sabato 18 gennaio 2014

Risate a corte: quando l'autore diventa cattivo.

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<<Un carissimo saluto a tutti quanti! Oggi vi parlerò di uno delle opere più particolari dell’età imperiale romana e che, spesso, non viene affrontata nelle scuole perché troppo particolare o per mancanza di tempo. Ma non perdiamoci in chiacchere inutili e iniziamo subito!

Roma, 41 d.C. .Con la morte dell’imperatore Caligola (12 d.C.-41 d.C.), famoso per la sua folle crudeltà (dopo aver fatto erigere un gigantesco ponte che collegava due tratti di costa fece annegare tutti i civili che facevano parte del pubblico dell’inaugurazione. Perché? Così, perché gli andava, tanto lui era l’imperatore) e per questo ucciso prontamente con una congiura che ponesse fine a un governo fondato sul terrore, ecco salire al potere suo zio Claudio (10 a.C.-54 d.C.). Seppur non giovanissimo per l’epoca, decise di tenere le redini di un impero ormai vastissimo e molto eterogeneo varcando le porte del palazzo imperiale, pieno di tranelli e trabocchetti orditi da un folto stuolo di adulatori, spie, concubine e altre figure dalla dubbia morale. E Claudio era proprio l’uomo che faceva per loro. Egli era molto ingenuo e anche, almeno così pare, leggermente ritardato, per cui tutti si approfittavano di lui. L’esempio più famoso? Possibile che abbiate già sentito parlare della sua prima moglie, Messalina, famosa per la sua insaziabile ninfomania (voglia di cazzo): sono in molti a descrivercela come una predatrice affamata, ma il più famoso è sicuramente Giovenale (60 d.C.-127 d.C. circa) nella celebre satira sesta contro le donne: qui Messalina la notte, camuffatasi grazie a una parrucca ,si reca in un bordello a Roma tutte le sere e fa una gara con le colleghe: avrebbe vinto chi sarebbe riuscita a far venire più uomini nella stessa sera. Un’esagerazione dell’autore? Sicuramente, ma gli aneddoti non si fermano certo qua. Pare infatti che l’imperatore Claudio, completamente assoggettato ai capricci della consorte, le abbia procurato un giovane schiavo ballerino (ma non sarà stata questa la dote da lei notata con molta probabilità) affinché ne potesse disporre come voleva. Ma tutto ha un limite, e Claudio iniziò a intuire di essere utilizzato (meglio tardi che mai). Così nel 48 d.C., quando gli comunicarono a cena che la moglie era morta avvelenata, ovviamente per ordine suo anche se non palese, non se ne curò più di tanto e continuò ad assaporare il suo vino come se nulla fosse: e come dargli torto, con una moglie così troia? Però questo fu solo uno dei numerosissimi omicidi politici e delle nefandezze che commise nell’ambito della corte sfruttando il suo potere illimitato. Tanti i motivi per odiarlo, numerosissime le persone che ce l’avevano a morte con lui e tra questi vi era una figura che negli anni a venire sarebbe stata potentissima all’interno della corte. Un uomo non solo considerato puro e integerrimo, sempre leale alla sua dottrina filosofica, lo stoicismo, ma anche un abilissimo retore e autore di numerosi trattati: era Seneca, l’imperturbabile.

Ma quando Claudio salì al potere non si trovava a Roma. Dal 39 d.C. infatti era stato esiliato da Caligola (e gli è andata pure bene che, se per lui non avesse interceduto una “amica” dell’imperatore, sarebbe stato condannato a morte senza troppi giri di parole). Il capo d’accusa? Aveva difeso in modo fin troppo brillante una causa in tribunale e pertanto era da ritenersi un uomo pericoloso. E poi insomma, era completamente fuori di testa quell’imperatore, ci si poteva aspettare di tutto da lui! In seguito con la morte del suo persecutore nel 41 sperava finalmente di poter tornare in patria. Ma Claudio, invece, rimase insensibile ad ogni supplica del filosofo. Molte le lettere che Seneca aveva cercato di fargli arrivare ma nulla si muoveva. E come sarebbe potuto cambiare qualcosa finché Polibio, un liberto agli ordini dell’imperatore, incaricato di vagliare la posta diretta al regnante, le bloccava tutte? Ma Seneca era veramente disperato e fece qualcosa di inaspettato e poco coerente con la sua figura: arrivò addirittura a comporre una “consolazione”, ovvero un testo consolatorio per un lutto, a Polibio per la morte del fratello come pretesto per supplicarlo con leccaculate varie, senza un briciolo di dignità, di far arrivare le sue lettere all’imperatore. Uno dei capisaldi infatti della dottrina stoica era la così detta “atarassia”, ovvero l’imperturbabilità di fronte a ogni turbamento dell’anima o gioia terrena. Diciamo pure che, sotto questo punto di vista, Seneca predicava bene ma razzolava male, molto male: scrive a favore dell’abolizione della schiavitù al fratello ma non per questo si priva degli schiavetti personali che lo aiutino in OGNI faccenda della casa (che questo fosse o meno il caso del filosofo, resta il fatto che secondo il diritto chi era sottomesso al padrone doveva servirlo anche dal punto di vista sessuale e i giovinetti, in quel periodo, erano di gran voga. Seneca birbone…), ci dice che non bisogna farsi tentare da beni materiali di alcun tipo ma aveva molte ville a cui teneva molto e, infine, ci vuol far credere che la morte sia da affrontare con serenità ma, quando fu ucciso Afranio Burro, collega precettore di Nerone, capendo l’andazzo delle cose, si ritirò prontamente a vita privata: anche lui ci teneva alla pelle in un modo o nell’altro, insomma! Alla fine riuscì finalmente a tornare in patria solo nel 50 d.C. per intercessione di Agrippina, seconda moglie di Claudio nonché madre di Nerone, il futuro imperatore. In ogni caso a Seneca decisamente non era andato giù il comportamento del regnante e, quando quattro anni dopo il vecchio Claudio morì, poté finalmente sfogare tutto il suo odio, condiviso da molti, con un’opera sconvolgente per quei tempi e che nessuno si aspetterebbe dal saggio e imperturbabile Seneca:  l’ ”Apokolokyntosis”, ovvero la “Zucchificazione del Divo Claudio”. Ma perché “zucchificazione”?  Il motivo non è a dire il vero ancora chiarissimo e la parola che viene dal greco è molto poco usata ma i critici hanno pensato ci si potesse riferire al fatto che Claudio fosse considerato un vero e proprio zuccone (no, non sto scherzando)!

LA TRAMA IN BREVE BREVISSIMO

Riassumo il tutto in poche, pochissime parole, per non spoilerarvi tutte le bellissime battute e scenette divertenti che abbondano tra le pagine.

 Claudio muore “emettendo” l’anima al cesso (la diarrea l’ha sempre accompagnato fedele per tutta la sua vita ma potrebbe anche essere stato avvelenato) e questa ascende all’Olimpo come tutti gli spiriti degli ex imperatori con l’intento di diventare una divinità. Lì fanno pure fatica a capire chi sia perché, oltre ad essere brutto gobbo e zoppicante, non sa nemmeno parlare bene e continua balbettare. Sarà il divino Augusto a riconoscerlo e, con disprezzo, a mandarlo nell’Ade (il nostro inferno) dove è condannato a giocare a dadi con un bussolotto bucato per l’eternità perché nessuno gli vuole stare vicino.

FINE DELLA BREVE BREVISSIMA TRAMA

  Sì, la trama non è molto complessa, e nemmeno aspettatevi un finale particolare con sorprendenti colpi di scena ma, vi posso assicurare, le molte battute all’interno, raccontate con l’umorismo mordace e caustico di Seneca, fanno veramente spanciare dal ridere. Salta subito all’occhio però la forza con cui il nostro filosofo si scaglia contro la figura dell’imperatore da poco deceduto prendendo in giro qualunque sua abitudine o difetto. Si tratta infatti di un genere molto particolare: la satira menippea.

La satira, come ci dice Quintiliano (35 d.C.-90 d.C.) nella sua “Formazione dell’Oratore”, è “un genere tutto latino” che affonda le sue radici in Lucilio (180 a.C.-102 a.C.), maestro di uno dei più arguti scrittori del mondo latino: Orazio (65 a.C.-8 a.C.). L’origine della parola satira è per noi ancora un mistero: c’è chi dice che derivi dal satiro, una figura mitologica classica famosa per i suoi scherzi e l’aspetto buffo, oppure che venga da “satura lanx”, ovvero il vassoio pieno di primizie, come simbolo dei diversi temi trattati all’interno della stessa composizione. Ma in ogni caso abbiamo delle caratteristiche sempre ricorrenti: brani di prosa e poesia mischiati, la diversità dei temi trattati e il carattere comico e spietato delle sue composizioni. Però quella di Seneca è particolarmente violenta, molto più di quelle dei predecessori, e si dirige contro una figura importantissima: infatti merita solo per sé l’appellativo di “menippea”.

Questa prende il nome da Menippo di Gadara (310 a.C-250 a.C.), un filosofo appartenente alla scuola cinica che insultava e prendeva in giro tutti in maniera molto violenta e caustica, sostanzialmente fottendosene di quello che gli altri potessero pensare di lui (“solo dio mi può giudicare, cioè…”). Addirittura il fondatore di questa scuola cinica, Diogene di Sinope (412 a.C.- 323 a.C.),detto il “Socrate pazzo”, viveva nudo in una botte che si portava sempre in giro e pare arrivasse addirittura a masturbarsi in pubblico per dimostrare il suo menefreghismo e la sua libertà di fronte a tutti. Il personaggio è stato in seguito utilizzato da diversi autori come protagonista di opere satiriche e, in particolare, da Luciano di Samosata (120 d.C.-180 d.C.),autore di cui vi parlerò davvero tantissimo, che tra i suoi capolavori annovera per l’appunto il “Menippo” e il “Dialogo dei Morti” che lo vedono protagonista di numerose scene comiche.

Seneca ha di sicuro preso spunto anche dalle “fabulae milesiae”, una serie di racconti di origini popolari di cui però ormai è troppo tardi per occuparsene qui ma che di sicuro riprenderò tra qualche numero per parlarvi di un altro argomento.

E quindi, anche per oggi abbiamo finito! <<Ma come? Di già? Perché così poco? Cioè, non hai detto quasi nulla!>> Effettivamente mi rendo conto che questo pezzo è un po’ più snello degli altri ma è anche vero che come genere è molto molto immediato e va letto per essere apprezzato appieno. Poi i temi sì, sono diversi e vari, ma tutti legati alla figura di Claudio, nulla di filosofico o complesso come le altre volte. Anche di Seneca, non è che riguardo a  questo argomento ci sia da dire molto altro, e la vita del personaggio richiederebbe molto più tempo e cura.

Quindi, vi consiglio caldamente di leggervi questo meraviglioso libro perché risulterà essere un acquisto particolarmente valido. Vi posso rimandare al momento solo all’edizione Mondadori perché è l’unica che onestamente conosco ma non sono sicuro che ce ne siano altre facilmente reperibili come questa. In ogni caso questa presenta un’ottima traduzione, moltissime note esplicative e una ricca introduzione che per motivi di tempo io non ho avuto modo di leggere ma che sicuramente chiarirà le idee anche ai meno pratici di voi. Il prezzo dovrebbe essere più che accessibile e non superare i 12 euro trattandosi della collana “Oscar” ma con sicurezza non vi so dire trattandosi di un regalo.

Poi ovviamente non posso non ringraziarvi tutti quanti per le visualizzazioni che, come potete notare, hanno superato il bordo del 500 in meno di un mese! È vero, non contano nulla di per sé, ma per me questo è già un grandissimo risultato che non mi sarei mai aspettato sinceramente. Mi raccomando: commentate, condividete e soprattutto leggete! Dedico questo pezzo alla mia professoressa di greco e latino che, vedendo questo volumetto appoggiato sul banco, mi chiese chi me lo facesse fare di leggermi certe cose.

Il prossimo pezzo non sarà incentrato su un autore o su un opera ma su un tema che, possiamo dire, attraversa le epoche. Un indizio? È un animale!>>

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