso sulla terra. E, come è facilmente intuibile, dalla parte opposta troveremo l’alto. Ripeto, è un modo di pensare molto molto ma MOLTO semplice, cercate di seguirlo senza farvi troppi problemi e i vostri neuroni rimarranno illesi, ancora impacchettati nel cellophane (sì si scrive così, io pensavo che si scrivesse celophan, non so voi!) come li avete trovati alla nascita.

<<E in alto cosa c’è, voi che avete la vista buona e il cervello fino?>> Nel corpo la testa, nel mondo il cielo, la casa degli dei e… il paradiso (no vi giuro lo vedo da qua… no, nessun ufo o scia chimica, mi spiace…)! E quindi “di sotto” troveremo l’inferno e dunque la morte (e Andreotti che ci aspetta). Quindi, ricapitolando: vita su, morte giù; paradiso su, inferno giù; testa su, ventre e genitali giù. Quindi dovete pensare ora che tutti gli elementi alti sono legati tra di loro così come quelli bassi. Però appunto la vita (della pianta, del bambino) viene da un posto in cui invece si trova la morte (il terreno che ospita i cadaveri, il ventre), come mai? Questo perché la morte, in questo sistema di immagini, non è mai fine a sé stessa ma è indissolubilmente legata al concetto di rinascita, di rinnovamento. << Eh, vabbè Riccardo, maccheccentra con l’asino?>>. Seguitemi nel ragionamento e presto vi sarà chiaro come questo animale sia un vero, grande simbolo di “morte-rinascita”.

 Qual’ è una delle grandi doti dell’animale? Non tanto la dentatura perfetta o il verso armonioso quanto un grande, grandissimo pene (non vedevate l’ora di rileggere questa parola, dite la verità!). E non vi devo certo stare a spiegare come questo simboleggi fertilità. E qual’ è un’ altra grande caratteristica dell’animale? Se lo guardiamo nemmeno troppo attentamente noteremo un ventre abbastanza prominente (pancia=terreno=morte=rinascita) in cui Bear Grylls dormirebbe senza problemi con tutta la famiglia. E di cosa va riempita questa pancia se non di giovani e tenere pianticelle pronte a sacrificarsi tra le fauci della bestia (vegani insensibili, anche le piante hanno dei sentimenti, non ve ne frega nulla di loro!)? Quindi è la vita che si estingue ma… in che cosa si tramuta? Semplice, ESCREMENTI (ah, la poesia…)! <<Ma che schifo- direte voi -non sai che parlare di ste cose terribili! Ma non ti vergogni?>> Invece pensate, bambini, cosa ci fanno i contadini col letame? Ci coltivano i campi per far maturare i semi generando nuova vita dall’ apparente morte del terreno e delle feci (<<Wiiiii!!!>>)! E, con tutto il cibo che l’asino ingurgita, ma avete idea di quanta merda produca? Una vera manna dal cielo per l’uomo dell’era dei contadini che, suo malgrado, non aveva ancora inventato i fertilizzanti e altre sostanze chimiche per poterci avvelenare (Gomblotto! Gomblotto!). Inoltre l’animale è un infaticabile lavoratore, bastava riempirlo di botte: dice il più simpatico dei proverbi medievali “Cos’hanno in comune l’asino, l’albero di noce e il contadino? Bisogna picchiarli perché diano qualche frutto”. Così l’asino è allo stesso tempo martire degli animalisti e fonte di guadagno e sostentamento quando ancora non esistevano tutte le comodità di oggi ma anche simbolo di tutto ciò che è abbassante: genitali,  ventre e escrementi in gran quantità. E così si entra in un gioco di immagini e rimandi che si fa strada lungo la storia dell’uomo nei secoli. Ad esempio, nel medioevo, il tamburo, fatto con la pelle d’asino conciata e tirata, veniva suonato ai matrimoni con la mazza, chiaro simbolo fallico ben evidente nel nome in francese, come rito di fertilità e allo stesso modo il tamburello, dal suono così allegro, era simbolo dell’amante cornificatore.

 Nell’antica Grecia Dioniso (Bacco per i romani) era il dio dell’ebbrezza, del vino e dell’incontrollabilità delle passioni: le menadi, sue sacerdotesse, si dedicavano a culti orgiastici, detti misteri, in suo onore in cui come pazze perdevano completamente il controllo di sé (come ci racconta bene Euripide (485 a.C.-406 a.C.) nelle sue “Baccanti” (405 a.C.)). Ma tra le schiere del dio che l’accompagnavano festose, oltre a satiri danzanti e menadi festeggianti, si trovava anche una figura molto particolare: Sileno. Vecchio, grasso e effeminato (si vestiva di giallo come le donne), simbolo del passato che si rinnova in futuro, è un satiro raffigurato sul dorso di un mulo. E così ci viene mostrato da Piero di Cosimo (1461 d.C.-1522 d.C.) nel suo “Le disavventure di Sileno” (1505) e pure Lorenzo De’ Medici (1449 d.C.-1492 d.C.), nella celebre “Canzone di Bacco” (1490), ne dà una descrizione simile (Quant’e bella giovinezza/che si fugge tuttavia!/Chi vuol esser lieto, sia: del doman non c’è certezza su, dai che la conoscete anche voi!). Inoltre anticamente le processioni festose di vita in onore di Bacco presentavano oggetti utilizzati anche nei riti funebri in cui, come noi ormai sappiamo, la morte è sinonimo di rinascita.

Gli asini sono anche i veri protagonisti di due grandi romanzi antichi: del greco “L’Asino d’Oro” di Luciano di Samosata (120 d.C.-190 d.C.) e del latino “Le Metamorfosi” di Apuleio (125 d.C-170 d.C.). Le due opere hanno un rapporto molto particolare tra di loro: infatti lo scritto di Luciano ha lo stesso contenuto riassunto di quello di Apuleio ma in lingua greca. Però adesso non ci interessa parlare dei due romanzi in sé quanto del protagonista, Lucio, che si trasforma in un asino e, per tutta l’avventura, ne passa di cotte e di crude nel tentativo di tornare ad essere umano. Qua l’asino non è solo un semplice componente della trama: è un elemento comico che gode di vita propria, carico di tutti i significati visti e che di certo i due autori avevano a mente. Tornerò su questo argomento in futuro comunque.

L’asino come essere buffo, sgraziato e poco sveglio emerge anche in altre occasioni. Si pensava, ad esempio, che uno dei fondatori della scuola stoica (non chiedetemi chi fosse, ogni volta che leggo quest’episodio il tipo ha un nome diverso, illuminatemi voi!), vedendo l’animale mangiare dei fichi e bere vino, sia letteralmente morto dal ridere (ancora non c’era la televisione, cerchiamo di capirlo…).

 Anche tra gli uomini colti del medioevo correva una celebre storiella: quella dell’asino di Buridano. Questa povera bestia, posta tra due mangiatoie piene, non sapendo a quale attingere per prima, morì di fame corrosa dal dubbio.

Ma la figura di questa buffa bestia affiora spesso anche nella letteratura successiva: Sancho Panza, coprotagonista del “Don Quishotte” di Cervantes (1547 d.C.-1616 d.C.), vera e propria personificazione della cultura popolare, ha praticamente come unico bene durante il viaggio quest’ animale. Anche in questo caso parlerò di questo lavoro, uno dei più complessi nella letteratura mondiale, un’altra volta.

Ma l’importanza di questo animale era nota non solo agli uomini di lettere ma anche al popolo che l’ha celebrato con riti vari che si sono succeduti e trasformati nei secoli. Nel medioevo venivano messe in atto nei periodi di festa le così dette “messe dell’asino”: veniva celebrata dal vescovo o dal prete un’intera liturgia in cui le parole erano sostituite col verso dell’animale imitato da tutti i presenti, chierici compresi!

Quindi, ricapitolando, l’asino è un animale che da noi viene spesso sottostimato perché non riusciamo a coglierne l’importanza che aveva invece un tempo, così abituati alle nostre comodità. Esso racchiudeva le speranze delle persone che sopravvivevano grazie al suo lavoro ed era così fondamentale per loro da incarnare una serie di significati così complessi e arcaici da venir tramandati per secoli e secoli.

E dunque eccoci arrivati alla fine. Non sono entrato troppo nello specifico ma ho cercato di darvi un quadro molto molto generale. Tutti i temi lasciati da me in sospeso saranno comunque sicuramente ripresi e trattati a parte in seguito! Vi voglio ringraziare tanto tantissimo per tutte le visualizzazioni che tra poco arriveranno addirittura a 800! Se c’è qualcosa che non capite, di cui non siete sicuri o che magri vi è sfuggito ma anche un vostro parere o qualunque cosa vi venga in mente non avete che da scriverla qui! Inoltre da poco il blog è anche social con la sua pagina su Google plus e twitter! Dedico infine questo brano all’asino di Buridano che mi fa molta tenerezza!

E voi che fate ancora lì? Cominciate a fare le valigie che col prossimo articolo Letterarte vi porta in viaggio!

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